In questo periodo storico di grande fibrillazione politica e strategica nel Nord Africa, e in specie nella regione libica, e alla vigilia di un possibile intervento militare italiano, appare interessante rispolverare le memorie della Guerra Italo-Turca, ormai risalenti a più d'un secolo fa. Riproponiamo dunque un breve contributo, già pubblicato in altre sedi editoriali [1], relativo a un protagonista dei primissi scontri avvenuti in Tripolitania nell'ottobre del 1911: il tenente Giuseppe Orsi.
Giuseppe Orsi nacque a Napoli il 2 gennaio del 1885: il padre, Nicola, era un affermato medico, mentre la madre, Concetta, era sorella di Francesco Cimmino,
poeta e canzoniere noto al tempo [2]. Nel 1905, compiuti i vent'anni, Orsi fu chiamato a prestare il servizio militare: arruolato, fu assegnato all'arma di fanteria, guadagnandosi poi i gradi da sottotenente. Terminato
il servizio di leva, Orsi decise di proseguire la carriera nel Regio
Esercito. Dopo alcuni trasferimenti, fu destinato all'84°
Reggimento Fanteria della Brigata "Venezia", di stanza a Firenze, e nel 1910 fu promosso al grado di tenente [3]. Gli
anni successivi trascorsero nell'ordinarietà della vita di caserma, sino al fatidico 1911.
In quell'anno, il Governo italiano, sotto la guida di Giovanni Giolitti, concentrò le proprie attenzioni su due periferici vilayet (distretti) dell'Impero Ottomano, che però rivestivano grande importanza strategica per le politiche mediterranee dell'Italia: la Tripolitania e la Cirenaica. Del resto, già nel 1906, nel corso della conferenza di Algeciras, il Regno d'Italia aveva ottenuto che tali regioni fossero formalmente riconosciute come propria "zona di interesse". Il 28 settembre 1911, in seguito ad alcuni incidenti diplomatici alquanto pretestuosi, ma utili a fornire il casus belli, l'ambasciatore italiano a Constantinopoli consegnò alla Sublime Porta, il ministero degli esteri ottomano, un ultimatum che, nonostante l'atteggiamento conciliante dei Turchi, non lasciava aperti spiragli all'ipotesi di una risoluzione diplomatica del conflitto. La risposta turca non giunse, e alle ore 14 del 29 settembre, scaduto il termine dell'ultimatum, una squadra di cacciatorpediniere italiani aprì il fuoco contro una nave turca. La "Guerra Italo-Turca" era iniziata.
La prima parte delle operazioni militari fu, dunque, affidata essenzialmente alla Regia Marina, che si trovava già con forze consistenti al largo delle coste africane. Nel frattempo, in Italia, fervevano i preparativi per costituire e far affluire in Africa il corpo di spedizione che avrebbe dovuto provvedere all'occupazione delle due regioni contese. Difatti, sebbene lo sbarco in Tripolitania fosse un'ipotesi sulla quale lo Stato Maggiore italiano si esercitava, più o meno scopertamente, da circa una decina d'anni, la vera preparazione al conflitto era iniziata solo da poche settimane: nel corso del mese di settembre del 1911, col richiamo della classe di leva del 1889, il reperimento dei materiali e, soprattutto, delle navi necessarie a trasportare uomini e mezzi sulle coste africane. Scelti poi i reparti con i quali costituire il Corpo di Spedizione, nei primi giorni di ottobre essi furono fatti affluire verso le città di Napoli e Palermo, donde si sarebbero imbarcati alla volta dell'Africa.
Giuseppe Orsi, sottotenente dell'84° Reggimento Fanteria Brigata "Venezia" (collezione privata). |
In quell'anno, il Governo italiano, sotto la guida di Giovanni Giolitti, concentrò le proprie attenzioni su due periferici vilayet (distretti) dell'Impero Ottomano, che però rivestivano grande importanza strategica per le politiche mediterranee dell'Italia: la Tripolitania e la Cirenaica. Del resto, già nel 1906, nel corso della conferenza di Algeciras, il Regno d'Italia aveva ottenuto che tali regioni fossero formalmente riconosciute come propria "zona di interesse". Il 28 settembre 1911, in seguito ad alcuni incidenti diplomatici alquanto pretestuosi, ma utili a fornire il casus belli, l'ambasciatore italiano a Constantinopoli consegnò alla Sublime Porta, il ministero degli esteri ottomano, un ultimatum che, nonostante l'atteggiamento conciliante dei Turchi, non lasciava aperti spiragli all'ipotesi di una risoluzione diplomatica del conflitto. La risposta turca non giunse, e alle ore 14 del 29 settembre, scaduto il termine dell'ultimatum, una squadra di cacciatorpediniere italiani aprì il fuoco contro una nave turca. La "Guerra Italo-Turca" era iniziata.
La prima parte delle operazioni militari fu, dunque, affidata essenzialmente alla Regia Marina, che si trovava già con forze consistenti al largo delle coste africane. Nel frattempo, in Italia, fervevano i preparativi per costituire e far affluire in Africa il corpo di spedizione che avrebbe dovuto provvedere all'occupazione delle due regioni contese. Difatti, sebbene lo sbarco in Tripolitania fosse un'ipotesi sulla quale lo Stato Maggiore italiano si esercitava, più o meno scopertamente, da circa una decina d'anni, la vera preparazione al conflitto era iniziata solo da poche settimane: nel corso del mese di settembre del 1911, col richiamo della classe di leva del 1889, il reperimento dei materiali e, soprattutto, delle navi necessarie a trasportare uomini e mezzi sulle coste africane. Scelti poi i reparti con i quali costituire il Corpo di Spedizione, nei primi giorni di ottobre essi furono fatti affluire verso le città di Napoli e Palermo, donde si sarebbero imbarcati alla volta dell'Africa.
Tra essi vi era anche l'84° Reggimento Fanteria al completo, il quale -
insieme all'82° reggimento della Brigata "Torino" e ad altre truppe
di supporto - costituiva la 1^ Brigata della 1^ Divisione Speciale, al comando
del ten. gen. Guglielmo Pecori Giraldi. Da Firenze, dunque, il reparto fu trasferito, in
ferrovia, verso Roma, e poi da qui a Napoli. Si può immaginare l'emozione con
la quale il tenente Orsi apprese la notizia che il suo reparto, prima di
imbarcarsi, avrebbe attraversato le vie della sua città natale. Tra l'8 e il 9
ottobre, difatti, tutti i reparti, giunti a Napoli, furono fatti sfilare sino al
porto, per essere imbarcati. Le truppe attraversarono i viali della
città partenopea in un'atmosfera di grande festa ed entusiasmo, salutati da una
massa imponente di popolazione, e dallo stesso Re Vittorio Emanuele III. Nel
pomeriggio del giorno 9, le prime dodici navi del convoglio si staccarono dalle
coste italiane, con la prora rivolta verso l'Africa. L'84° Regg. Fant. era imbarcato
sul piroscafo "America", il
quale, insieme al "Verona", era una delle navi più moderne e veloci del convoglio. Dunque, quando in Italia
giunsero le notizie del primo attacco turco, sferrato nella notte tra il 7 e
l'8 ottobre, i comandi decisero di distaccare dal convoglio proprio queste due
navi, per farle giungere il prima possibile presso le coste di Tripoli. Il presidio italiano già presente in città, infatti, era costituito dai soli
1700 fanti di marina sbarcati il 5 ottobre. I due piroscafi attraccarono di
fronte a Tripoli intorno alle ore 10 dell'11 ottobre e subito iniziano le operazioni di sbarco, ostacolate
dalle difficili condizioni del mare, dei primi 5000 uomini arrivati: essi
facevano appunto parte dell'84° Regg. Fant., di due battaglioni del 40°, e di un
battaglione dell'11° Reggimento Bersaglieri.
Nella notte successiva, il resto del convoglio lasciò la Sicilia, per giungere a destinazione nella mattinata del giorno 12. In attesa del secondo scaglione (altri tredici piroscafi, in partenza da Napoli), il gen. Carlo Caneva (comandante del Corpo di Spedizione), ordinò lo schieramento delle truppe già sbarcate. Approfittando della zona di sutura tra l'oasi di Tripoli - che cinge la città - ed il deserto, proprio su tale linea fu predisposto il sistema difensivo italiano, costituito da trinceramenti scavati nelle dune e protetti da reticolati di filo spinato. Nei giorni seguenti, dunque, i soldati italiani furono impegnati più che altro a presidiare le posizioni conquistate, tenendo l'occhio vigile verso il deserto, ove, dopo una debole resistenza, si erano ritirate le truppe turche. L'84° Regg. Fanteria - comandato dal colonnello Arturo Spinelli -, in particolare, si trincerò nei pressi di una manciata di casupole, in una località denominata "Sciara Zauia", posta alla periferia meridionale della città di Tripoli (per una panoramica generale delle posizioni occupate dagli Italiani nei dintorni della città, si rimanda al nostro precedente post: Le ridotte nei dintorni di Tripoli - 1911/1913).
Frattanto, la popolazione indigena, dopo un'iniziale accoglienza apparentemente benevola, stava mutando disposizione d'animo nei confronti degli occupanti: vari episodi minori segnalavano questo cambiamento, che rendeva assai più problematica la situazione del nostro contingente. Le operazioni rimasero in stallo per oltre una settimana, e i rari tentativi dei Turchi, rinforzati da gruppi di arabi, di effettuare degli attacchi di sorpresa, vennero subito stroncati dalle truppe italiane. Ciò determinò nei comandi italiani un pericoloso senso di sicurezza. Il mattino del 23 ottobre, infatti, l'11° Reggimento Bersaglieri - al comando del col. Gustavo Fara -, schierato nel villaggio di Sciara Sciat, alle propaggini orientali dell'oasi di Tripoli, fu improvvisamente attaccato da un nutrito contingente di truppe turche. Tale azione, velocemente respinta, era però solo un diversivo rispetto all'attacco principale, sferrato, alle spalle dei bersaglieri, da una miriade di guerriglieri arabi nascosti nell'oasi. Nel frattempo, gli altri reparti del contingente italiano, tra i quali l'84° Fanteria, erano bloccati da altre azioni diversive e non potevano accorrere in soccorso dei bersaglieri. Il tenente Orsi, al comando di un plotone della 7^ compagnia dell'84° Reggimento, partecipò alla battaglia, respingendo coi suoi fanti un assalto degli arabo-turchi, che avevano tentato di sfondare le nostre linee nei pressi della "Caserma di Cavalleria", ov'erano accantonati due squadroni dei Cavalleggeri di Lodi (15° Reggimento). Nei pressi della "caserma", sorgeva un altro edificio, la "casa di Giamail bey": essa era una sorta di "villa fortificata", requisita appunto al dignitario locale Giamail Bey (o Giammil). Lo schieramento dell'84° fanteria si snodava appunto tra tale edificio e, ad est, le trincee occupate dall'82° reggimento della brigata "Torino".
Nonostante la strenua resistenza dei nostri, il bilancio della giornata del 23 ottobre fu pesantissimo: oltre cinquecento uomini, tra soldati e ufficiali del solo 11° Bersaglieri, massacrati. A questo drammatico episodio, seguirono giorni di rastrellamenti e perquisizioni, alla ricerca di "traditori" e "ribelli": numerose furono le fucilazioni sommarie e gli arresti, che contribuirono ad acuire ulteriormente l'ostilità verso i nostri soldati, segnando una pagina poco onorevole per le nostre armi.
Organigramma del 1° Scaglione del Corpo di Spedizione in Tripolitania (da USSME, La campagna di Libia 1911-1912). |
Nella notte successiva, il resto del convoglio lasciò la Sicilia, per giungere a destinazione nella mattinata del giorno 12. In attesa del secondo scaglione (altri tredici piroscafi, in partenza da Napoli), il gen. Carlo Caneva (comandante del Corpo di Spedizione), ordinò lo schieramento delle truppe già sbarcate. Approfittando della zona di sutura tra l'oasi di Tripoli - che cinge la città - ed il deserto, proprio su tale linea fu predisposto il sistema difensivo italiano, costituito da trinceramenti scavati nelle dune e protetti da reticolati di filo spinato. Nei giorni seguenti, dunque, i soldati italiani furono impegnati più che altro a presidiare le posizioni conquistate, tenendo l'occhio vigile verso il deserto, ove, dopo una debole resistenza, si erano ritirate le truppe turche. L'84° Regg. Fanteria - comandato dal colonnello Arturo Spinelli -, in particolare, si trincerò nei pressi di una manciata di casupole, in una località denominata "Sciara Zauia", posta alla periferia meridionale della città di Tripoli (per una panoramica generale delle posizioni occupate dagli Italiani nei dintorni della città, si rimanda al nostro precedente post: Le ridotte nei dintorni di Tripoli - 1911/1913).
Frattanto, la popolazione indigena, dopo un'iniziale accoglienza apparentemente benevola, stava mutando disposizione d'animo nei confronti degli occupanti: vari episodi minori segnalavano questo cambiamento, che rendeva assai più problematica la situazione del nostro contingente. Le operazioni rimasero in stallo per oltre una settimana, e i rari tentativi dei Turchi, rinforzati da gruppi di arabi, di effettuare degli attacchi di sorpresa, vennero subito stroncati dalle truppe italiane. Ciò determinò nei comandi italiani un pericoloso senso di sicurezza. Il mattino del 23 ottobre, infatti, l'11° Reggimento Bersaglieri - al comando del col. Gustavo Fara -, schierato nel villaggio di Sciara Sciat, alle propaggini orientali dell'oasi di Tripoli, fu improvvisamente attaccato da un nutrito contingente di truppe turche. Tale azione, velocemente respinta, era però solo un diversivo rispetto all'attacco principale, sferrato, alle spalle dei bersaglieri, da una miriade di guerriglieri arabi nascosti nell'oasi. Nel frattempo, gli altri reparti del contingente italiano, tra i quali l'84° Fanteria, erano bloccati da altre azioni diversive e non potevano accorrere in soccorso dei bersaglieri. Il tenente Orsi, al comando di un plotone della 7^ compagnia dell'84° Reggimento, partecipò alla battaglia, respingendo coi suoi fanti un assalto degli arabo-turchi, che avevano tentato di sfondare le nostre linee nei pressi della "Caserma di Cavalleria", ov'erano accantonati due squadroni dei Cavalleggeri di Lodi (15° Reggimento). Nei pressi della "caserma", sorgeva un altro edificio, la "casa di Giamail bey": essa era una sorta di "villa fortificata", requisita appunto al dignitario locale Giamail Bey (o Giammil). Lo schieramento dell'84° fanteria si snodava appunto tra tale edificio e, ad est, le trincee occupate dall'82° reggimento della brigata "Torino".
Nonostante la strenua resistenza dei nostri, il bilancio della giornata del 23 ottobre fu pesantissimo: oltre cinquecento uomini, tra soldati e ufficiali del solo 11° Bersaglieri, massacrati. A questo drammatico episodio, seguirono giorni di rastrellamenti e perquisizioni, alla ricerca di "traditori" e "ribelli": numerose furono le fucilazioni sommarie e gli arresti, che contribuirono ad acuire ulteriormente l'ostilità verso i nostri soldati, segnando una pagina poco onorevole per le nostre armi.
Il peggio, tuttavia, doveva ancora venire. Nella notte tra il 25 ed il 26 ottobre, venne notata, dai nostri ricognitori aerei, una frenetica attività del nemico, nella zona immediatamente a sud di Tripoli. In particolare, truppe regolari turche e, soprattutto, bande armate di arabi furono segnalate in avanzamento verso le posizioni italiane. All'alba, la fanteria turca, sostenuta anche da un rado ma efficace fuoco d'artiglieria, si lanciò all'attacco delle trincee italiane nei pressi del forte Messri, nella zona sud est del nostro schieramento. Ma, anche stavolta, si trattava di un diversivo: l'azione principale era infatti diretta a sfondare lo schieramento italiano proprio nella zona di Sciara Zauia, attorno alla "Casa di Giamail Bey", ove, come si è detto, erano schierati i fanti dell'84° ed i cavalleggeri del "Lodi".
Un ufficiale dei cavalleggeri descrisse così la fase iniziale dello scontro: "Lo squadrone appiedato accorse verso le trincee, le quali erano state assaltate sul fronte da un piccolo drappello di cavalleria nemica seguito a breve distanza da numerosa fanteria turca ed araba, mentre alle spalle delle trincee stesse un’orda numerosissima di arabi traditori effettuava simultaneamente un altro attacco[...]".
Enrico
Corradini - giornalista, scrittore e fondatore dell'Associazione Nazionalista Italiana -, inviato a Tripoli, così descrisse il prosieguo della battaglia: "sulla sinistra della Villa di [Giamail,
n.d.A.] Bey guardando il deserto, le
trincee furon rotte e grandi masnade d'arabi deliranti si buttaron dentro.
Sulla sinistra della Villa stava la 6^ compagnia e sulla destra la 7^ col
capitano Hombert. Il 4° plotone della 6^
compagnia, all'urto degli arabi dal di fuori, non resse e si ritirò sopra la
sua compagnia. Gli arabi per quella breccia si rovesciaron dentro come una
fiumana e uniti con altri di loro che durante la notte eran riusciti sullo
stesso punto a insinuarsi nell'oasi per sentieri fondi e coperti dal deserto, e
ad appostarsi dietro muri e ciglioni, tentarono d'accerchiare la 6^ e la 7^
compagnia. La 6^ fece fronte interno e si sottrasse all'accerchiamento, ma
contro la 7^ il movimento riuscì. Il capitano Hombert chiese rinforzi e li
ebbe, ma non bastarono; la compagnia fu spezzata e sbandata [...]".
Tutto pareva perduto, per i fanti della 7^: il capitano Luigi Margery-Hombert ordinò di ripiegare, ma la manovra risultava impossibile, senza qualcuno che rimanesse a copertura della compagnia in ritirata.
Il tenente Orsi, resosi conto della situazione, capì che solo il sacrificio suo e dei suoi uomini poteva consentire al resto della compagnia di ripiegare, e di portarsi in salvo. Quel ragazzo di ventisei anni, gettato in mezzo al deserto dal destino e dalla Storia, trovò così nel suo cuore il coraggio per gridare ai propri uomini:
"Questo è il nostro posto, stringetevi attorno al vostro tenente; qui dobbiamo sostenere l'onore del nostro reggimento!".
Così si consumò il dramma del giovane ufficiale napoletano, e del suo manipolo di uomini, accerchiati e decimati dal fuoco serrato dei nemici, tanto superiori di numero. Con la sciabola ancora in pugno, già ferito, Orsi fu colpito due volte al petto, ma trovo ancora la forza per pronuniare un'ultima frase:
"Avanti, avanti ragazzi! Viva il Re, viva l'Italia!".
Una rara immagine della "Casa di Giamail bey" e del punto esatto ove si consumarono gli ultimi istanti di vita di Giuseppe Orsi, è contenuta nel fondo fotografico del ten. Giuseppe Ariani, al quale è già stato dedicato un articolo di questo blog (vedasi Le ridotte nei dintorni di Tripoli - 1911/1913 ).
Tutto pareva perduto, per i fanti della 7^: il capitano Luigi Margery-Hombert ordinò di ripiegare, ma la manovra risultava impossibile, senza qualcuno che rimanesse a copertura della compagnia in ritirata.
Il tenente Orsi, resosi conto della situazione, capì che solo il sacrificio suo e dei suoi uomini poteva consentire al resto della compagnia di ripiegare, e di portarsi in salvo. Quel ragazzo di ventisei anni, gettato in mezzo al deserto dal destino e dalla Storia, trovò così nel suo cuore il coraggio per gridare ai propri uomini:
"Questo è il nostro posto, stringetevi attorno al vostro tenente; qui dobbiamo sostenere l'onore del nostro reggimento!".
Così si consumò il dramma del giovane ufficiale napoletano, e del suo manipolo di uomini, accerchiati e decimati dal fuoco serrato dei nemici, tanto superiori di numero. Con la sciabola ancora in pugno, già ferito, Orsi fu colpito due volte al petto, ma trovo ancora la forza per pronuniare un'ultima frase:
"Avanti, avanti ragazzi! Viva il Re, viva l'Italia!".
Una rara immagine della "Casa di Giamail bey" e del punto esatto ove si consumarono gli ultimi istanti di vita di Giuseppe Orsi, è contenuta nel fondo fotografico del ten. Giuseppe Ariani, al quale è già stato dedicato un articolo di questo blog (vedasi Le ridotte nei dintorni di Tripoli - 1911/1913 ).
Foto tratta dall'Archivio del ten. Roberto Ariani, che mostra il punto ove cadde il ten. Giuseppe Orsi (foto originale, collezione A.E.A.) |
Colpito nuovamente alla testa, si accasciò esanime. Avrebbe raccontato, anni dopo, lo zio, avv. Raffaele Orsi: "Si trovò schiacciato l’orologio da una palla, ed altra perforò nel portafoglio la reliquia più cara, che il valoroso combattente aveva portato nelle lontane plaghe, il ritratto del padre suo".
Sempre nel portafogli, furono trapassati anche un biglietto da visita e una banconota, che presentiamo qui sotto:
Un triste cimelio: banconota da 5 Lire e biglietto da visita, perforati da proiettile, rinvenuti nel portafogli del ten. Orsi (collezione privata). |
A sera, l'84° Reggimento contò le proprie perdite: quarantaquattro tra
soldati, graduati e sottufficiali, e quattro ufficiali. Essi erano: il capitano Luigi Margery Hombert, da Bagno a Ripoli, comandante la 7^ Compagnia; il capitano Vittorio Faitini, da Verona, comandante interinale del II Battaglione dell'84°; il tenente Lionello Bellini, da Firenze; il tenente Giuseppe Orsi. Le loro spoglie, dapprima inumate presso il piccolo monumento eretto sul luogo del combattimento, sarebbero poi state traslate presso l'Ossario dell'84° Reggimento Fanteria (oggi, a quanto se ne sappia, raso al suolo).
Alla memoria del giovane ufficiale napoletano, nel 1912, sarebbe stata conferita la Medaglia d'Oro al Valor Militare, con la seguente motivazione:
A Giuseppe Orsi furono tributate molte onoranze: il Comune di Napoli, tra l'altro, fece murare una lapide commemorativa sulla sua casa natale - in Via Foria - e ne fece poi realizzare un busto bronzeo, ancora oggi conservato presso la sede del Municipio (visibile qui: busto del ten. Orsi conservato presso Palazzo San Giacomo - Napoli ).
Ma forse, il suo ideale epitaffio è quello vergato dal Vate, Gabriele d'Annunzio, nei versi della sua "Canzone della diana":
"Su, compagnia dello stendardo verde, Ottava! Su, la Settima, col prode Orsi! L'inferno di Giammìl si perde...".
A cura di Niccolò F.
NOTE:
[1] In MILITES - n°48, gennaio/febbraio 2012, p. 26 e ss.
[2] La famiglia Orsi era originaria di Casapulla, in provincia di Caserta; tale Comune dedicò poi una via alla memoria di Giuseppe Orsi.
[3] Voce Orsi, Giuseppe, in Enciclopedia Militare, op. cit., Vol. 5, p. 682.
Monumento ai caduti negli scontri del 23 e del 26 ottobre 1911 (cartolina d'epoca, collezione privata). |
Ossario dei caduti dell'84° Reggimento Fanteria (cartolina d'epoca, collezione privata). |
Alla memoria del giovane ufficiale napoletano, nel 1912, sarebbe stata conferita la Medaglia d'Oro al Valor Militare, con la seguente motivazione:
«Essendo in trincea, attaccato da forze soverchianti di fronte ed a tergo, resisté con fermezza e con molto ardimento. Avvertito che il grosso della compagnia si ritirava, ordinò al suo plotone di serrarsi attorno a lui, dicendo : "Questo è il nostro posto, stringetevi attorno al vostro tenente; qui dobbiamo sostenere l'onore del nostro reggimento!". Morì in mezzo ai suoi soldati.» - Sciara Zauia, 26 ottobre 1911.
A Giuseppe Orsi furono tributate molte onoranze: il Comune di Napoli, tra l'altro, fece murare una lapide commemorativa sulla sua casa natale - in Via Foria - e ne fece poi realizzare un busto bronzeo, ancora oggi conservato presso la sede del Municipio (visibile qui: busto del ten. Orsi conservato presso Palazzo San Giacomo - Napoli ).
Lapida murata sulla facciata della casa natale del tenente Orsi a Napoli (dall'opuscolo commemorativo, collezione privata). |
Ma forse, il suo ideale epitaffio è quello vergato dal Vate, Gabriele d'Annunzio, nei versi della sua "Canzone della diana":
"Su, compagnia dello stendardo verde, Ottava! Su, la Settima, col prode Orsi! L'inferno di Giammìl si perde...".
A cura di Niccolò F.
NOTE:
[1] In MILITES - n°48, gennaio/febbraio 2012, p. 26 e ss.
[2] La famiglia Orsi era originaria di Casapulla, in provincia di Caserta; tale Comune dedicò poi una via alla memoria di Giuseppe Orsi.
[3] Voce Orsi, Giuseppe, in Enciclopedia Militare, op. cit., Vol. 5, p. 682.
BIBLIOGRAFIA:
- In memoria di Giuseppe Orsi - tenente nell'84° Fanteria, Napoli, R. Tip. Giannini, 1914.
- Voce Orsi, Giuseppe, in Enciclopedia Militare - Arte, Biografia, Geografia, Storia e Tecnica militare, Istituto Editoriale Scientifico - Il Popolo d'Italia, Milano, 1933.
- Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito, La campagna di Libia 1911-1912, Libreria dello Stato;
- Voce Orsi, Giuseppe, in Enciclopedia Militare - Arte, Biografia, Geografia, Storia e Tecnica militare, Istituto Editoriale Scientifico - Il Popolo d'Italia, Milano, 1933.
- Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito, La campagna di Libia 1911-1912, Libreria dello Stato;
- S. Romano, La Quarta
Sponda, Longanesi, 2005.
- D. Temperino, Storia del
reggimento "Cavalleggeri di Lodi";
- R. Orsi, Gli uomini
illustri di Casapulla;
- G. Volpe, Italia Moderna,Vol. II, Firenze, Le Lettere, 2003.
- E. Corradini, La conquista
di Tripoli.
Nessun commento:
Posta un commento