sabato 27 marzo 2021

Breve profilo di Romano Romani, caduto sul colle di Santa Maria di Tolmino

Nel raccontare la vicenda umana e militare del giovane sottotenente milanese Antonio Depoli, abbiamo rievocato anche la figura del maggiore Romano Romani. In questo post, cercheremo di tratteggiarne un breve ritratto.

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Romano Romani nacque a Reggio nell'Emilia il 20 settembre del 1864. Era figlio dell'avv. Antonio Romani, possidente, e della signora Luigia Camurani, i quali gli imposero i nomi di Romano, Priamo, Mario. Nato nella centralissima Via Calcagni (attuale via Guido da Castello), dopo gli studi intraprese la carriera militare, venendo ammesso alla Scuola Militare di Modena. Da essa uscì nel 1883, diciannovenne, con i gradi da sottotenente. Assegnato all'arma di fanteria, di seguito prestò servizio presso reparti dislocati in varie località della Penisola. Nel 1887 fu mobilitato per l'Africa e dunque si trattenne in colonia fino all'anno successivo, quando fu rimpatriato. Probabilmente, è in tali circostanze che al Romani fu conferita una prima Medaglia d'Argento al Valor Militare, della quale non è purtroppo stato possibile reperire la motivazione [1].

Di seguito, Romani subì numerosi altri trasferimenti, da Lodi a Massa e poi a Pinerolo, ove - con il grado di capitano - fu inquadrato nel 90° reggimento fanteria sino al 1903. Insignito del cavalierato dell'Ordine della Corona d'Italia, nel 1910 fu poi promosso al grado di maggiore. Nel frattempo, fu assegnato al 65° reggimento della Brigata "Valtellina", con sede in Cremona. Il maggiore, tuttavia, insieme alla sua famiglia aveva nel frattempo preso domicilio a Lonato, in provincia di Brescia.

Timbro con stemma e motto del 65° reggimento fanteria, da una cartolina (coll.d.A).

Con il fatale 1915, Romano Romani fu, infine, promosso al grado di tenente colonnello, e gli fu affidato il comando del III Battaglione del 65° reggimento. Il comando del reggimento era nelle mani del colonnello Agenore Viganoni. In tale gravosa posizione, Romani si trovava dunque alla vigilia della dichiarazione di guerra con l'Austria-Ungheria. 

La mobilitazione e l'arrivo in zona di guerra

Senza qui ritornare su argomenti già trattati in questo blog – per approfondimenti rimandiamo all'articolo su Carlo Balestrero e a quello su Antonio Depoli – ricorderemo solo che l'ordine di battaglia del Regio Esercito prevedeva che la Brigata "Valtellina" costituisse, insieme alla Brigata "Bergamo", la 7^ Divisione di linea. Questa era assegnata al VI Corpo d'Armata, a sua volta inquadrato nella Seconda Armata. Con il mese di maggio, secondo i piani di mobilitazione, la Brigata "Valtellina" fu trasferita verso il confine con l'Impero Austro-Ungarico.

Varcato il confine, il giorno 24 maggio, la brigata si schierò di fronte a quello che sarebbe stato l'obiettivo dei suoi sanguinosi sforzi per i due anni successivi: la piazzaforte di Tolmino. Di fronte alla cittadina di Tolmino, sulla riva occidentale dell'Isonzo, si ergevano infatti due modesti rilievi: il colle di Santa Maria (in sloveno, Mengore), e quello di Santa Lucia (in sloveno, Cvetjie).
Gli Austro-Ungheresi, consci dell'importanza strategica del luogo, avevano provveduto a fortificare, già ben prima dell'entrata in guerra dell'Italia, entrambi i rilievi.

La Brigata "Valtellina", dunque, raggiunse l'Judrio alla vigilia della dichiarazione di guerra. Il Comando della Seconda Armata, frattanto, aveva affidato al IV Corpo d'Armata il compito di agire su Tolmino. In quest'ottica, fu ordinato il concentramento della 7^ Divisione intorno al villaggio di Kambresco. Indi, all'alba del 4 giugno, dunque, la 7^ Divisione (Brigate "Bergamo" e "Valtellina") iniziò il proprio movimento offensivo: mentre la "Valtellina" svolgeva un attacco dimostrativo contro i villaggi di Canale e Bodrez, la "Bergamo" occupava il costone Cemponi-Krad Vhr, assumendo la fronte dalle pendici del Monte Jeza sino a Doblar.

L'azione, nel settore, riprese due settimane dopo, nel quadro della Prima battaglia dell'Isonzo. Alla 7^ Divisione, stavolta, era affidato il compito di sorvegliare la sponda destra dell'Isonzo in corrispondenza del Kolovrat, e, inoltre, di svolgere "azioni dimostrative" contro le alture di Santa Maria e Santa Lucia, per tenere impegnato il nemico. La preparazione d'artiglieria di svolse tra l'1 e il 2 di luglio, mentre l'attacco delle fanterie avvenne il giorno 4.

Tuttavia, lo slancio dei nostri fanti si arrestò contro le munite posizioni nemiche, e soltanto il II/66° riuscì, di sorpresa, ad occupare una trincea nemica sulle pendici nord-ovest di Santa Maria ed a mantenervisi, malgrado i contrattacchi avversari. Visto l'esito sfortunato di tale attacco, il comando della 7^ Divisione ordinò che anche la Brigata "Valtellina" riprendesse lo schieramento di partenza occupato prima del 4, dato che le posizioni nel frattempo raggiunte erano di difficilissimo mantenimento.

Le operazioni del mese d'agosto 1915

Per la restante parte del mese di luglio vi fu, nel settore, una sostanziale sospensione dell'attività. Il 4 agosto, tuttavia, il comando del IV Corpo d'Armata diramò alle proprie unità gli ordini per una nuova azione offensiva sulla propria fronte, che avrebbe avuto per obiettivi – ancora una volta - Tolmino e la conca di Plezzo.

L'attacco contro Tolmino, articolato su tre direttrici, avrebbe visto ancora una volta la 7^ Divisione (allora comandata dal magg. gen. Franzini) impegnata contro le alture di Santa Maria e Santa Lucia. A fronteggiare le truppe italiane stava la 50a Divisione austro-ungherese, e in particolare, tra l'Isonzo e Selo, l'8^ Brigata da Montagna A.U..

L'azione, concepita su "due movimenti", iniziò - contro l'obiettivo di Plezzo - la mattina del 12 agosto. Per l'azione contro Tolmino e le posizioni circostanti, si attese invece per altri due giorni, sino al giorno 14. In tale giornata, i reparti della "Valtellina" ritentarono l'attacco contro il colle di Santa Maria: l'operazione durò sino al giorno 16, vedendo l'avvicendamento in prima linea dei vari battaglioni del 65° reggimento. Il giorno 16 agosto, il ten. col. Romani si trovava con il proprio battaglione (III Btg./65) in riserva reggimentale. Fu in queste circostanze che egli ricevette dal colonnello Viganoni l'ordine di avanzare con una delle proprie compagnie sino alla prima linea, in rincalzo di altro battaglione - probabilmente il III, al comando del maggiore Benedetto Calabria. Tutta la linea, però, si trovava sotto un diluvio di fuoco d'artiglieria avversario. 
Il tenente colonnello Romani, nell'eseguire quell'ordine, stava scrivendo l'ultimo capitolo della sua avventura umana. Quel che seguì ci viene restituito dalla motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare che fu conferita alla sua memoria:
"Avuto ordine dal comandante del reggimento, di fare avanzare una delle sue compagnie a rincalzo del battaglione di prima linea in posizione fortemente battuta dall'artiglieria nemica, personalmente condusse il reparto al posto stabilito, incorando col proprio coraggio i soldati che lo seguivano. Compiuta l'occupazione, una granata avversaria lo colpiva a morte." - Santa Maria di Tolmino, 16 agosto 1915.

L'azione della Brigata "Valtellina", purtroppo, consentì soltanto di avvicinarsi al primo ordine di reticolati. Il prezzo furono tante vite, di ufficiali e soldati di entrambi gli schieramenti.

Alla memoria di tutti loro, e in particolare del ten. col. Romani, vecchio ufficiale cinquantunenne, reduce d'Africa, dedichiamo questo nostro articolo. 

NOTE
1. La medaglia è tuttavia menzionata sugli annuari militari, cfr. Annuario Militare del Regno d'Italia per l'anno 1913.

A cura di Niccolò F.

mercoledì 10 marzo 2021

Una vita al servizio della Patria: storia del generale Enrico Secchi

Questo articolo rappresenta un perfetto esempio dell'interazione virtuosa che il web consente, nel campo delle ricerche storiche e genealogiche: dopo la pubblicazione del nostro articolo dedicato al colonnello Vero Wilmant , siamo infatti entrati in contatto con un suo pronipote che, con estrema cortesia e competenza, ci ha svelato, a poco a poco, la storia avventurosa della sua famiglia. Questo articolo, per la penna brillante di Enrico Secchi, è dunque dedicato alla vicenda umana del suo omonimo nonno, valoroso ufficiale del Regio Esercito, prima, e poi dei Reali Carabinieri. 
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Il generale Enrico Secchi (1887-1963).

Enrico Secchi nacque a Lodi il giorno 11 dicembre 1887. Il padre, Bassano, era un funzionario nell’Amministrazione Comunale di Lodi, che ancora molto giovane, s’innamorò di una giovane donna sempre di Lodi, che sposò nel 1884. La giovane sposa si chiamava Zaira Wilmant, anch’essa proveniente da famiglia agiata, proprietaria della locale Tipografia e Casa editrice Wilmant e figli, una delle più importanti della Lombardia, avendo fondato negli anni due testate giornalistiche e pubblicato importanti testi, come una delle prime versioni del romanzo che conosciamo come "I promessi sposi" di Manzoni. Dalla loro unione nacquero due figli maschi: il primogenito Francesco, che prese il nome del nonno paterno - il quale allevato dal padre nelle idee liberali partecipò pochi mesi dopo il suo matrimonio alle “cinque giornate” di Milano -, ed Enrico appunto, nome del nonno materno - anch’esso patriota e combattente nell’insurrezione di Milano contro le truppe del maresciallo Radetzky -. [Zaira Wilmant era sorella del colonnello Vero Wilmant, ndR].

Francesco - fratello maggiore di Enrico -, si laureò nel 1909 in Giurisprudenza presso l’Università di Genova. Nel 1910, appena venticinquenne, ottenne, a seguito di concorso, la nomina a Segretario Generale degli Istituti di Beneficenza del circondario di Lodi. Francesco fu chiamato alle armi nel 1916 e combatté nella prima guerra mondiale, raggiungendo il grado di Tenente di artiglieria di complemento. Durante la battaglia del Piave fu sottoposto con la sua batteria a ripetuti lanci, da parte degli austriaci, di gas asfissianti per ben tre giorni, e, malgrado le maschere antigas, allora ai primi esperimenti, ne rimase intossicato, fatto questo che ne minò lentamente il fisico. Pertanto, posto in congedo nel 1918, dopo la vittoriosa conclusione della guerra, la sua salute deperì sempre di più e nel 1923 morì di trombosi a soli 38 anni, lasciando la moglie e le due figlie ancora piccole.
Francesco Secchi, in uniforme da s.ten. d'artiglieria (archivio famiglia Secchi).

Il secondo figlio, Enrico, crebbe di alta statura (oltre m. 1,80), con occhi grigi e penetranti. Portato, come tutti nella sua famiglia, alla musica, era particolarmente appassionato di quella lirica, che coltivava e conosceva perfettamente; aveva inoltre ereditato una bellissima voce da baritono dallo zio materno Tieste Wilmant e, avendola coltivata, si dilettava a cantare specialmente romanze liriche.

Il 21 novembre 1906, Enrico, superati i difficili esami di ammissione entrò alla Scuola Militare di Modena (l’attuale Accademia Militare), iniziando così la carriera militare. Promosso Sottotenente nell’ottobre del 1908, frequentò la Scuola Centrale di Tiro di Parma (denominata successivamente Scuola di Applicazione, con sede sempre a Parma fino al termine della seconda Guerra Mondiale e, dopo il conflitto, a Torino); alla fine di tale corso, dopo aver prestato giuramento il 20 novembre 1908, venne destinato al 67° Reggimento Fanteria di Linea della Brigata “Palermo”, in guarnigione nella città di Como.
Il s.ten. Enrico Secchi con un gruppo di ufficiali del 67° fanteria nel 1910 (archivio famiglia Secchi).

Negli anni successivi, Enrico si dedicò all'ordinario svolgersi della vita reggimentale, tra esercitazioni, attività di Pubblica Sicurezza e interventi in caso di calamità naturali, ma nell'imminenza della guerra italo-turca il reggimento a cui apparteneva visse un periodo di particolare attività fino allo scoppio repentino del conflitto.
Il 17 giugno 1911 l'intero reggimento venne inviato in servizio di Pubblica Sicurezza a Milano in occasione dei disordini avvenuti per l'imminente guerra di Libia, rimanendovi fino al 5 luglio.
Sempre nel luglio 1911, mentre Enrico si trovava alle “manovre estive” in Albano Sant’Alessandro (Bergamo), dovette accorrere presso il capezzale del padre, colpito da un improvviso malore (“ictus cerebrale”), che spirò tra le sue braccia. Bassano aveva solo 51 anni.

Nell’ottobre 1911, scoppiò la guerra italo-turca per la conquista della Tripolitania e della Cirenaica (che sarebbero, poi, state unite sotto il nome di Libia) ed Enrico, mobilitato poco dopo, partì per il fronte con un contingente del 67° [probabilmente inquadrato nel 68° reggimento della medesima Brigata "Palermo", ndR]: imbarcandosi da Napoli il 25 settembre 1912, sbarcò a Bengasi il 28 settembre 1912. Dopo aver partecipato a diverse azioni belliche, contrasse una malattia di carattere intestinale, che si rivelò subito molto grave, ma che, però, in quei tempi non ancora avanzati della medicina, non venne diagnosticata con precisione; pertanto, dopo un breve periodo di degenza presso un ospedale da campo, imbarcato a Bengasi il 30 novembre 1912, venne rimpatriato a Palermo il 6 dicembre 1912 con la nave ospedale “Regina Margherita” e ricoverato all’Ospedale Militare di Palermo. Ma anche qui si brancolava nel buio ed Enrico, febbricitante, fu dichiarato in imminente pericolo di vita. Venne allora subito chiamata la madre Zaira, che si precipitò da Senna Lodigiana e che, ospitata nell’Ospedale stesso, si adoperò in tutti i modi per alleviare le sofferenze del figlio. Fortunatamente, proprio in quel periodo giunse all’Ospedale Militare un Ufficiale Medico, di cognome Ciulla, siciliano, che si dimostrò perfetto diagnostico, riuscendo a salvare da sicura morte Enrico mediante cure finalmente adeguate al particolare caso (Ileo-Tifo, anche detto tifo addominale), e portandolo a completa guarigione. La malattia era durata esattamente dal 18 ottobre 1912 al 15 gennaio 1913, seguita, poi, da un periodo di convalescenza di 90 giorni; in tutto, ben sei mesi. Finita la convalescenza, Enrico rientrò in servizio a Milano.

Nel 1914, vinse un concorso per l’Arma dei Carabinieri Reali, ove entrò con il grado di Tenente; fu destinato alla Tenenza di Asti alle dipendenze del Capitano Enrico Chiabrando, da lui sempre ricordato per la sua bontà e rettitudine.

Nel maggio del 1915, si fidanzò con una signorina del luogo, Francesca Moriondo, e il matrimonio, avendone avuto la necessaria autorizzazione dal Sovrano, fu celebrato il 16 agosto successivo, in quanto, essendo l’Italia entrata in guerra il precedente 24 maggio a fianco degli Alleati contro gli Imperi Austriaco e Tedesco, Enrico era già stato mobilitato; infatti, dopo pochi giorni, a settembre, fu inviato al fronte, esattamente a Santa Maria di Tolmino, al comando di un plotone distaccato del III Battaglione del Reggimento Carabinieri Reali. I plotoni venivano normalmente assegnati per servizi di Polizia Militare; i Carabinieri Reali, dunque, agivano non solo nelle retrovie, ma anche nelle posizioni di prima linea, ai posti di medicazione, agli sbocchi dei camminamenti, nei punti di passaggio obbligato, lungo le strade direttrici di marcia delle truppe operanti. Questi erano i loro compiti assegnati, oltre quelli di Arma combattente, di esecuzione di bandi per i militari e per le popolazioni civili, di recapito di ordini, di servizi di sicurezza in sosta e in marcia, di polizia giudiziaria per i reati militari e comuni, di vigilanza sanitaria, di assistenza ai feriti, di ordine interno dei centri abitati, di sicurezza delle comunicazioni, di prevenzione e repressione dello spionaggio. Successivamente, promosso Capitano il 14 giugno 1917 a novembre dello stesso anno Enrico venne assegnato alla sorveglianza del servizio di protezione e vigilanza delle ferrovie dipendenti dalla VII Armata.
Enrico Secchi in uniforme da capitano dei Carabinieri Reali (archivio famiglia Secchi).

Alla fine della Prima guerra mondiale, Enrico, ormai Capitano, si trovava a Como, quale Comandante della Compagnia esterna dei Carabinieri Reali di Via Dante. Quivi, nel 1921 nacque Bassano, suo secondogenito, mentre la sua primogenita, Domitilla, era nata durante la guerra nel 1916 ad Asti.

In questo periodo, molto turbolento del dopoguerra soprattutto per l’ordine pubblico – il c.d. biennio rosso -, ricevette il suo primo Encomio Solenne con la seguente motivazione: 
“In occasione di grave triplice omicidio a scopo di furto, che aveva profondamente commossa l’opinione pubblica e le cui indagini si presentavano di speciale difficoltà, impartiva al comandante di stazione interessata intelligenti istruzioni e direttive, che condussero all’arresto ed alla confessione del colpevole. Bregnano (Como) 16 marzo 1920 (2° Gruppo Legioni)”, cui si dovette aggiungere un secondo encomio solenne per lo stesso fatto dal Ministero dell’Interno.

Intanto, scioperi e manifestazioni si moltiplicavano sempre più in tutta Italia ed Enrico a Como si trovò costantemente in prima linea, al fine di arginare le violenze e i disordini. Il giorno 14 settembre 1920, accadde l’episodio più cruento; infatti, Enrico intervenne a Como insieme ai suoi Carabinieri coadiuvati da Agenti investigativi, Guardia di Finanza e Soldati per fermare un corteo vietato dalla Questura, intimando ai dimostranti tra piazza San Fedele e Via Indipendenza di disperdersi. Ne nacquero subito dei tafferugli e dalla folla partirono alcuni colpi di rivoltella e un proiettile sfiorò proprio Enrico. Gli agenti, pertanto, procedettero prontamente all’arresto dei due giovani che avevano sparato.
Dopo Como, Enrico prestò servizio nelle sedi di: Mondovì (C.te Distaccamento Scuola Allievi Carabinieri) e Bra (promosso Maggiore nell’agosto del 1924, comandò il Btg. Allievi CC) negli anni 1923 – 1925. 

Foto commemorativa degli ufficiali della Scuola Allievi CC.RR. in Bra (archivio famiglia Secchi).

Nel febbraio del 1926, fu trasferito a Girgenti (ora Agrigento), ove, quale Comandante della locale Divisione CC, fu impegnato nella lotta contro la “mafia”, condotta con successo, per volere del Governo, dal Prefetto Mori. Durante quest’ultimo periodo ricevette un terzo Encomio Solenne con la seguente motivazione: 
“Coordinò e diresse con abilità e sagacia non comuni le complesse e difficili indagini e le conseguente azione dei dipendenti che fruttarono la costituzione di 22 colpiti da mandato di cattura, restituendo la tranquillità alle popolazioni e la fiducia nell’imperio della legge. Bivona – Ribera. Burgio - S. Stefano Quisquina (Girgenti) Aprile Maggio 1926 (Boll. Ufficiale anno 1926 dispensa 6a)”.
Nel dicembre 1926, altro trasferimento a Lucca (sempre C.te Div. CC), dove fu promosso al grado di Tenente Colonnello. Successivamente, nel marzo del 1929, venne trasferito a Grosseto, sempre come Comandante di Divisione. Durante quest’ultimo servizio ricevette il quarto Encomio in occasione della visita ufficiale del Capo del Governo in Toscana e, in particolare, a Grosseto, con la seguente motivazione: 
“Predispose e diresse con non comune sagacia attività e zelo veramente commendevoli i complessi servizi affidati all’Arma in occasione di grandiosi cerimonie svoltesi durante visite ufficiali di S.E. il Capo del Governo. Grosseto 10 maggio 1930 (Ispettorato 3a zona)”.
Enrico Secchi in grande uniforme da ufficiale dei CC.RR. (archivio famiglia Secchi).

Enrico, continuò nella carriera, subendo altri trasferimenti: a Bologna (1930 – C.te Div. Int.); a L’Aquila (1932 – C.te Div.); a Bari (1934 – V. C.te e poi C.te Legione CC.RR.) e, infine, a Milano, ove fu promosso Colonnello (1935 – Incarichi Speciali per le Regioni Lombardia e Venezia Tridentina).

Nel 10 giugno 1940, l’Italia entrò nel conflitto mondiale scoppiato nel 1939 ed Enrico fu quasi subito mobilitato e assegnato a Trento, quale Comandante della Zona Militare del Trentino. Enrico, quindi, si dovette trasferire a Trento, mentre il figlio Bassano, ormai diciannovenne, decise di partire volontario per il fronte russo e, dopo avere concluso il corso come Allievo Ufficiale, nel marzo 1942, fu nominato sottotenente, venendo di lì a poco destinato in Russia. Tale scelta, nonostante la normale e iniziale riluttanza, venne dal padre Enrico successivamente appoggiata.
Enrico, nel 1943, continuava nel suo servizio a Trento, ma il suo animo era turbato poiché, durante la ritirata delle Truppe Italiane in Russia (dicembre 1942 – marzo 1943), più nessuna notizia gli era pervenuta dal figlio Bassano, facente parte dell’ARMIR (8a Armata Italiana in Russia), mentre notizie attinte da alcune fonti dello Stato Maggiore dell’Armata lo davano disperso con il suo reparto. Ma finalmente verso il mese di aprile venne a sapere che il figlio era fuori pericolo e nel mese di maggio poté riabbracciarlo al suo rientro in Patria.

Nel medesimo mese ebbe il suo quinto Encomio Solenne con la seguente motivazione 
“Per l’ottima preparazione professionale, attività ed interessamento dimostrati nel comando della Sottozona e in particolare della difesa antiparacadutista” (Capo di S.M. della difesa 29/05/1943)”
Ma intanto gli eventi politici e militari in Italia precipitavano: il 25 luglio, alla caduta del Fascismo, Divisioni tedesche attraversarono il confine e si schierarono nel Trentino e nell’Alto Adige e, l’8 settembre 1943, all’atto dell’armistizio dell’Italia con gli Alleati, attaccarono improvvisamente, nella notte, tutte le unità italiane nella zona, secondo un piano già predisposto da tempo, per cui la provincia di Trento, insieme a quella di Bolzano e di Belluno, entrava a far parte del Reich, dipendendo direttamente dal Führer.

Enrico fu subito arrestato dai Tedeschi, che devastarono gli uffici e la sede del suo Comando, e rinchiuso nel campo di aviazione di Gardolo (Trento). Tale luogo era stato scelto dai Tedeschi per concentrare i numerosi militari italiani fatti prigionieri, in quanto il sito, dotato di un vasto prato, circondato da una robusta rete metallica, e di capannoni spaziosi, era adatto all’uso di tenere reclusi i resti del Regio Esercito, in attesa di essere internati in Germania attraverso la linea ferroviaria del Brennero, ormai sotto il completo controllo della Wehrmacht.

Da tale improvvisato campo di concentramento, nel volgere di poche ore, Enrico, avendo, peraltro, mantenuto l’arma di ordinanza e padroneggiando la lingua tedesca, seppe evadere in maniera rocambolesca, grazie al suo sangue freddo e alla sua temerarietà. Successivamente, mercé l’aiuto di un fedele e coraggioso ufficiale della Milizia Ferroviaria (Capomanipolo Augusto Moggio di Lucca), già suo dipendente e in quel frangente fatto rimanere in servizio dai Tedeschi, poté prendere, in borghese, un treno e raggiungere, dopo un fortunoso e pericoloso viaggio, Tagliacozzo in provincia de l’Aquila, ove venne tenuto nascosto, con personale grande pericolo, da una famiglia amica, essendo il paese occupato da truppe tedesche ed Enrico ricercato dalla polizia germanica. In tale occasione, la Famiglia Pietropaolo fu di grande aiuto e mai nessuna indiscrezione trapelò da questa ristretta cerchia di amici. Nel giugno 1944, a Roma ritornò il Governo Italiano legittimo ed Enrico, pertanto, riassunse servizio nella stessa Roma, con il grado di Generale di Brigata presso il Comando Generale dei CC. RR. con incarichi speciali, fino al primo luglio 1945, quando veniva collocato in congedo.
Ancora Enrico Secchi in uniforme da generale (archivio famiglia Secchi).

Durante la sua carriera, oltre alle medaglie relative alle tre guerre a cui aveva partecipato, fu insignito della Croce al Merito di Guerra, della Croce di Cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro (onorificenza Sabauda molto rara e concessa solo per particolari meriti di servizio), della Commenda dell’Ordine della Corona d’Italia e del Cavalierato dell’Ordine della Stella Coloniale (per il servizio reso durante la Guerra Italo-turca), oltre alla Medaglia Mauriziana e a quella di Lungo Comando.
Medagliere del gen. Enrico Secchi (archivio famiglia Secchi).

Gli anni successivi trascorsero sereni e tranquilli tra Roma e Tagliacozzo. Ebbe la soddisfazione di vedere: il figlio Bassano, entrato in carriera militare e superate indenne le vicende belliche, indossare i gradi di Tenente Colonnello dell’Esercito, mentre la figlia Domitilla diventare funzionario di grado elevato nel Comune di Torino.
Corteo funebre del gen. Enrico Secchi a Tagliacozzo, 1963 (archivio famiglia Secchi).

Morì il 3 luglio 1963 colpito da infarto cardiaco, in Tagliacozzo, ove si era recato qualche giorno prima, per trascorrervi il periodo estivo. Al suo funerale parteciparono, oltre ai parenti più stretti, Autorità Militari e Civili e una grande folla; al suo Feretro furono resi gli onori militari, da parte di un reparto di Granatieri, dovuti al suo alto grado, al suo passato di combattente di tre guerre, alla sua immagine di vecchio Soldato. 
Aveva servito la Patria con onestà, coraggio e completa dedizione. Ora riposa nella quiete del Cimitero di Tagliacozzo nella sua ultima guardia.

Enrico Secchi

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Ringraziamo sentitamente l'avv. Enrico Secchi per lo scritto e per la disponibilità alla pubblicazione delle preziose fotografie tratte dall'archivio di famiglia.