giovedì 19 dicembre 2019

Viali e Parchi della Rimembranza: un profilo generale e il caso della città di Como

Nel primo dopoguerra, contestualmente all’edificazione di opere monumentali, si diffusero in tutta Italia i cosiddetti viali o parchidelle rimembranze”, spazi di verde pubblico dedicati alla memoria dei caduti nella Grande Guerra. L’idea di fondo era che, in ogni Comune, al ricordo di ciascun caduto fosse dedicata una pianta.
Tali selve votive, secondo uno dei principali artefici di tale iniziativa – il sottosegretario alla pubblica istruzione Dario Lupi – dovevano rappresentare
la spirituale comunione tra vivi e morti per la Patria, luoghi sacri al culto della Nazione, dove i fanciulli si sarebbero educati alla santa emulazione degli eroi”.
La realizzazione dei viali avvenne, a partire dalla fine del 1922, su diretto impulso del Ministero della Pubblica Istruzione.

Il contributo, assai documentato, di Edoardo Visconti, fornisce una disamina generale di questo singolare fenomeno, analizzando con rigore il caso della città di Como. Così, le vicende travagliate del viale e parco delle rimembranze di Como - vandalismi, morie di piante, devastazioni post belliche - assurgono a paradigma delle vicissitudini che questi "monumenti arborei" vissero in tutte le città d'Italia, nelle turbinose stagioni storiche e politiche che si susseguirono dopo la loro realizzazione.

Viale e Parco della Rimembranza - Le Vicende di Como




sabato 26 ottobre 2019

Luigi Marschiezek - Dal Regno delle Due Sicilie al Regno d'Italia

Per l'articolo di oggi andremo agli albori del Regno d'Italia, vedremo infatti la storia di un alfiere del Reale esercito delle due Sicilie che a seguito dell'unificazione venne incorporato nel neonato Regio Esercito Italiano.
Questa storia ha inizio anni fa, quando su un sito d'aste comparve la foto che segue, ritraente un alfiere del Regno delle Due Sicilie.



Il venditore aveva già indicato un nome sul probabile soggetto della foto ma, probabilmente perchè un po' pigro, aveva omesso di inserire il retro e quindi grande fu la sorpresa quando una volta ricevuto scoprii che il retro riportava una dettagliata biografia della vita del soggetto nel biennio 1860/61!

Ecco il testo:
Promosso alfiere sul 3° disponibile, in seguito a concorso, il 1° Maggio 1860, e destinato al 6° Batt. Cacciatori. In seguito all'attacco e presa di Caiazzo, 23 settembre 1860, trasferto per premio al 2° Regg.to Ussari della G.a R.e. Dopo il bombardamento del campo al Garigliano, 2 novembre 1860, passato col corpo nello Stato Pontificio, 6 Novem. 60, ed accantonato a Frascati.
Prosciolti dal giuramento, 27 novembre 60, partiti da Roma per rientrare nello stato, 2 Genn. 61, e giunti a Ceprano, si ebbe notizia che toccando la frontiera saremmo stati arrestati e tradotti con scorta a Napoli: ad evitare ciò, si ritornò a Roma, ed a Civitavecchia c'imbarcammo per Napoli, dove giunti ci aspettava il premio dovuto al soldato che compie il proprio dovere. Arrestati, e con scorta dei Granatieri, in N° di 80 e più Ufficiali, fummo tradotti al Carcere di S. Francesco. Altri compagni si trovavano rinchiusi nei forti di S.Elmo e Castello dell'Uovo. Dopo 8 giorni di detenzione, fummo con scorta tradotti alla darsena ed ivi imbarcati per Genova. Quivi giunti, fummo alloggiati alla Caserma S. Connino, e trascorsi 6 giorni, partimmo col Colonnello di fanteria sig. Galateri, per Chiavari, ove restai per 3 mesi dopo data la voluta adesione per prendere servizio nell'Armata. Col bollettino M. di Maggio 1861 venni destinato ai Cavalleggeri Monferrato, di residenza a Brescia.




Visti i numerosi dettagli una ricerca, sebbene magari un po' difficoltosa, era abbastanza fattibile. Iniziai così a spulciare i vari annuari delle nomine partendo dal cognome indicato dal venditore Marschiezek e così, grazie anche all'aiuto di un amico in possesso dell'annuario militare borbonico del '60 con tutti gli ufficiali, arrivai alla conferma del nome: Luigi Marschiezek, nato a Napoli il 31 Maggio 1830.

Nel bollettino delle nomine del 1° Maggio erano infatti presenti ben 150 nominativi di promozione al grado di alfiere. Tra questi solo due vennero inquadrati nel 6° Battaglione Cacciatori: il nostro Luigi Marschiezek e Nicola de Torrebruna. Inoltre l'indicazione "sul 3° disponibile" indica che il Marschiezek proveniva dai ruoli dei sottufficiali e non dalla scuola militare Nunziatella, ecco perchè ha avuto la promozione ad ufficiale solo a 30 anni.

Tra la nomina ad alfiere e il primo combattimento, periodo durante il quale fu scattata la foto, non sono riportate note ma è probabile che, vista la situazione di crisi, il Marschiezek segui il 6° Cacciatori in tutti i suoi spostamenti, spostamenti che lo portarono nel settembre del 1860 a prendere parte a quella che sarà poi conosciuta come "Battaglia di Caiazzo".
In quello scontro il 6° Cacciatori, al comando del capitano Luise, era aggregato alla brigata comandata dal Tenente Colonnello Ferdinando La Rosa. In quelle giornate il 6° Cacciatori fronteggiò combattivamente i garibaldini della brigata Cattabene sia nella difesa della scafa di Limatola che in seguito alla collina San Giovanni, contribuendo alla vittoria dell'esercito duosiciliano.
Non sappiamo quali azioni compì, ma come premio il nostro alfiere venne trasferito in uno dei reparti d'élite dell'esercito: il 2° Reggimento Ussari della Guardia Reale.

Nella biografia non si fa cenno alla battaglia del Volturno, non è quindi noto se il nostro prese parte a quello scontro nel quale alcuni reparti del 2° Ussari presero parte alla disastrosa carica di S. Maria.
Le note però ci fanno sapere che il nostro era presente sul Garigliano, a difesa del fiume dalle truppe piemontesi. Li subì il bombardamento ad opera delle navi del generale Persano e, nell'impossibilità di raggiungere Gaeta, il suo reparto riparò nello Stato Pontificio.
Attraverso un accordo raggiunto col comandante del contingente francese di stanza a Roma venne concesso ai soldati pontifici di rimanere di guarnigione nello Stato Pontificio, a condizione di deporre le armi. Ma Regno delle Due Sicilie è ormai giunto alla fine e il 27 Novembre i militari vengono liberati dal giuramento, e l'8 dicembre il Reggimento Ussari della Guardia Reale viene ufficialmente sciolto.

Rientrato a Napoli, ora parte del neonato Regno d'Italia, viene arrestato insieme ai suoi commilitoni e tradotto prima in carcere, ed in seguito trasferito via mare a Genova. Gli accordi di resa prevedevano infatti per gli ex soldati duosiciliani un periodo di prigionia e due mesi di tempo per decidere se fare domanda per passare nel Regio Esercito Italiano.
Per valutare queste domande di passaggio della categoria degli ufficiali il 9 dicembre 1860 venne creata una apposita commissione composta sia da ufficiali sabaudi che dell'ex Regno delle Due Sicilie. In totale gli ufficiali passati sotto il nuovo esercito furono 2311, tra i quali troviamo il nostro Marschiezek che venne assegnato ai Cavalleggeri di Monferrato col grado di Sottotenente.

Sul resto della vita di Luigi Marschiezek non ho trovato altre informazioni, ma nell'annuario del Regio Esercito del 1876 il nome non è più presente tra gli ufficiali in servizio.

Curiosando su google però nel 1869 si trova un Luigi Marschiezek che risulta abbia pubblicato, come compositore, una polka dal titolo "Tre Baci". Non c'è la certezza sia la stessa persona, ma mi piace pensare che, dopo tutte le sofferenze e tribolazioni passate, il nostro Luigi sia riuscito a pubblicare una sua composizione.


A cura di
Arturo E.A.

Bibliografia:
- "Gli Eserciti pre-unitari e quello Italiano" Rassegna Storica del Risorgimento Italiano 1972 - http://www.risorgimento.it/;
Bollettino ufficiale delle nomine, promozioni e destinazioni negli uffiziali dell'esercito italiano e nel personale dell'amministrazione militare, Ministero della Guerra;
- Enciclopedia Militare, editore Il Popolo d'Italia, 1927-1933.


mercoledì 28 agosto 2019

28 agosto 1915: Antonio Depoli e i fanti della Brigata "Valtellina" a Santa Lucia di Tolmino



In uno dei primi articoli pubblicati su questo blog, ormai quattro anni fa, abbiamo raccontato – prendendo spunto dal ritrovamento di alcune medaglie - la breve storia di un giovane ufficiale genovese: Carlo Balestrero, sottotenente del 26° Reggimento fanteria della Brigata "Bergamo". Ancora, esattamente un anno fa, vi abbiamo narrato le vicende del capitano Paolo Ballatore, del 111° Reggimento della Brigata "Piacenza". Oggi, grazie al recupero di altri cimeli, vi racconteremo invece la vicenda di Antonio Depoli, che si consumò negli stessi giorni di quella del Ballatore, e negli stessi luoghi di quella del Balestrero.

***

La nostra storia prende le mosse da un ritratto fotografico, inserito in una bella cornice dorata, e ritrovato insieme ad un vecchio berretto militare, sporco e polveroso. Lo stesso berretto che si vede, abbastanza distintamente, nella foto stessa.


Il ritratto fotografico da cui prende le mosse questo articolo (coll. dell'A.).


Dettaglio del ritratto fotografico (coll. dell'A.).
 Con un veloce restauro, riconsegniamo al copricapo - un berretto da sottotenente di fanteria secondo il modello disciplinato nel 1895 e confermato nel 1903 - la sua forma originaria, e un certo decoro.

Il berretto, rimesso in forma e ripulito (coll. dell'A.). 
In ultimo, con una non breve ricerca, e tanta fortuna, riusciamo infine a risalire al nome del giovanotto ritratto in foto: si chiamava Antonio Depoli. Nel prosieguo cercheremo di raccontarvi qualcosa di lui.
*


Antonio Depoli [1] nacque a Milano il 28 aprile del 1893. I suoi genitori erano Pietro Depoli, di professione imprenditore, e Carolina Anolari, di condizione agiata. Prima di Antonio, essi avevano già avuto un altro figlio, Giovanni, nato nel 1891. La famiglia risiedeva in una palazzina di Via Montevideo, in zona Porta Genova. Nell'autunno del 1900, la vita famigliare fu funestata dalla morte del capofamiglia, e pertanto i due ragazzi dovettero crescere accuditi dalla sola madre Carolina.
Il giovane Antonio, svolti gli studi inferiori, conseguì il diploma. Dopodiché s'iscrisse, con molta probabilità, alla Scuola di Telegrafia istituita a Milano dal Ministero delle Poste e Telegrafi.

In quegli anni, infatti, lo sviluppo e l'amplissima diffusione delle comunicazioni telegrafiche si scontrava con la carenza di personale specializzato nell'utilizzo di tali apparecchi. Pertanto, furono istituite, in numerosi capoluoghi di provincia, delle "Scuole di telegrafia teorico-pratica", con lo scopo di istruire i nuovi quadri del personale postale. Conseguentemente, l'accesso al concorso da "alunno postale e telegrafico" – che costituiva il primo gradino della carriera da funzionario postale – fu appunto subordinato alla previa frequenza delle scuole di telegrafia.

L'alunnato postale e telegrafico costituiva, come detto, un periodo di lavoro e tirocinio, propedeutico alla nomina a "ufficiale" nei ruoli delle Regie Poste e Telegrafi. A tal fine, gli alunni postali avevano in particolare l'obbligo di svolgere "l'istruzione teorico-pratica sull'apparato telegrafico Hughes", che costituiva necessario requisito per il proseguimento della carriera postale.
Tale dovette essere, pertanto, anche il percorso di Antonio Depoli: questi, dopo aver ben frequentato la scuola di telegrafia di Milano, partecipò dunque al concorso per alunno postale bandito, probabilmente, nei primi mesi del 1913.
Nelle more della pubblicazione dei risultati del concorso,  nel giugno del 1913 il nostro fu chiamato al reclutamento nel Regio Esercito [2]. Presentatosi dunque al Distretto Militare di Milano, fu destinato a frequentare i corsi per allievo ufficiale di complemento, che sarebbero iniziati al termine di quell'anno. Il foglio matricolare ce lo descrive alto 1,69 m, dai capelli castani ondati, di colorito pallido.
Rinviato dunque in congedo, Depoli ritornò al proprio lavoro sino al successivo mese di dicembre. In data 31 dicembre 1913, infine, lasciato il telegrafo, Antonio Depoli fu arruolato.

Benché le sue competenze tecniche ne facessero un prezioso elemento per l'arma del Genio – in seno alla quale si stava sempre più sviluppando la specialità dei telegrafisti – Depoli fu assegnato alla fanteria di linea. In particolare, fu destinato al 92° reggimento della Brigata "Basilicata", con sede a Torino.
Pochi giorni dopo il suo arrivo al reparto, con decreto del 20 gennaio 1914 [3], Depoli ottenne la sospirata nomina ad alunno postale, presso la Direzione provinciale delle Poste e Telegrafi di Milano. Per ironia della sorte, la nomina aveva effetto dal 15 dicembre precedente: pertanto, al giovane funzionario sarebbero stati conteggiati solo quindici giorni di servizio prima di essere posto in aspettativa per servizio militare.

Nel frattempo, si diceva, Depoli raggiunse il proprio reggimento a Torino. Qui svolse l'addestramento di base e, il 31 marzo, ottenne la promozione al grado di caporale. Quattro mesi dopo, ancora, fu promosso al grado di sergente e trasferito al 24° reggimento della Brigata "Como", con sede a Novara. Il suo foglio caratteristico, compilato in tale periodo, ce ne lascia il ritratto che segue.

Fisicamente si presentava di "statura m. 1,69, robusto, discretamente svelto". Sotto il profilo intellettuale, "comprende con facilità gli ordini che riceve. Ha intelligenza normale". Circa le sue qualità morali, "è di indole buona, ha cuore ed è sensibile agli ammonimenti ed ai rimproveri". Il contegno era "in servizio e fuori servizio ottimo".

Con l'autunno – in forza di un Regio Decreto dell'8 novembre - arrivò anche la sospirata nomina al grado di sottotenente [4]. In tale data, Antonio Depoli fu dunque destinato al reparto alle cui vicende avrebbe infine intrecciato la propria vita: il 65° Reggimento Fanteria della Brigata "Valtellina", presso il quale avrebbe dovuto prestare il servizio di prima nomina.



Bella cartolina illustrata della Brigata "Valtellina".
La cartolina fu disegnata nel 1906 da un ufficiale già incontrato in questo blog:
l'allora tenente Elio Ferrari, poi destinato a una brillante carriera, nonché all'eroica morte in guerra, nel 1917.


Per Depoli, milanese, l'assegnazione al 65° dovette probabilmente costituire una soddisfazione: il reggimento aveva infatti sede nella vicina Cremona e, data la lunga permanenza nella regione (precedentemente, era stato di stanza a Como), contava molti ufficiali effettivi lombardi.
Depoli, fresco di nomina ad ufficiale del Regio Esercito, fece dunque ciò che i suoi coetanei facevano nelle identiche circostanze: corse a farsi confezionare l'uniforme turchina. Mentre, infatti, il corredo in tessuto grigioverde era fornito dall'intendenza, quello in panno turchino - nel modello disclipinato nel 1903 -, pur obbligatorio, era di acquisto privato. Il baldanzoso sottotenente scelse dunque di rivolgersi alla premiata sartoria "Giacinto Cesati & figli", una delle più prestigiose sartorie militari di Milano.

Berretto da s.ten. del 65° Regg. Fanteria Brigata "Valtellina" appartenuto a Antonio Depoli (coll. dell'A.).
Si consideri che la tenuta turchina, scenografica ed elegante, era infatti utilizzata sia quale grande uniforme sia quale uniforme da società [5]. La giubba a doppiopetto, le scintillanti spalline metalliche, la sciarpa blu Savoia, costituivano infatti il perfetto look per far colpo sulle giovinette di buona famiglia del centro di Milano. Nonché l'abbigliamento ideale per farsi scattare delle belle foto ricordo.
Ritratto da studio del s.ten. Antonio Depoli in grande uniforme
(rielaborazione da foto tratta dal fascicolo personale digitalizzato, archivio MCRR)
La fine del 1914, in un momento di estrema fibrillazione in tutta Europa – in larga parte già scossa dalla guerra – fu dunque trascorsa da Depoli nella placida provincia lombarda. Il nuovo anno 1915, tuttavia, avrebbe portato, nel giro di pochi mesi, cambiamenti radicali anche per il giovane ufficiale milanese.

La mobilitazione


Senza ripeterci eccessivamente – per approfondimenti rimandiamo all'articolo su Carlo Balestrero – ricorderemo qui che l'ordine di battaglia del Regio Esercito prevedeva che la Brigata "Valtellina" costituisse, insieme alla Brigata "Bergamo", la 7^ Divisione di linea [6]. Questa era assegnata al VI Corpo d'Armata, a sua volta inquadrato nella Seconda Armata. Con il mese di maggio, secondo i piani di mobilitazione, la Brigata "Valtellina" fu trasferita verso il confine con l'Impero Austro-Ungarico, dislocandosi nell'alta valle del Judrio.

Varcato il confine, nella fatidica giornata del 24 maggio, la brigata si schierò di fronte a quello che sarebbe stato l'obiettivo dei suoi sanguinosi sforzi per i due anni successivi: la piazzaforte di Tolmino. Di fronte alla cittadina di Tolmino, sulla riva occidentale dell'Isonzo, si ergevano infatti due modesti rilievi: il colle di Santa Maria (in sloveno, Mengore), e quello di Santa Lucia (in sloveno, Cvetjie).

"Le due colline di S. Maria e S. Lucia sono nell'interno dell'ansa che l'Isonzo descrive in prossimità di Tolmino, ed occupano l'area triangolare determinata dai due rami dell'Isonzo rispettivamente a nord e a sud del punto di flessione e dal solco pel quale passa la rotabile che da Volzana raggiunge la sponda destra dell'Isonzo in prossimità di Selo. Le colline di S. Maria e di S. Lucia hanno ciascuna la base a forma pressoché ellittica, quella di S. Maria - a nord - ha l'asse maggiore orientato nel senso dei paralleli, quella di S. Lucia - a sud - ha l'asse maggiore orientato da N.E. a S.O., e le due dorsali hanno lo stesso andamento degli assi accennati. Nella loro attaccatura le due colline formano l'avvallamento aperto fra Kozarsce, sbocco ovest e Modrejce, sbocco est; e le posizioni marginali delle due colline costituivano nel loro complesso una tanaglia ad angolo ottuso, col vertice a Kozarsce." [7]

Gli Austro-Ungheresi, consci dell'importanza strategica del luogo, avevano provveduto a fortificare, già ben prima dell'entrata in guerra dell'Italia, entrambi i rilievi. Essi, con le opere fortificate circonvicine, costituivano la c.d. "testa di ponte di Tolmino".
Medaglia reggimentale del 65° Regg. Fanteria della Brigata "Valtellina" (coll. dell'Autore).
Al centro, lo stemma della città di Sondrio.
La Brigata "Valtellina", dunque, raggiunse l'Judrio alla vigilia della dichiarazione di guerra. Il Comando della Seconda Armata, frattanto, aveva affidato al IV Corpo d'Armata il compito di agire su Tolmino. In quest'ottica, fu ordinato il concentramento della 7a Divisione intorno al villaggio di Kambresco. Indi, all'alba del 4 giugno, dunque, la 7a Divisione (Brigate "Bergamo" e "Valtellina") iniziò il proprio movimento offensivo: mentre la "Valtellina" svolgeva un attacco dimostrativo contro i villaggi di Canale e Bodrez, la "Bergamo" occupava il costone Cemponi-Krad Vhr, assumendo la fronte dalle pendici del Monte Jeza sino a Doblar.

L'azione, nel settore, riprendeva due settimane dopo, nel quadro della Prima battaglia dell'Isonzo. Alla 7a Divisione, stavolta, era affidato il compito di sorvegliare la sponda destra dell'Isonzo in corrispondenza del Kolovrat, e, inoltre, di svolgere "azioni dimostrative" contro le alture di Santa Maria e Santa Lucia, per tenere impegnato il nemico. La preparazione d'artiglieria di svolse tra l'1 e il 2 di luglio, mentre l'attacco delle fanterie doveva svolgersi il giorno 4. Il sottotenente Antonio De Poli si trovava al comando di uno dei plotoni della 1a compagnia del I battaglione del 65° reggimento.

Nella notte sul 4 agosto, l'ala sinistra della Brigata "Bergamo" assaltò il villaggio di Kozarsce, mentre reparti della Brigata "Valtellina" effettuavano un'azione di sorpresa: in particolare, il 66° reggimento e il I battaglione del 65° attaccarono il nemico fra Ponte San Daniele (sulla strada Volzana-Tolmino) e Kozarsce. Tuttavia, lo slancio dei nostri fanti si arrestò contro le munite posizioni nemiche, e soltanto il II/66° riuscì, di sorpresa, ad occupare una trincea nemica sulle pendici nord-ovest di Santa Maria ed a mantenervisi, malgrado i contrattacchi avversari.
Circa il contegno dei fanti del 65° nella giornata del 4, si noti che il comandante del I battaglione, il maggiore cav. Alessandro Vanzetti - da Verona -, fu decorato con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con questa motivazione:
"Diresse con intrepidezza e sangue freddo l'attacco del battaglione a trincee nemiche" - Santa Maria (Tolmino), 4 luglio 1915
Nella stessa, luttuosa giornata, restò ucciso anche un baldanzoso ufficiale milanese, Pietro Lanzi. Di lui, in quest'articolo, non diremo molto, intendendone parlare più diffusamente in altra sede: iscritto all'albo dei procuratori legali di Milano, sposato e padre di una bimba, già reduce della Guerra Italo-Turca, Pietro Lanzi era animato da un profondo spirito patriottico. Membro di lunga data e animatore del Battaglione Volontari "Sursum Corda", fondato dal mitico ten. colonnello dei bersaglieri Michele Pericle Negrotto, aveva aderito alla causa intervenista, partendo entusiasta per il fronte. Posto al comando di un plotone bombardieri del 65° Reggimento fanteria, il 4 luglio cadde, sotto il roccione di Santa Maria, colpito al volto durante l'ultimo sbalzo. Il suo cadavere fu ritrovato solo tre giorni dopo. Alla sua memoria fu conferita la Medaglia d'Argento al Valor Militare.

Il tenente Pietro Lanzi, del 65° Fanteria, caduto il 4 luglio 1915, MAVM alla memoria
(rielaborazione da foto tratta dal fascicolo personale digitalizzato, archivio MCRR).

Dato che l'azione notturna svolta il 4 agosto non fruttò risultati, fu stabilito di ritentarla nella giornata successiva, 5 agosto, da parte del solo 25° reggimento della "Bergamo". A sera, data la forte resistenza nemica, l'azione fu sospesa e le truppe ritirate dall'abitato di Kozarsce. Nello stesso tempo, il comando della 7a Divisione ordinò che anche la Brigata "Valtellina" riprendesse lo schieramento di partenza occupato prima del 4, dato che le posizioni nel frattempo raggiunte erano di difficilissimo mantenimento.


Le operazioni del mese d'agosto  


Le operazioni di giugno e luglio, pertanto, si erano concluse senza sostanziali progressi sulla fronte della 7a Divisione. Per la restante parte del mese di luglio vi fu, nel settore, una sostanziale sospensione dell'attività. Il 4 agosto, tuttavia, il comando del IV Corpo d'Armata diramava alle proprie unità gli ordini per una nuova azione offensiva sulla propria fronte, che avrebbe avuto per obiettivi – ancora una volta - Tolmino e la conca di Plezzo.

L'attacco contro Tolmino, articolato su tre direttrici, avrebbe visto ancora una volta la 7^ Divisione (allora comandata dal magg. gen. Franzini) impegnata contro le alture di Santa Maria e Santa Lucia. A fronteggiare le truppe italiane stava la 50a Divisione austro-ungherese, e in particolare, tra l'Isonzo e Selo, l'8^ Brigata da Montagna A.U..
Schizzo relativo alle operazioni della 7a Divisione nel settore di Tolmino tra il 14 e il 17 agosto 1915.
(dalla relazione ufficiale italiana, L'Esercito italiano nella grande guerra..., op. cit., vol. II, tomo I).


L'azione, concepita su "due movimenti", iniziò - contro l'obiettivo di Plezzo - la mattina del 12 agosto. Per l'azione contro Tolmino e le posizioni circostanti, si attese invece per altri due giorni, sino al giorno 14. In tale giornata, i reparti della "Valtellina" ritentarono l'attacco contro il colle di Santa Maria: l'operazione - durata sino al giorno 16 -, tuttavia, consentì, a prezzo di gravi perdite, soltanto di avvicinarsi al primo ordine di reticolati.
Particolarmente mortifera fu, per i fanti del 65°, la giornata del 16 agosto: tra i caduti di quel giorno  figurano, infatti, i comandanti del II e III battaglione del 65°, rispettivamente il maggiore cav. Benedetto Calabria - da Trani - (MAVM alla memoria) e il ten. col. Romano Romani (MAVM alla memoria, per le cui vicende rimandiamo ad altro nostro articolo). Ancora, resta ucciso il giovane sottotenente Enrico Lobefalo, da Salerno (MBVM alla memoria). 

Il ten. col. Romano Romani, comandante il III/65°, caduto il 16 agosto 1915, MAVM alla memoria.

 

Il sottotenente Enrico Lobefalo, del 65° Fanteria, caduto il 16 agosto 1915, MBVM alla memoria
(rielaborazione da foto tratta dal fascicolo personale digitalizzato, archivio MCRR).

Ulteriori tentativi furono rinnovati, sino ai giorni 21-22 agosto, dai battaglioni alternantisi a turno in prima linea, ma con scarsi risultati, data la forte efficienza delle difese nemiche.
Cadeva, il 21 agosto, anche il sottotenente Gaspare Tardivelli, del 66° fanteria, classe 1886, MAVM alla memoria.
Lo stesso giorno caddero, tra i tanti, anche valorosi uomini di truppa, tutti decorati di Medaglia di Bronzo al Valor Militare alla memoria: tra questi, il soldato Luigi (o Domenico) Ardiani, da Novellara, del 66° fanteria; il soldato Oreste Canali, da Albinea, sempre del 66°; il soldato Giuseppe Cassinadri, da Carpineti, sempre del 66°; il caporale Angelo Cavanna, da Forotondo, del 65° fanteria; il soldato Giuseppe Fornasari, da Moglia (MN), del 66°; il soldato Dario Marazzi, da Vetto (RE), del 66°; il caporale Guido Negri, da Novellara, del 66°; il caporale Luigi Tirelli, del 66°; il soldato Giuseppe Vignoli, da Castelnovo de' Monti [8]. Questa lista di decorati è interessante perché denota un più pesante impegno offensivo da parte del 66° reggimento, rispetto al gemello 65°, in tali giornate.
Frattanto, il comando del settore fu assunto dal colonnello Eugenio De Maria, animoso comandante del 5° Reggimento Bersaglieri, giunto in zona a metà agosto. De Maria, osservando i risultati delle ultime offensive sferrate nel settore, aveva ben compreso che ulteriori azioni frontali, data la conformazione delle posizioni avversarie, fossero destinate fallire sanguinosamente.

Tuttavia, i comandi superiori esigevano il prolungamento delle operazioni, che dovettero dunque proseguire senza un'adeguata preparazione del terreno. La nuova azione fu, pertanto, pianificata già per il giorno 28 agosto.

La giornata del 28 agosto

L'azione avrebbe dovuto principalmente rivolgersi contro il fronte della Brigata "Bergamo", corrispondente al segmento meridionale dello schieramento della 7a Divisione. Si trattava, cioè, del tratto di fronte antistante alle posizioni del colle di Santa Lucia.
Si consideri, peraltro, che il colle presenta due punti sommitali corrispondenti l'uno alla Quota 590 (noto come Mrzli Vhr)  e l'altro alla Quota 588 (Selski Vhr).
In previsione di tale sforzo offensivo, fu richiamato in zona anche il III Battaglione del 65° Reggimento, costituito dalla 9a, 10a e 11a compagnia. Il battaglione, come accennato, dal 16 agosto era privo del comandante, dato che il precedente, ten. col. Romano Romani, era caduto in tale data.

Tuttavia, insieme ai fanti del III/65°, vi erano alcune aliquote del I battaglione del medesimo reggimento: tra queste, almeno la 1a compagnia del I/65°. Tra i comandanti di plotone di quest'ultima, come detto, c'era anche il nostro giovane ufficiale milanese, il sottotenente Antonio Depoli. Oltre a lui, anche un suo giovane collega, il sottotenente Emilio Angelini, il quale - benché nato a Barletta - era milanese come Depoli.

Secondo il piano concepito dal colonnello De Maria, il 25° fanteria avrebbe dovuto – agendo sulla sinistra - compiere un attacco dimostrativo verso nord, contro la linea ascendente dal rio Ušnik sino a Quota 588. Sulla destra, il 26° fanteria avrebbe dovuto agire contro il costone di Selo da quota 510 sino all'abitato di Selo, tentando di ampliare il tratto occupato durante i precedenti combattimenti.

Si era, dunque, nella prima mattinata del 28 agosto 1915. Le truppe italiane si trovavano – dobbiamo presumere – ancora sulle posizioni di partenza, in attesa dell'ordine di avanzata. Benché l'azione principale fosse stata pianificata per il pomeriggio, è tuttavia probabile che nella mattinata furono ordinate alcune azioni minori, con finalità diversive.

Come tale deve essere inquadrata l'azione della 1a compagnia del 65° Reggimento che, intorno alle ore 8, si preparò ad uscire all'assalto. La situazione era pericolosissima. Il nemico, in posizione sopraelevata e fortemente munita, aveva anche a disposizione numerose mitragliatrici. In quegli attimi concitati, chissà cosa passò per la mente del giovane sottotenente Depoli. Ce lo immaginiamo, nel volgere di pochi minuti, guardare i suoi uomini, sguainare la sciabola, e scavalcare il parapetto della trincea, avanzando verso il proprio destino.

Erano le ore otto e trenta. Così recita la motivazione della Medaglia di Bronzo che sarebbe stata conferita alla memoria del giovane ufficiale:
"Sotto il fuoco violento delle mitragliatrici nemiche, si slanciava, con bell'ardire, contro le trincee avversarie, incitando il proprio plotone, finché cadeva colpito a morte." – Santa Lucia di Tolmino, 2[8] agosto 1915

Antonio Depoli, colpito "alla regione del collo", si accasciò al suolo, spirando in pochi istanti. Così si concludeva la breve vicenda umana di questo giovane di ventidue anni; terminavano i suoi sogni, la sua carriera alle Poste e Telegrafi, la sua gioventù milanese ricca di speranze.
Raccolto dai suoi uomini e inizialmente inumato sullo stesso colle di Santa Lucia, il suo corpo sarebbe poi stato traslato, dopo la guerra, presso il Cimitero Monumentale di Milano, ove riposa tuttora, accanto al padre Pietro.
Nel frattempo, i bravi fanti del 65° continuavano ad accanirsi, invano, contro le posizioni austriache. L'assalto si sarebbe esaurito, infine, il giorno successivo, 29 agosto, portandosi via anche il sottotenente Angelini [9]. Questi, nato a Barletta ma cresciuto a Milano -  dov'era socio del "Circolo filologico milanese" -, ragioniere, era impiegato presso il Credito Italiano. Fu anch'egli decorato con la Medaglia di Bronzo alla memoria, con una motivazione singolarmente (o tragicamente) simile a quella relativa a Depoli:
"Sotto l'intenso fuoco di mitragliatrici nemiche, si slanciava, con bell'ardire, alla testa del suo plotone, contro le trincee avversarie, presso le quali cadeva colpito a morte." – Santa Lucia di Tolmino, 29 agosto 1915
Il sottotenente Emilio Angelini, del 65° Fanteria, caduto il 29 agosto 1915, MBVM alla memoria
(rielaborazione da foto tratta dal fascicolo personale digitalizzato, archivio MCRR).
Quanto ad Antonio Depoli, quel che ci resta di lui è poca cosa: un bel ritratto ovale, contornato da una cornice dorata. E poi, il suo berretto, giunto inaspettatamente sino a noi.
Ce lo vogliamo immaginare sulla testa del suo proprietario, in una bella giornata di sole, in una Milano splendente, un giorno di novembre di centocinque anni fa.


A cura Niccolò F.


P.S.: dedico questo modesto contributo al grato ricordo di Nazario B. che, un anno fa, mi aveva strigliato per qualche imprecisione nell'articolo sul capitano Ballatore; Nazario se n'è andato qualche mese dopo, ma gli insegnamenti che - pur indirettamente - mi ha trasmesso, in tema di uniformologia italiana, restano un suo grande dono.




NOTE
[1] Il cognome è riportato in maniera differente nei documenti di stato civile (Depoli) e in quelli matricolari (De Poli); nell'articolo si prediligerà la grafia Depoli.
[2] I dati relativi alla carriera militare di Antonio Depoli sono tratti dal fascicolo matricolare conservato presso l'Archivio di Stato di Milano, che si ringrazia per la cortese disponibilità.
[3] In G.U. n. 237 del 3 ottobre 1914.
[4] In G.U. n. 281 del 24 novembre 1914.
[5] L'istruzione sull'uniforme degli ufficiali del Regio Esercito approvata nel 1903 prevedeva, sinteticamente, che la grande uniforme fosse costituita dalla giubba a due petti in abbinamento al copricapo speciale per le armi e corpi che ne erano dotati (es. elmi e colbacchi per gli ufficiali di cavalleria) e al berretto per gli altri.
[6] Ordine di battaglia della 7^ Divisione di Linea al 24 maggio 1915: Brigata di Fanteria "Bergamo" (regg. 25° e 26°); Brigata di Fanteria "Valtellina" (regg. 65° e 66°); 21° Regg. Artiglieria da Campagna; VI Gruppo "Udine"/2° Regg. Art. Montagna; V Gruppo/1° Regg. Art.; 1^ Comp. Zappatori del 1° Regg. Genio; Servizi.
[7] L'Esercito italiano..., Vol. II, Tomo I, p. 302.
[8] I nominativi dei decorati sono tratti dal D. Lgt. 25 giugno 1916, Decimo elenco di ricompense al valor militare ai morti in combattimento o in seguito a ferite nella campagna di guerra 1915-1916.
[9] Segnaliamo qui che, dal riassunto storico della Brigata "Valtellina", risulta caduto il 28 agosto 1915 anche il s.ten. Salvatore Costa: si tratta, tuttavia, di un errore, dato che il s.ten. Costa morì, in realtà, il 17 marzo 1916. Ciò risulta, tra l'altro, dall'atto di morte, conservato nel fascicolo personale digitalizzato dal Museo Centrale del Risorgimento in Roma.




BIBLIOGRAFIA
  • Alliney Guido, La Testa di Ponte di Tolmino - Santa Lucia, da Aquile in Guerra, n. 23, 2015.
  • L'Esercito italiano nella grande guerra, Vol. II, vari tomi, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma, 1929.
  • La Grande Guerra sulla fronte Giulia, O. Di Brazzano, Ed. Panorama, 2002.
  • Riassunti Storici dei Corpi e Comandi nella guerra 1915 - 1918 , Roma - Libreria dello Stato.
  • Database online dell'Istituto del Nastro Azzurro, http://decoratialvalormilitare.istitutonastroazzurro.org/



giovedì 2 maggio 2019

San Grado di Merna, 9 ottobre 1916: un episodio di guerra del 75° Fanteria attraverso la storia del tenente Pietro Giustetto

Solo un paio di mesi fa, abbiamo ricordato - attraverso alcune sue foto, acquistate online - il giovane tenente d'artiglieria Armando Multedo, caduto presso San Grado di Merna ai primi dicembre 1916.
Un nuovo ritrovamento fotografico capitatoci in questi giorni, ci porta casualmente a rievocare un'altra figura di giovane ufficiale: Pietro Giustetto, accomunato - come si vedrà - al Multedo dal triste epilogo della sua esistenza. Anche in questo caso, molti dettagli sono stati tratti dai preziosi materiali digitalizzati dall’Università di Torino in occasione del centenario della Grande guerra. Grazie alla sua storia personale, ricorderemo un triste episodio che vide protagonisti i fanti della Brigata "Napoli" nell'ottobre del 1916.

***
Pietro Giustetto nasce a Torino il 10 settembre 1894, primo figlio maschio dei signori Ernesto Giustetto e Maddalena Leboro. Dopo di lui nasceranno i due fratelli Mario e Romeo, nel 1898. La famiglia Giustetto conta, inoltre, due figlie, Giulia e Maria Pierina [1].

Il giovane, detto famigliarmente Pierino, dopo le scuole inferiori frequenta l'istituto tecnico, diplomandosi ragioniere. Trova, poi, impiego presso l'Istituto delle Opere Pie di San Paolo (successivamente  Istituto di San Paolo), uno dei maggiori enti filantropici esistenti in Italia al tempo, nonché - dagli ultimi decenni dell'Ottocento - vero e proprio istituto bancario.
Non pago della propria posizione sociale, il giovane Pierino decide di proseguire - parallelamente al lavoro - anche il suo percorso di studi: intorno al 1912, s'iscrive, dunque, alla facoltà di giurisprudenza della Regia Università di Torino. Chissà se, tra le aule dell'ateneo subalpino, Giustetto ha occasione di incontrare, se non anche di conoscere, un altro giovane e animoso torinese, Pier Felice Vittone, classe 1895, le cui vicende abbiamo narrato tempo fa su questo blog.

Ad ogni modo, nel 1914, quando è chiamato al reclutamento nel Regio Esercito, Giustetto chiede ed ottiene il rinvio del servizio militare per motivi di studio, potendo così proseguire anche nel suo lavoro, e arrivando al terzo anno dei corsi di giurisprudenza.
Con la primavera fatale del 1915, la Storia irrompe, tuttavia, nella vita del giovane torinese: dopo l'inizio delle ostilità è infatti chiamato alle armi, e - assegnato all'arma di fanteria - selezionato per diventare un ufficiale di complemento.

Nel corso dell'estate, dunque, svolge i corsi per allievo ufficiale presso l'Accademia di Modena. Con un bollettino ufficiale del 19 settembre successivo, Pietro Giustetto e altri 2467 suoi colleghi ottengono, infine, la nomina a sottotenente [2].
Una bella foto del s.ten. Pietro Giustetto, del 75° Regg. fanteria Brigata "Napoli" (coll. dell'autore).
Il bollettino informa che "i singoli sottotenenti riceveranno partecipazione della località di presentazione e del giorno in cui ciascuno di essi dovrà trovarsi nella località medesima" avvertendo altresì che essi dovranno raggiungere la località indicata "vestendo l'uniforme della specialità cui sono assegnati, ma senza il numero del reggimento al fregio del berretto e senza mostrine di brigate di fanteria al bavero della giubba". Arrivati a destinazione "i sottotenenti riceveranno comunicazione dei reggimenti ai quali saranno rispettivamente assegnati".
Nei giorni seguenti, dunque, anche il sottotenente Giustetto riceve tale comunicazione: si presenta poi - probabilmente intorno alla metà di ottobre - al distretto militare di Torino, ove riceve notizia del suo reparto di destinazione. La sorte sceglie per lui il 75° Reggimento fanteria che, insieme al 76°, forma la Brigata "Napoli". Il reparto, in tempo di pace, ha la propria sede a Siracusa. Tuttavia, sin dall'inizio delle ostilità con l'Austria-Ungheria, si trova in linea nel settore del Monte Sei Busi, nel settore del basso Isonzo.

Il giovane, può, dunque, completare la sua uniforme, apponendo il numero reggimentale nel tondino del fregio, e facendosi cucire le mostrine bianche - striate di rosso - della sua brigata. E' dunque, probabilmente, l'occasione in cui si fa scattare questa bella foto in posa:
Pietro Giustetto, sottotenente del 75° Regg. Fanteria, Brigata "Napoli" (elaborazione da foto digitalizzata).

Pietro Giustetto, dunque, alla fine di ottobre lascia Torino per raggiungere in linea il proprio reparto, che raggiunge nei primi giorni di novembre. Assegnato al II battaglione, fa immediatamente conoscenza con il suo comandante, il tenente colonnello Luigi Caldieri.
Quest'ultimo avrebbe così ricordato l'episodio [3]:
 "Mi ricordo come se fosse ieri che fui io stesso a riceverlo quel mattino nebbioso del novembre scorso in cui giunse al battaglione, a Seltz [sic], e che lo accompagnai in trincea. Mi colpì subito la sua vivacità, la sua mente svegliata".
Queste lusinghiere parole di Luigi Caldieri nei confronti del giovane sottotenente, ci impongono di soffermarci anche sulla sua interessante figura [4]. Nato a Firenze nel 1871, dopo aver frequentato il Collegio Militare di Roma passa all'Accademia di Modena, ottenendo la nomina a sottotenente nel 1889, e venendo assegnato alla fanteria di linea. Nel 1893 è inviato in colonia: dopo tre anni di servizio in Eritrea, nel 1896 partecipa, inquadrato nel 7° Battaglione fanteria d'Africa, alla fatale Battaglia di Adua, alla quale riesce a sopravvivere, ottenendo anche la Medaglia di Bronzo al Valor Militare. Rimpatriato, promosso capitano, compiuti i corsi alla Scuola di Guerra è trasferito al Corpo di Stato Maggiore. Nel 1911 è mobilitato per la Guerra italo-turca, quale addetto al comando della 1^ Divisione Speciale. Nonostante tale sua particolare posizione, nel 1913 dà ancora una volta prova delle proprie doti di comandante, ottenendo un'altra Medaglia di Bronzo, nel combattimento di Assaba del 23 marzo.

Luigi Caldieri, capitano del Corpo di Stato Maggiore (anni 1912-1913 ca.).

Rimpatriato e promosso maggiore, con l'inizio delle ostilità con l'Austria-Ungheria è addetto allo stato maggiore di alcune grandi unità; nel corso dell'estate, tuttavia, è trasferito alla fanteria ed assegnato al 75° reggimento della Brigata "Napoli". Promosso, in ottobre, al grado di tenente colonnello, assume dunque il comando del II Battaglione a partire dalla metà del mese.

Contestualmente, la Brigata "Napoli" torna in azione, nel quadro delle operazioni della Terza battaglia dell'Isonzo (18 ottobre - 4 novembre 1915). La "Napoli", in particolare, rinnova gli attacchi - già tentati nel corso dell'estate - contro le posizioni del Monte Sei Busi - Quota 61, riuscendo tuttavia a conseguire alcuni risultati, in termini di posizioni occupate. In tale situazione si trova il reparto allorquando, all'inizio del mese di novembre, giunge in linea il sottotenente Giustetto.
Sulle medesime posizioni, dunque, i reggimenti della "Napoli" si attestano e permangono sino alla fine dell'anno. Pietro Giustetto, nel frattempo, è inquadrato nel plotone lanciabombe del reggimento.

Con l'inizio del 1916, il 13 gennaio la "Napoli" è trasferita a riposo ad Aquileja. Indi, un mese dopo, la brigata è inviata nel settore di Monfalcone, alle dipendenze della 16a Divisione. Ivi partecipa ad azioni offensive nel settore di Selz, alternandovi i reparti nel servizio di trincea fino al 23 aprile, durante il quale periodo concorre con alcuni reparti alle azioni svolte in marzo ed aprile dalla brigata Acqui contro le posizioni nemiche di Selz.
Poco dopo, il 1° maggio 1916, Luigi Caldieri assume il comando del 75° Reggimento, abbandonando quello del II battaglione. Quest'ultimo è rilevato dal maggiore Riccardo Neva, che può contare sull'aiuto di un valido aiutante maggiore in seconda: il sottotenente Pietro Giustetto, chiamato a tale ruolo proprio dal predecessore Caldieri. Il maggiore Neva, nato a Maddaloni - in provincia di Caserta - il 28 maggio del 1875, è un altro ufficiale di carriera di lunga esperienza: sottotenente nel 1898, capitano nel 1912 e da poco promosso maggiore. Reduce della guerra italo-turca, aderente alla libera muratoria, è membro della loggia "Progresso" di Tripoli.

Questo avvicendamento avviene nel momento in cui la "Napoli" si sta riordinando in zona di riposo, presso San Valentino. La Brigata ritorna, il 15 maggio, nel settore di Monfalcone, inquadrata nella 14a Divisione, insieme alla Brigata "Cremona" (21° e 22°) e alla VII Brigata di cavalleria appiedata.
Proprio nel settore di Monfalcone, il 18 maggio, il IV/75° ed il I/76° riconquistano alcune posizioni (q. 92 - q. 98 - q. 12). Fra il 14 ed il 17 giugno la brigata attacca ed occupa la q. 108 mantenendola contro i ritorni offensivi del nemico. Una nuova azione viene condotta felicemente fra la fine di giugno e la metà di luglio contro le alture ad est di Monfalcone e frutta l’occupazione di Quota 121 e Quota 85. E' nel quadro di queste azioni che, il 3 luglio, tra i tantissimi cade anche il fante comasco Salvatore Fasola, del 21° reggimento della Brigata "Cremona", cui abbiamo dedicato un articolo del nostro blog.
Finalmente il 12 luglio la Brigata "Napoli", che ha perduto in questi combattimenti oltre 3000 uomini dei quali 96 ufficiali, scende a Strassoldo per riordinarsi.

Per il contegno tenuto nei combattimenti della seconda metà di giugno, la bandiera del 75° reggimento è decorata di Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con questa motivazione:
"Con mirabile slancio e con impeto travolgente, conquistò lunghissimi e importanti tratti di trinceramenti presso Monfalcone, conservandoli ad onta di furiosi e rinnovati contrattacchi del nemico (14-30 giugno 1916)".
Ugualmente, per la brillante azione di comando, Luigi Caldieri è promosso al grado di colonnello per merito di guerra.
Riportiamo letteralmente dal riassunto storico della Brigata "Napoli":
"Durante la battaglia di Gorizia (6 - 17 agosto) la brigata rimane dapprima in riserva e poi, il 13 agosto, viene dislocata a Peteano a disposizione della 23a divisione, donde i suoi battaglioni, inviati in rincalzo di altre unità, concorrono agli attacchi contro le posizioni del M[onte] Pecinka e di S[an] Grado, riuscendo ad espugnare alcuni elementi di trincea.
Il 28, ricevuto il cambio, la brigata si trasferisce a Versa per un breve riposo ed il 12 settembre ritorna nel settore di S[an] Grado per partecipare alla 7a battaglia dell’Isonzo (13 - 14 settembre). Il 15 alcuni suoi battaglioni, messi a disposizione della brigata Granatieri, concorrono all’attacco ed all’occupazione delle alture di San Grado, ove vengono catturati circa 800 prigionieri."

Santuario della Madonna Addolorata di Merna (Mirenski Grad), foto dal web.

Pertanto, a partire dalla metà di agosto, i fanti della "Napoli" si trovano ad operare nel tratto di fronte immediatamente a nord del santuario di San Grado (Mirenski grad) presso la località di Merna (Miren). La Brigata "Napoli", insieme alla "Pinerolo", costituisce la 49a Divisione, comandata da un ufficiale generale napoletano destinato a una fulgida carriera: Armando Diaz. Superfluo sarebbe, in questa sede, dilungarsi sulla sua figura. Possiamo ricordare, tuttavia, il suo periodo quale comandante della 49a Divisione, attraverso una bellissima immagine fotografica che lo ritrae insieme proprio a Luigi Caldieri e a Guglielmo Marescotti, in tal periodo comandante il 76° reggimento della "Napoli":

Autunno del 1916; da sinistra: Armando Diaz, Luigi Caldieri (c.te 75° regg.), Guglielmo Marescotti (c.te 76° regg.). Foto gentilmente concessa da ROCOlor, autore della colorizzazione.
La magistrale colorazione della fotografia si deve a ROCOlor, che ringraziamo per la cortese concessione (segnaliamo, peraltro, ai nostri lettori la sua pagina facebook: https://www.facebook.com/pg/ROCOlor-207023553034368/).


La 49a Divisione, in tale frangente, si trova inquadrata nell'XI Corpo d'Armata, facente parte della Terza Armata (al comando del Duca d'Aosta, Emanuele Filiberto di Savoia).
Dunque, il tratto di fronte affidato alla 49a Divisione trova il proprio punto mediano - nonché la giunzione tra lo schieramento della "Napoli", a nord, e della "Pinerolo", a sud - proprio ai piedi della collina di San Grado, ove le trincee italiane formano una sorta di cuneo verso le sistemazioni difensive nemiche. Ciò si nota anche dalla carta qui sotto (che pure si riferisce alla situazione alla data del successivo 1° novembre).
Situazione al 1° novembre 1916 nel tratto di fronte tra Vertoiba e il Veliki Kribach (al centro, in verde, il Mirenski Grad).

Dettaglio, schieratmento della 49a Divisione al 1° novembre 1916.


Si arriva, così, ai primi giorni del mese di ottobre. Pietro Giustetto, nel frattempo, è stato promosso al grado di tenente.
Il Comando Supremo ha programmato, nel frattempo, una nuova offensiva generale, che costituirà l'Ottava battaglia dell'Isonzo.

Così la Relazione ufficiale italiana ricostruisce la situazione di quei giorni:

"La preparazione dell'ottava battaglia, condotta in modo da essere compiuta per i primi giorni di ottobre, aveva condotto il C[omando] S[upremo] a stabilire la ripresa dell'offensiva pel giorno 5; in conseguenza, dal 1° ottobre in poi la nostra artiglieria prese a svolgere la propria azione sul Carso con accentuata attività; il giorno 4 iniziò il tiro di demolizione delle sistemazioni nemiche di maggiore robustezza, ed il mattino del 5 si accinse al tiro di preparazione per l'attacco. Ma le proibitive condizioni di visibilità sopraggiunte, e la loro persistenza, indussero il C.S., dopo qualche ora, a sospendere l'azione, rinviandola a giorno da stabilirsi"[5].

Se tale è, dunque, la situazione generale, sul fronte della Terza Armata, tuttavia, anche nei giorni successivi al 5 ottobre si procede con il bombardamento:

"Il Comando della 3a Armata, perché gli effetti di distruzione già conseguiti non venissero annullati, dispose [...] che fino alla ripresa dell'offensiva l'artiglieria eseguisse tiri di interdizione specialmente contro le batterie campali, cui non poneva alcun limite nel consumo delle munizioni" [6].

Pertanto, anche sul fronte della 49a Divisione in quei giorni infuria un violento duello d'artiglieria, tra le batterie italiane e quelle avversarie. Il cappellano del 13° Regg. della "Pinerolo" - don Giuseppe Abate - consegna questa descrizione dei giorni precedenti il 10 ottobre:
"E' la lotta di furenti titani d'acciaio, che nascosti tra le forre e tra i boschi, vomitano fuoco micidiale rovente. E' un boato, un rombo continuo" [7].
Vista delle posizioni "ad est di San Grado", da intendersi quali quelle fronteggianti lo schieramento italiano (autunno 1916).
Sono giorni febbrili: sotto questo costante diluvio di fuoco, devono svolgersi gli intensi preparativi per l'offensiva ormai imminente.
E' questo il contesto nel quale, il mattino del 9 ottobre - il giorno prima dello scoccare del grande attacco - il maggiore Riccardo Neva (c.te il II/75°) convoca, nel baracchino del comando di battaglione, due ufficiali del 76° reggimento: si tratta dei capitani Francesco Cultrera e Luigi Morasso.
Francesco Cultrera, nativo di Noto ma residente a Rosolini, classe 1883, nella vita civile è un notaio; sposato con la signora Giuseppina Savarino, ha un figlio di due anni, Salvatore. E' stato richiamato con il grado di sottotenente di complemento nel 1915, e si è meritato una Medaglia di Bronzo al Valor Militare combattendo a Bosco Lancia, il 28-29 ottobre del 1915 [8].
Luigi Morasso, nato a Milano nel 1876, è invece un ufficiale di carriera: sottotenente nel 1898, tenente dal 1902, ottiene i gradi da capitano intorno al 1913, prestando servizio in fanteria. 
Mentre nel ricovero il maggiore Neva tiene a rapporto i due capitani, il tenente Giustetto, aiutante maggiore di battaglione, se ne allontana per qualche momento.
L'attimo è fatale. Un fischio fortissimo, un bolide che squarcia il cielo: è un proietto di un "mortaio di grosso calibro" che si abbatte sul ricovero del comando di battaglione.
Immaginiamo, in qualche modo, l'esplosione violentissima, i detriti scagliati tutt'intorno, lo spostamento d'aria: il sottotenente Giustetto, attonito ma vivo, rimane impietrito. Dalle macerie fumanti del ricovero si levano, strazianti, le urla dei tre malcapitati ufficiali, rimasti sepolti vivi. Che fare? Il pericolo è enorme. Il giovane ufficiale torinese, tuttavia, trova il coraggio di richiamare alcuni uomini e si lancia a soccorrere il suo comandante e i due sfortunati capitani.
Difficile dire quanto duri questa operazione; difficile dire se la scena pietosa si svolga sotto l'occhio vigile e implacabile di qualche osservatore che, lontano, dirige il fuoco delle artiglierie avversarie.
Il triste epilogo è descritto, ancora, dal colonnello Caldieri:
"[Pietro Giustetto] con grande coraggio e grande spirito di abnegazione si diede subito insieme ai militari che aveva riunito, adoperando tutta la sua energia, a disseppellire il Maggiore e i due Capitani che invocavano aiuto. Ma una seconda, identica granata caduta nello stesso punto, col suo scoppio completò la strage uccidendo il Maggiore, i 2 capitani, suo figlio e parecchi dei militari che erano intenti all'opera pietosa" [9].
Pietro Giustetto, colpito al cuore "da una scheggia di granata nemica", muore all'istante, così come la gran parte dei soccorritori, oltre ai tre sfrortunati ufficiali imploranti aiuto.
Una strage, appunto.
La salma del sottotentente Giustetto viene inumata "nel cimitero dei valorosi di Gabri[e]-Gorenje (Vallone)", insieme, s'immagina, a quelle delle altre vittime della tragica giornata.
I luoghi della vicenda narrata in questo articolo: in rosa, il monte Grado, con il santuario; in arancione, la località di Gabrje-Gorenje, ov'era situato il cimitero di guerra per i caduti del settore (rielaborazione da mappa tratta dall'AUSSME, riportata in Guida agli itinerari del Carso dimenticato, pag. 16).
Il giorno dopo, 10 ottobre, scatterà l'offensiva generale sulla fronte carsica, l'Ottava battaglia dell'Isonzo: ma questa è un'altra storia. Quella di Pietro Giustetto e dei suoi sfortunati commilitoni si era conclusa il giorno precedente.
Necrologio di Pietro Giustetto apparso su "La Stampa" del 21 ottobre 1916.
Alla memoria del sottotenente Giustetto sarebbe stata conferita la Medaglia d'Argento al Valor Militare:
"Distintosi sempre per coraggio e sprezzo del pericolos, spirito di sacrificio e sentimento del dovere, trovava morte gloriosa mentre seguendo l'impulso dell'animo generoso, portava soccorso ad altri ufficiali rimasti sepolti sotto le macerie di un edificio soggetto ad intenso bombardamento nemico."- San Grado di Merna, 9 ottobre 1916"
Il 27 maggio del 1918, l'Università di Torino gli avrebbe conferito la laurea ad honorem in giurisprudenza. Negli Anni Trenta, la salma del giovane ufficiale sarebbe stata traslata presso il Sacrario di Redipuglia, ove riposa tuttora [10].

Meno di un mese dopo il 2 novembre 1916, anche il valoroso colonnello Caldieri avrebbe trovato la morte, portando il suo reggimento all'assalto, ad est delle posizioni di San Grado di Merna. Alla sua memoria sarebbe stata conferita la Medaglia d'Oro al Valor Militare, con la seguente motivazione:
Costante esempio a tutti di sprezzo del pericolo, di fede incrollabile nella vittoria, di devozione al dovere, nell’attacco di una fortissima posizione si slanciava alla testa dei suoi battaglioni per infondere loro quell’impeto che solo poteva avere ragione dell’accanita resistenza nemica. A pochi passi dalle mitragliatrici avversarie, oltre la trincea dal suo valore conquistata, cadeva colpito a morte, coronando con una eroica fine la sua efficace opera di ardimentoso comandante. - San Grado di Merna (Gorizia), 2 novembre 1916.

Alla memoria di tutti i giovani e meno giovani protagonisti di questa storia dolorosa, dedichiamo questo nostro articolo.


A cura di Niccolò F.




NOTE
[1] La composizione della famiglia Giustetto è desunta dal necrologio apparso su La Stampa il 21 ottobre 1916.
[2] Il testo del bollettino è riportato in La Stampa, numero di lunedì 20 settembre 1915.
[3] Lettera spedita dal col. L. Caldieri al signor Ernesto Giustetto il 17 ottobre 1916. In Archivio storico dell'Università di Torino.
[4] Le informazioni biografiche che seguono sono tratte da G. Carolei, G. Greganti, G. Modica, Le Medaglia d'oro al Valore Militare dal 1915 al 1916, op. cit., p. 302.
[5] Vol. III, Tomo 3bis, pag. 206.
[6] Ivi.
[7] Cit. in Mitja Juren, Paolo Pizzamus, Guida agli itinerari del Carso dimenticato, pag. 16.
[8] Notizie biografiche sul capitano Cultrera sono tratte dall'opuscolo in memoria leggibile qui: https://teca.bncf.firenze.sbn.it/ImageViewer/servlet/ImageViewer?idr=BNCF00003946351
[9] Lettera spedita dal col. L. Caldieri al signor Ernesto Giustetto il 17 ottobre 1916. In Archivio storico dell'Università di Torino.
[10] Loculo 18339, gradone 10.





BIBLIOGRAFIA
- Materiali digitalizzati dall’Università di Torino nell’ambito dell’iniziativa L’Università di Torino e la Grande Guerra, leggibili all’indirizzo: http://www.grandeguerra.unito.it/items/show/187- USSME, Guerra Italo-Austriaca 1915-1918 - Le Medaglie d'Oro, Vol. 2, 1916, Roma, 1926.
- USSME, L'Esercito Italiano nella Grande Guerra (1915-1918), Vol. III, Roma, Libreria dello Stato.
- M. Juren, P. Pizzamus, Guida agli itinerari del Carso dimenticato, Gaspari, 2010.
- G. Carolei, G. Greganti, G. Modica, Le Medaglia d'oro al Valore Militare dal 1915 al 1916, Roma, 1968.


lunedì 29 aprile 2019

"L'Alpino Gianin - Diciotto anni di storia di un alpino trascritta dai suoi diari" di Diego Anessi

L'ALPINO GIANIN 
Diciotto anni di storia di un alpino trascritta dai suoi diari
di Diego Anessi



In questo volume il figlio Diego Anessi ha trascritto con cura i ricordi della vita militare del padre Giovanni Anessi, alpino della classe 1907.
Il volume può essere diviso in due periodi: il servizio di leva e la seconda guerra mondiale.


La parte del periodo di leva, svolto tra il 1927 ed il 1928 nella 7° compagnia del battaglione Intra del 4° Alpini, è tratta da un diario di 25 pagine nel quale l'Anessi descrive minuziosamente le diverse marce sia estive che invernali, indicando località e commenti sulle caratteristiche di ogni marcia. L'autore ha inoltre inserito interessanti mappe con indicati i sentieri percorsi durante le marce, che possono offrire interessanti spunti per le escursioni agli appassionati di montagna ed escursionismo.


La seconda parte tratta la Seconda guerra mondiale. L'Anessi viene richiamato nel Giugno del '40 col grado di sergente. In sei mesi marcia dalla Liguria al Veneto, per poi essere rimandanto in congedo nel dicembre 1940.
Verrà nuovamente richiamato all'inizio del '43 con l'incarico di furiere, e comincerà a scrivere il suo diario, a mano su un quaderno, poi a macchina, poi ancora a mano su fogli sfusi.
Passa sei mesi in Corsica, altri sei mesi a Orgosolo, quasi un anno tra Serramanna e Cagliari per poi finire gli ultimi sei mesi vicino a Foggia.
Nel diario racconta gli eventi della sua guerra, il suo impegno a procurare il cibo per i suoi soldati, la sua preoccupazione dopo i grandi cambiamenti dell'8 settembre, sempre soffrendo la lontananza e la mancanza di notizie dalla famiglia.
Tornerà a casa nel 1945.

Il volume comprende:
- Numerose mappe e carte geografiche relative agli spostamenti accompagnate da immagini attuali dei luoghi raggiunti;
- 65 foto e cartoline d'epoca degli anni 1907-1945.

Il volume è disponibile rivolgendosi direttamente all'autore sig. Diego Anessi all'e-mail: diegoanessi@gmail.com

domenica 10 marzo 2019

Datare una fotografia - La cavalleria nella riforma Ricotti 1871-1877

Grazie ad alcune recenti ingressi in collezione possiamo finalmente proseguire la serie di approfondimenti sulla datazione delle fotografie del Regio Esercito.
In questo caso ci occuperemo dell'arma di cavalleria in un periodo che vide numerosi cambiamenti nel giro di pochi anni.
Con la riforma Ricotti del 1871 la cavalleria oltre a perdere i fregi che distinguevano i cavalleggeri dai lanceri perse anche, con grandi proteste da parte degli ufficiali, i colori che distinguevano i singoli reparti. Il nuovo colore adottato era il bianco, che era presente su tutte le filettature della divisa e sul bavero delle giubbe sotto forma di fiamme ad una punta.


TRUPPA E SOTTUFFICIALI

1872-1874
La nuova giubba adottata nel 1872 era caratterizzata dalla presenza di sette bottoni metallici e da "mostrine" bianche. Le "mostrine" possono essere indicative del periodo della foto, poichè nelle prime fasi della riforma (1872/73) queste avevano una forma tendente al rettangolare salvo poi assumere, col passare del tempo, una più aggraziata forma a fiamma ad una punta. 
Come copricapo era prevista inizialmente la sola bustina, solo a fine '72 fu reintrodotto il colbacco. Per entrambi come fregio era prescritto lo stellone con all'interno il numero del reggimento di appartenenza.
Il fodero della sciabola in questa prima fase prevedeva la presenza di due campanelle per l'aggancio al cinturino.


Particolare che permette di notare la forma quasi rettangolare delle mostrine al bavero.

Particolare delle due campanelle che permettevano il supporto della sciabola

A fine 1872 venne ripristinato per i primi quattro reggimento l'uso del caratteristico elmo.



1875-76
Nel settembre 1875 il fodero della sciabola perse una delle due campanelle.


Particolare del colbacco. Nello stellone era indicato il reggimento, nella nappina il battaglione.

Particolare del nuovo fodero, si nota l'assenza della seconda campanella.


Sempre nel settembre 1875 la giubba venne modificata, e il numero di bottoni passò da sette a sei.


Particolare delle mostrine, che ormai hanno perso la forma pentagonale per assumere una più aggraziata forma a fiamma.



1877
Nel 1877, probabilmente sotto pressione da parte degli ufficiali dei vari reparti, il ministero ripristinò i fregi caratteristici e i colori dei diversi reggimenti.

Caporale, volontario di un anno, dei Cavalleggeri. Al bavero sono tornate le fiamme a tre punte, e il paramano ha ripreso i colori reggimentali.

Particolare del colbacco col fregio ripristinato. Il numero nel tondino del fregio indica il reggimento, quello nella nappina lo squadrone.

Tavola riassuntiva coi fregi e colori di ogni reparto

UFFICIALI

1872
Per gli ufficiali le prime riforme vennero prescritte con Regio Decreto del 9 settembre 1871, ed entrarono ufficialmente in vigore dal 1° Aprile 1872, e videro l'istituzione di una giubba a doppio petto con:
- Paramani bianchi;
- Filettature bianche;
- Al bavero in velluto nero con fiamme a tre punte di colore bianco, con stellette in ricamo argento su fondo di seta nero.

Inizialmente l'unica copertura per il capo prevista era un nuovo modello di copricapo detto "alla figaro" o, come venne poi soprannominato dagli ufficiali stessi, "Multiforme Geometrico". La prima versione, in uso tra l'aprile e l'ottobre 1872 prevedeva che la soprafascia fosse in panno bianco. Solo dall'ottobre '72 e la soprafascia divenne in velluto nero.


Particolare del "Multiforme Geometrico" del 2° tipo con soprafascia in velluto nero.

Il colonnello Massimiliano Grimaldi di Bellino, comandante dell'8° reggimento "Montebello" tra il 1870 e il 1877.

Verso la fine del '72 per lanceri e cavalleggeri venne reintrodotto, a riprendere la tradizione, il colbacco.

Il colonnello Mucchi cav. Giuseppe, comandante dei lancieri d'Aosta.

Particolare con la penna bianca sul colbacco, ad indicare il comando di reggimento.

Altre foto di ufficiali con colbacco e stellone.

Tenente in grande uniforme

Particolare, si noti la penna d'aquila scura.

Tenente in tenuta ordinaria



1873
Nell'aprile 1873 il "Multiforme Geometrico", visto lo scarso gradimento da parte degli ufficiali, venne abolito ed entrò il uso il berretto "all'Italiana".

Gruppo di ufficiali del 13° Cavalleggeri di Monferrato in tenuta ordinaria. Si nota anche l'ufficiale veterinario con la divisa, più chiara, in panno bleutè.

Particolare del nuovo berretto

1877
Come già visto per la truppa anche per gli ufficiali tornarono in uso i fregi e i colori caratteristici dei vari reparti.


Sottotenente dei cavalleggeri

Anche qui, come per la truppa, ritornano le fiamme al bavero e il fregio caratteristico sul berretto.


A cura di Arturo E. A.

Bibliografia:
- Cantelli Giorgio, "Le uniformi del regio Esercito nel periodo umbertino" USSME 2000;
- Varie tavole del "Codice Cenni"