martedì 14 aprile 2015

Carlo Salvatore Fasola - un comasco a Monfalcone il 3 luglio del 1916


La figura del “fante contadino”, nell’immaginario collettivo, è associata perlopiù alle regioni meridionali d’Italia, o, quantomeno, alle aree del Paese tradizionalmente legate all’economia agricola. Potrebbe, perciò, parer curiosa, la vicenda di un contadino che, prima di lasciare la sua famiglia per vestire il grigioverde, abitava a pochi passi dal centro di Como. La guerra se lo sarebbe portato via: qui vi racconteremo la sua storia, breve e semplice. 

Carlo Salvatore Fasola, nato a Camerlata – frazione rurale posta su una collina appena a sud della città di Como - l’11 maggio del 1880, è l’ottavo di quattordici fratelli: il padre, Giacomo Fasola, è uno dei tanti mezzadri che lavorano le vaste proprietà agricole che si estendono sulle colline che dal capoluogo lariano portano al villaggio di Lora
È una vita molto dura, e un buon numero di braccia in casa è assai prezioso. I sei figli maschi, da principio, intraprendono tutti la via del lavoro nei campi, sebbene ciascuno, crescendo, prenderà la propria strada, finendo ad esercitare i mestieri più disparati. Salvatore, tuttavia, è l’unico maschio di casa Fasola che proseguirà la secolare tradizione famigliare, senza mai smettere di lavorare la terra, anche quando, col passare degli anni, si sarà trasferito in città. 
Carlo Salvatore Fasola, in una fotografia degli anni 1910-1915.
Nel 1900, ventenne, Salvatore Fasola è chiamato, coi suoi coscritti, alla visita di leva: tuttavia, la commissione medica gli riscontra il “gozzo”, una patologia piuttosto comune all’epoca nelle zone rurali lombarde, date le precarie condizioni igieniche, e causata in particolare dalla poca purezza dell’acqua. Salvatore è dunque “mandato rivedibile” per la leva successiva, e così avviene: nuovamente sottoposto alla visita, nel 1901, gli è nuovamente riscontrato il medesimo disturbo fisico. Tuttavia, invece di essere riformato, egli è, per la seconda volta, “mandato rivedibile” con la classe di leva successiva. Nel 1902, finalmente guarito, Salvatore è visitato per la terza volta dal consiglio di leva di Como: riconosciuto idoneo, è arruolato e iscritto nella 1a Categoria
Egli, tuttavia, in luogo dell’ordinaria ferma triennale, è ascritto allaferma di un anno”, da svolgere attraverso vari periodi di servizio scaglionati nel tempo. Negli anni successivi, Fasola, inquadrato nell’arma di fanteria, compie così il suo servizio militare, transitando presso vari reparti dislocati lungo la penisola. 

Nel 1903, quando si trova presso il 29° Reggimento Fanteria della Brigata “Pisa”, è così giudicato dal suo comandante di compagnia: “robustezza, molta. Condotta in servizio e fuori, ottima. Cura dell’arredo ed istruzione militare, sufficiente”. Da queste note, si scopre anche che Salvatore Fasola sa leggere e scrivere” perché “ha frequentato la 2a elementare”. Egli risulta poi “ascritto alla 1a classe di tiro”, il che lo qualifica come particolarmente abile nell’uso del fucile. Nel 1913, richiamato in servizio “per istruzione” presso il deposito del 67° Reggimento Fanteria, di stanza a Como dal 1908, Fasola è visitato dalla commissione medica, e gli è riscontrata una “cicatrice sul dorso del piede sinistro ostacolante l’uso della calzatura militare”: pertanto, è giudicato inabile al servizio militare e proposto per la visita di rassegna. L’11 agosto, viene a tal fine inviato presso l’Ospedale Militare di Milano. Tuttavia, il parere della commissione medica è differente da quello dei medici reggimentali: “di robusta costituzione fisica, senza difetti apprezzabili, […] si giudica idoneo al servizio militare”. Sfuma dunque per lui l’occasione per essere riformato. 

Nella primavera del 1915, in attuazione della mobilitazione generale del Regio Esercito, numerose classi e categorie di leva sono richiamate dal congedo. Nel volgere di pochi mesi, sono richiamati alle armi tre dei sei fratelli Fasola: Mario (nato nel 1889), Ercole (classe 1887, bisnonno di chi scrive) e Lorenzo (classe 1885). Carlo Salvatore, in quel momento, ha trentacinque anni, una moglie, Lucia Taroni, e una figlia di quattro anni, la piccola Carolina, chiamata così in ricordo della nonna paterna. Per l’epoca, è un “signore, e probabilmente guarda con apprensione al richiamo dei suoi fratelli, ma forse, contagiato dall’illusione della guerra breve, non considera l’evenienza di esserne anch’egli coinvolto. Tuttavia, con l’autunno, arriva l’ora di partire anche per il fratello Giuseppe (nato nel 1882) sinché, in ottobre, è richiamata anche la prima categoria della classe del 1880. Il giorno 24 ottobre del 1915, Carlo Salvatore Fasola lascia la sua casa e la sua piccola famiglia, e si reca presso il Distretto Militare di Como.  

Qui giunto, è assegnato al 21° Reggimento Fanteria della Brigata “Cremona” che ha sede, in tempo di pace, alla Spezia. Fasola, raggiunto il deposito reggimentale, vi trascorre le settimane successive finché, alla fine del mese di novembre, è aggregato al battaglione di marcia del reparto, e inviato in linea.

Sin dai primi giorni di guerra, la Brigata “Cremona” è schierata nella zona di Bassano del Grappa, ove rimane, alle dipendenze della 16a Divisione, fino al mese di luglio del 1915. 
In agosto, è trasferita sul fronte della III Armata, nei pressi di Monfalcone, ove alterna i suoi battaglioni tra la prima e la seconda linea, fino all’autunno. Allo scoppio della Terza Battaglia dell’Isonzo (18 ottobre – 4 novembre), alla brigata è affidato il compito di attaccare le alture di Monfalcone, ovvero le Quote 121, 85 e 77. Il giorno 21, i reggimenti si lanciano all’assalto delle quote, ma il vigore dei fanti della “Cremona” non riesce ad avere la meglio sui difensori, e gli italiani sono costretti a ripiegare sulle posizioni di partenza. Le perdite subite solo in queste giornate di combattimenti ammontano a 2500 uomini di truppa e 86 ufficiali fuori combattimento. La brigata, dopo questo immane sforzo, svolge azioni dimostrative fino a fine mese, quando viene inviata nelle retrovie per riordinarsi. A metà novembre è trasferita nel settore di Castelnuovo, ove consegue brillanti risultati contro il munitissimo sistema difensivo della Sella di San Martino.  

A fine novembre del 1915, il 21° Reggimento Fanteria, dissanguato dalle offensive sostenute appunto durante la Terza Battaglia dell’Isonzo, è in attesa di complementi, che gli giungono, in parte, durante la prima settimana di dicembre. Il giorno 3, dopo un estenuante viaggio in tradotta, Salvatore Fasola giunge appunto “in territorio dichiarato in istato di guerra. Il 13 dicembre, la brigata viene trasferita ad Aquileia, e da lì nel settore del Monte Sei Busi, ove trascorre la fine dell’anno. In gennaio, i reggimenti 21° e 22° eseguono, in alternanza, duri turni di trincea sulla fronte del Monte Sei Busi (quota 111) e delle famigerate Cave di Selz, rimanendovi sino al mese di marzo. Alla fine di aprile, la Brigata “Cremona” torna, nuovamente, nel fatale settore di Monfalcone, luogo a cui essa legherà le sue sorti e il suo nome 

I reggimenti si schierano dunque nel tratto di linea tra Quota 61, la Rocca e Quota 98, e si impegnano nei consueti, logoranti turni di trincea. All’alba del 15 maggio, gli Austriaci, con uno spavaldo attacco di sorpresa, riescono ad occupare le trincee di Quota 12 e di Adria, presidiate da squadroni della 4a Divisione di Cavalleria appiedata: il reggimento Nizza Cavalleria e un battaglione del 22° Reggimento Fanteria sono lanciati al contrattacco e riescono ad arrestare l’avanzata nemica, scacciando le truppe imperiali dalle trincee appena conquistate. Con un nuovo attacco sul tratto fra Quota 93 e la ferrovia, gli Austro-Ungheresi, nel pomeriggio, si impadroniscono di altri elementi di trincea, che vengono però - seppur solo in parte - rapidamente riconquistati da reparti delle Brigate “Cremona” e “Napoli” (75° e 76° Regg. Fanteria), che riescono ad arrestare l’avanzata del nemico. Le settimane seguenti vedono un periodo di drammatico stallo, con una linea del fronte profondamente frammentata e confusa, che non può che rendere la situazione ancora p difficile

Un mese dopo, mentre sono in pieno svolgimento, sulla fronte trentina, le operazioni di contrasto all'Offensiva di Primavera (o Strafexpedition) lanciata dall'esercito imperial-regio, il Comando della Terza Armata, secondo le direttive pervenutegli dal Comando Supremo, decide di tornare all'azione, con una nuova offensiva nel settore di Monfalcone, affidata al VII Corpo d'Armata (Div. 14^ e 16^). Le operazioni sono affidate alla 14^ Divisione (Brigate di fanteria "Napoli" e "Cremona" e VII Brigata di cavalleria appiedata) sulla destra, nella zona della palude del Lisert, e sulla sinistra, sulla fronte di Selz, alla 16^ Divisione.
Il 15 giugno, dunque, viene ripresa l’azione con l'obiettivo di riconquistare completamente le posizioni perse in maggio ed ancora occupate dagli Austro-Ungheresi. Lo stesso giorno, reparti del Nizza Cavalleria e del 22° Regg. Fanteria riescono a conquistare le trincee di Quota 12. 
L’azione più importante si svolge però il giorno 28, quando, con una fulminea irruzione nelle posizioni austriache, la Brigata “Cremona” riesce a riconquistare completamente la martoriata “Trincea del Tamburo”, che unisce la quota 98 alla quota 121, e che è già stata in parte rioccupata dai reparti della brigata “Napoli”. A fronte di questo successo, i comandi scelgono di proseguire le operazioni offensive, per cercare di sfruttare i progressi tattici e la temporanea disorganizzazione del nemico: perciò, sono ordinati nuovi attacchi, con l’obiettivo di espugnare le scoscese posizioni di Quota 85 e Quota 121.

La sera del 3 luglio 1916, la Brigata “Cremona”, con un caparbio sbalzo, riesce ad impossessarsi di entrambe le alture. Il soldato Salvatore Fasola, inquadrato nella 2a compagnia del I battaglione del 21° Reggimento, si ritrova dunque coi suoi compagni d'arme sulla brulla sommità della Quota 85, pressoché del tutto priva di apprestamenti difensivi che possano servire da riparo nei confronti degli attesi contrattacchi delle truppe imperiali. Difatti, proprio approfittando delle scarsissime difese sulle quali possono contare gli Italiani, la reazione nemica non si fa attendere, e un vigoroso contrattacco si scatena contro i nostri fanti nel volgere della stessa serata: prima di subire l'assalto delle fanterie imperiali, i nostri soldati, come di consueto, sono bersagliati dal tiro delle artiglierie nemiche. 

Tuttavia, quella sera, i soldati italiani debbono lottare anche contro un nemico nuovo, per loro ancora quasi sconosciuto ma tremendamente insidioso: i gas asfissianti. La nuova arma chimica ha fatto il suo debutto, sul fronte italo-austriaco, solo quattro giorni prima, il 29 giugno, nel settore del Monte San Michele. In quell'occasione, il gas ha sorpreso le truppe italiane nel sonno, facendone strage. 
La sera del 3 luglio, invece, i nostri fanti sono ben vigili, ed è anche probabile che indossino le maschere anti-gas individuali le quali, tuttavia, sono tecnologicamente inadeguate, offrendo minima protezione dagli agenti chimici. D'altro canto, la miscela di cloro e fosgene utilizzata dagli Austro-Ungheresi in quell'estate del 1916 ha un micidiale effetto asfissiante: la sera del 3 luglio ne faranno le spese i prodi fanti della "Cremona"
Dopo una lotta violentissima, il 22° Reggimento è costretto ad abbandonare la Quota 121. Ma i fanti del 21°, attestati sulla Quota 85, pur intossicati dai gas e battuti dall'artiglieria, non cedono: l’attacco nemico fallisce, e la quota rimane in mano italiana [1]. 

Per mantenere il tricolore su quella piccola collina sassosa, il prezzo è di oltre ottocento uomini fuori combattimento, tra i quali oltre una cinquantina di caduti del solo 21° Reggimento. Cadono anche numerosissimi ufficiali, tra i quali il comandante del I battaglione, il maggiore cav. Ernesto Pallotta [2]. E sul terreno, rimane anche il soldato Carlo Salvatore Fasola. 
Nel verbale, stilato dal capitano Levi, comandante la 2a compagnia, in cui si registra la morte del fante comasco, si riporta che questi è “deceduto in seguito a ferita di proiettile di fucile e ad asfissia”: ciò rivela che Fasola, pur già intossicato dai gas venefici, è riuscito a resistere e, senza perdersi d’animo, ha continuato a sparare sul nemico, soccombendo, infine, solo dopo essere stato colpito da una fucilata letale. Una ricostruzione che pare collimare precisamente con la descrizione dei suoi ultimi istanti, immortalata dalla motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare che sarà concessa alla sua memoria. 
Con pochi commilitoni improvvisò un trinceramento, respingendo impavido gli attacchi furiosi del nemico e incitando i suoi compagni con la parola e con l’esempio, finché cadde ferito a morte." - Monfalcone, 3 luglio 1916. 
Il libretto per la riscossione della "Pensione privilegiata di Guerra", con il soprassoldo previsto per i congiunti dei decorati al Valor Militare, appartenuto alla moglie e poi alla figlia di Salvatore Fasola.
La circostanza dell'utilizzo massiccio dei gas anche nell'azione del 3 luglio è ulteriormente testimoniata anche dalla motivazione della Medaglia d'Argento al Valor Militare concessa alla memoria del già citato magg. Pallotta, che recita:
"Alla testa di due compagnie del proprio battaglione, si lanciava arditamente sulla destra di una posizione conquistata, sgominando il nemico che minacciava il fianco di nostri reparti che avevano già oltrepassata la linea avversaria. Mentre poi incitava i soldati a resistere all'azione deleteria dei gas asfissianti, veniva colpito a morte." - Monfalcone, 3 luglio 1916.
Cartolina commemorativa (serie "I nostri Eroi") dedicata al magg. Ernesto Pallotta, MAVM alla memoria.
Non è noto il luogo esatto ove le spoglie del soldato Fasola sono inizialmente inumate: si tratta assai probabilmente di uno dei tanti cimiteri di guerra del monfalconese, che alla fine degli Anni Trenta saranno dismessi e concentrati presso il nuovo Sacrario monumentale di Redipuglia
Negli Anni Settanta, il Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti in Guerra, interrogato in proposito dalla figlia di Fasola, risponderà che i resti del padre “sono probabilmente conservate presso il Sacrario di Redipuglia, tra gli ignoti”. Più di recente, il Ministero della Difesa, tramite il database informatico accessibile dal proprio sito internet, ha indicato espressamente il medesimo sacrario come luogo di sepoltura del Fasola.
Dettaglio della lapide commemorativa posta presso la basilica del S.S. Crocifisso di Como, in ricordo dei parrocchiani caduti.
Lapide dedicata ai caduti della frazione di Lora (CO), luogo di origine e di domicilio della famiglia Fasola (foto gentilmente concessa dal nostro amico Edoardo Visconti).

Il municipio di Como, per onorare la memoria del suo fante contadino, gli intitolerà, negli Anni Venti, un’aula della Scuola Elementare “Nazario Sauro”, in via Perti. La sua unica figlia, Carolina, dopo aver perso anche la madre nel 1923, sarà però destinata a un’esistenza assai longeva: si spegnerà infatti, quasi centenaria, nell'autunno del 2010.

A cura di Niccolò F.

NOTE
[1] Sono altresì catturati oltre 350 prigionieri. L'Esercito italiano nella grande guerra 1915-1918, vol. III, tomo 2, pag. 300.
[2] Il maggiore Ernesto Pallotta era nato a Bojano, in provincia di Campobasso, nel 1873.

BIBLIOGRAFIA
  • Documentazione anagrafica e matricolare tratta dall'archivio personale e famigliare dell'Autore.
  • L'Esercito italiano nella grande guerra 1915-1918, vol. III, tomo 2.
  • Riassunti storici dei corpi e comandi nella guerra 1915-1918. Brigate di Fanteria, Vol. 2, Edizioni Ufficio Storico, Comando del Corpo di Stato Maggiore, Roma, 1928.
  • Caduti di Como nella Grande Guerra - Battesimo delle Aule Scolastiche, a cura del Comune di Como, 1929.
  • Albo d'Oro dei Decorati della provincia di Como, a cura dell'Istituto del Nastro Azzurro - Federazione di Como.

domenica 5 aprile 2015

Ottorino Radaelli - Caduto sul Monte Zebio

Ottorino Radaelli nasce a Barzago, in provincia di Lecco, il 18 agosto 1891.
Residente a Garbagnate Monastero, frequenta con successo il R. istituto tecnico “Cajo Plinio Secondo” di Como dove si diploma Ragioniere nel 1911.
Purtroppo non sono riuscito a recuperare nulla circa la sua chiamata alle armi. Da una cartolina postale però ho dedotto che agli inizi di dicembre non era ancora stato richiamato.


Questa una sua foto nel periodo immediatamente precedente la guerra:


Gennaio 1916

Nel materiale recuperato c’era anche un calendarietto del 1916 dove il nostro ha segnato gli spostamenti principali.



Come si nota risulta giunto al reparto il 2 di gennaio. È assegnato, col grado di Sottotenente, alla 2° compagnia del 138° Reggimento Fanteria, brigata Barletta, che era impegnata in linea nel settore S. Pietro dell’Isonzo – Redipuglia – Palazzo.
Il reggimento rimane in linea fino al 18. Il 19, primo giorno a riposo nella zona Perteole – Ajello – Saciletto – Mortesina, Ottorino scrive questa lettera:

19/1.1916

Carissima Gisella, ho avuto l’altro ieri la tua lettera e ieri ne ho avuto pure dalla Pina. Io, come sempre, sto benissimo: sono sceso oggi a riposo per circa 15 giorni, ma siccome sono stanco poiché, oltre ad essere rimasto in trincea, abbiamo fatto stamattina una marcia di una ventina di Km, rimando di un giorno una lunga lettera che ti spiegherà il mio tenore di vita.
Saluti e baci a tutti,
Rino


Sull'identità di Gisella ho ancora qualche dubbio, ma penso fosse una cugina.

Febbraio

Nel mese di febbraio il reggimento torna sulle posizioni lasciate il 18 gennaio ma Ottorino, come si legge da questa sua lettera, non lo segue ma viene riassegnato:

Vigodarzene, 3/2.916

Carissimi, sono qui a Vigodarzene (a 3 Km da Padova) fino dal 31 gennaio u.s. destinato ad istruire delle reclute che dovranno fermare un nuovo reggimento, nel quale, credo, sarò incorporato. Meglio così che ??; considerato poi che più si è lontani da lassù e più certi si è di salvarsi.
Speravo perfino a poter venire in licenza, perché il colonnello del 138° l’aveva personalmente promessa a tutti gli ufficiali e, partendo, mi aveva munito della relativa dichiarazione; ma il colonnello comandante di questo deposito non à creduto, per esperienza di servizio, di accordarmelo.
La vita qui trascorre abbastanza bene, ma è costosa in modo eccezionale. Figurati che solo pel vitto si spendono 6 lire al giorno! Ma adesso, coi compagni miei, sto organizzando il nuovo modo di far da mangiare per conto nostro, in modo da ridurre la spesa a poco più della metà.
Vi avevo promesso di mandarvi dei soldi; ma, bisognerà che pazientate un po’ di più; almeno fino alla metà del mese, dovendo qui anticipare per conto mio tutte le spese.
Ho d’avanzo quasi tutta la somma promessavi, e sulla quale potete contare sicuramente, ma abbiate la bontà di attendere un po’!
E la pratica mia cammina? Qui potete scrivere più liberamente perché non c’è censura interna di reggimento e del resto non si tratta di cose di servizio.
Spero avere presto notizie vostre; io sto benissimo, solamente la libertà è molto ristretta, almeno per ora!
Ritornando alla licenza, vedrò se mi sarà possibile di farmi dare qualche giorno e sarà bene far giungere al “Comando del deposito speciale rifornimento Padova 1 – Vigodarzere prov. Padova” una domanda per almeno 5 giorni di licenza da parte del municipio. Ho tanta voglia di rivedervi che mi sottopongo volentieri a quelle 15 o 20 lire di spesa di viaggio.
Saluti e baci a tutti,
Rino

Durante la permanenza trova l’occasione di farsi scattare questa fotografia:



Marzo
                      
L’auspicio pavesato nella lettera del 3/2 circa il cambio di reggimento non si avvera e il mese di marzo ritrova Ottorino nel suo vecchio reparto ma nella 11° compagnia.
Il rientro avviene il 6 del mese, quando il reparto è in zona di riposo.

Il 17, prima del ritorno in linea, scrive a casa:

Zona di guerra 17/3.16

Carissimi, benché seguiti a lamentarmi per la mancanza di vostre notizie, non ho avuto fin’ora che una sola cartolina illustrata di Gisella. Questo mi impensierisce oltremodo poiché temo che qui sia accaduto qualcosa che volete nascondermi. A voi quindi il togliermi lo stato d’ansia in cui sono e a non darmi più occasione di ricordarvelo.
Vi unisco la mia fotografia (quella qui sopra) fattami a Vigodarzene dell’amico che trovasi con me sull’altra fotografia. La prima è riuscita abbastanza bene.
A giorni invierò il secondo acconto poiché siccome ritorno in trincea domani, non mi abbisognano soldi.
Sarà mia cura, durante il tempo in cui sarò su, tenervi informati di quanto mi accadrà.
Baci a tutti e saluti cordiali agli amici tutti.
Vostro,
Rino

E, come preannunciato nella lettera, il 18 ritorna in linea sempre sulle posizioni di Gennaio.

Dopo 5 giorni scrive ancora a casa:

23-3.1916

Carissimo, ebbi ieri la tua carissima lettera e, finalmente, qualche notizia un po’ particolareggiata. Non capisco come possiate tenere il silenzio per tanto tempo; pensate che per me qui il ricevere la posta è una delle uniche soddisfazioni, e fossero questi più soventi.
Della vita in trincea nulla di nuovo; sono in un posto un po’ più scoperto della volta scorsa, ma in compenso gli austriaci si mostrano un po’ più gentili perché, di giorno, sparano poco.
Questo forse perché vogliono farsi scoprire; perché di notte sparano continuamente.
Aggiungo poi che sono qui con un amico, ufficiale pure nella mia compagnia, e che abbiamo fatto buonissima lega in una buca comune e ci freghiamo altamente della vita di trincea.
Unico inconveniente è il tempo maledettissimo che ci ha inondati e infangati fino agli occhi, nonché fra pelle e mani sembra tutto????
………….
Godo che tutti state bene. Io benissimo, come il solito; meglio ancora quando poi penso che fra due giorni avrò il cambio dalla prima linea e passerò in seconda.
Baci a tutti, ricordandovi sovente di scrivermi ad abbiatemi,
Vostro,
Rino

Aprile – Maggio



I mesi di aprile e maggio trascorrono senza eventi degli di nota ma con continua attività di pattuglia e colpi di mano e la solita alternanza tra riposo e servizio al fronte, come testimoniato da queste lettere:

1/4.1916

Carissimi, finalmente ho avuto vostre lettere e cartoline in quantità. Oggi stesso ho ricevuto una cartoline ed una lettera di Gisella. Godo che il babbo se la sia cavata con poco; ad ogni modo il buon tempo che finalmente si è fatto vivo aiuterà a farlo guarire del tutto.
Ho scritto forse arrivederci presto, perché al primo aprile si riaprono le licenze quindicinali e c’è molta probabilità che mi sia concessa.
Io sto benissimo, sono in seconda linea, vi resterò fino all’8 aprile e poi andremo per quasi un mese a riposo.
Baci e saluti a tutti,
Rino

6/4.916

Carissimi, salute sempre buona: novità nessuna. Il bel tempo, che s’e ristabilito, pare migliori un po’ la vita di trincea.
Il 10 andrò a riposo e per un mese saremo a posto.
Baci a tutti,
Rino

11/4.916

Carissimi, eccomi a riposo fuori dalle insidie austriache, di modo che si può esser certi che per un mesetto si può star quieti e tranquilli. Di nuovo nulla: la salute sempre buonissima e l’umore oltreché mai allegro.
Spero che in questi giorni verrà decisa la famosa storia della licenza! Se ne parlava tanto in trincea che probabilmente ci si tornerà sopra. La desidero poi in modo speciale anche perché mi farebbe comodo poter portare a casa la roba d’inverno e prendere quella di tela.
La vita di trincea, stavolta, s’è arricchita di nuove emozioni e di varietà belliche. Il fuoco più intenso, le cannonate più arrabbiate, l’umore più franco ed allegro dei soldati, ha dato un tono ben diverso da quello sornione e melanconico di questo inverno; c’è più pericolo ma anche più soddisfazioni.
E voi come state? Certo sarete in pensiero perché da 3 giorni non vi scrivo, ma, credetelo, mi fu impossibile poiché i lavori preparatori per la partenza e di sistemazione all’arrivo assorbirono tutto il mio tempo.
Aggiungete a questo anche la stanchezza che fisicamente si è passata e vedrete che il poco tempo che mi rimaneva era naturale fosse occupato dal sonno.
Attendo appassionatamente vostre lettere, e spero di rivedervi al più presto, vi bacio tutti,
Vostro
Rino

Dalla lettera seguente sembra però che un paio di giorni di licenza Ottorino sia riuscito a farli, insieme a una scappata a casa:

16-5.1916

Carissimi, sono giunto qui dopo un buonissimo viaggio; trovo la compagnia in terza linea e fra cinque giorni andremo a riposo.
Sono stato fortunato quindi e non abbiate alcuna preoccupazione per me.
Saluti e baci a tutti,
Rino


Il seguente foglietto, scritto ne periodo in esame, è testimonianza della normale attività di routine della vita di trincea:


Fine Maggio

A metà maggio ha inizio la Strafexpedition e la Barletta, passata alle dipendenze della 25° divisione, viene rassegnata sulla fronte trentina.
L'inizio dello spostamento è testimoniato da questa cartolina in franchigia:

23-5.916

Carissimi, sono in marcia per cambiamento di fronte. Appena arrivato a nuova destinazione vi scriverò per informarvi di tutto.
Baci e saluti,
Rino


Dai diari reggimentali possiamo seguirne la marcia. Il 22 è inviata, per via ordinaria, prima a Portogruaro e poi, il 26, a Ponte di Piave. Il 31 prosegue in ferrovia per Camposampietro; il 3 giugno per Carpane e di qui, per via ordinaria, per Enego.

Giugno



Durante la marcia il nostro Ottorino trova il tempo di scrivere a casa (da notare la scarsa efficienza della censura che ha lasciato visibile la località):

Valsugana 6/6.916
Carissimi, vi scrivo non appena arrivato alla nuova destinazione che spero sarà la definitiva. Sono arrivato in Valsugana e siamo qui a difesa di un forte nostro.
E’ vero che io ancora non sono arrivato in trincea, ma facilmente ci andrò stasera.
Bisognerà fare altre 6 ore di montagna e ritornerò nelle trincee dalle quali usciremo, credo, solo a guerra finita.
Però, a quanto dicono quelli che scendono, si tratta di trincee molto migliori di quelle del Carso, più comode ed asciutte e costruite in cemento armato.
Tutto ciò è confortante, come pure confortante è lo spettacolo di questi bei monti, foreste, pinete, di certe bellezze fresche, anzi fredde che ti fanno venire certi brividi nelle ossa, specialmente essendo vestito d’estate, ma che in compenso fanno venire un appetito straordinario, ti rinvigoriscono, danno l’allegria e offrono un contrasto grandissimo colla uniformità del Carso.
Tranne il freddo, quindi, io sto benissimo, mi trovo finalmente ancora in mezzo al verde ed al fresco, di notte si può dormire senza tante bombe e fucileria ti secchino, senza tanti colpi che ti fanno destare di soprassalto.
La guerra sarà forse anche più pericolosa, qualche cannonata potrà sorprendere più facilmente, ma la vita è ben diversa; si respira, si vive.
Ti terrò in seguito informato di tutto quanto sarà arrivato e, frattanto, porgi i miei saluti ed ossequi alla signora, baciami Ugo e tienti il bacio più forte per te,
vostro
Rino

Due giorni dopo il reparto è in prima linea nella zona M.Lisser-Costa Alta val Galena. Il 13 passa alle dipendenza della 13° divisione.
Il 16 viene inviata in riserva tra M.Brestolae ed il passo della Forcellona. Tutti questi movimenti probabilmente mettono a dura prova il sistema postale, come lamentato in una lettera proprio del 16:

16-6.916

Carissimi, non ricevo che saltuariamente a troppi e lunghi intervalli vostre notizie.
……………………
Baci a tutti,
Rino

Il 17 la brigata si sposta a Sasso di croce Scaltrini in modo da appoggiare la “Milano” verso il M.Cimone.
L’azione inizia il 18 e dura, con una serie di sanguinosi attacchi, fino al 21.
Dopo aver sostituito le truppe di prima linea con quelle di rincalzo, il 25 riprende l’azione e il 138° conquista prima Roccolo Astoni e poi q.1778 e la selletta fra le quote 1678 e 1664.
Nella pausa tra queste azioni Ottorino scrive a casa:

24.6.916

Carissimi, il giorno di S.Giovanni è, certo, non vi troverò troppo di buon umore: quel maledetto padrone di casa vuol sempre soldi!
Scherzi a parte bisogna che torni a dirvi quanto vi ho già ripetuto più volte: voi vi lamentate che non scrivo sempre, ed invece vi scrivo giornalmente, e mi assicurate che mi inviate continuamente vostre nuove, mentre io non le ricevo che ad intervalli troppo lunghi.
Io non ci capisco più niente: speriamo che il servizio venga migliorato nell’interesse di tutti quanti e per intanto accontentiamoci di quanto possiamo avere.
Dite alla mamma che mi rincresce solo che i pacchi non si possano spedire; dove sono io, sperduto i mezzo ai monti ed ai boschi, a non poche ore di distanza dell’ultimo paese. Certi che non è impossibile acquistare indumenti di lana; mi sono arrangiato per intanto con quelli in distribuzione ai soldati e proprio freddo non ne soffro.
Vuol dire che, quando andrò a riposo farò i necessari acquisti. Soldi non me ne mancano; li pagherò quanto vorranno. Forse, alla fine mese potrò inviarvi un'altra cinquantina di lire, vuol dire che, se ve le spedirò, vi avvertirò contemporaneamente.
Non ho ancora ricevuto i sigari ed i francobolli che Gisella ha detto d’avermi spedito come campioni senza valore; appena li avrò , ve ne assicurerò.
Fate le mie congratulazioni ad Alcibiade e ad Ugo per la buona riuscita dei loro studi, statemi sani ed allegri, e, nella speranza che questa guerra voglia finire presto, vi bacio tutti quanti,
Rino

Il 26 la Barletta ha ordine di puntare contro M. Zebio.

L'estremo sacrificio

Il giorno seguente, nonostante l’intensa attività operativa, Ottorino scrive a casa:

27-6.916

Carissimi, non ho tempo di scrivervi a lungo. Posso assicurarvi che sto benissimo come sempre.
Baci a tutti,
Rino



Questa sarà l’ultima volta che scriverà a casa. In quello stesso giorno, durante un attività di pattugliamento, il Sottotenente Ottorino Radaelli cade colpito da fuoco nemico.

Il ricordo

Ma la storia non è ancora finita.
Il giorno 27 settembre 1917 viene inviata alla famiglia la comunicazione che è stata concessa, alla memoria del loro caro, la medaglia di Bronzo al Valor Militare con la seguente motivazione:

Volontariamente si offriva volontario per compiere una ricognizione ritenuta pericolosissima nel terreno immediatamente antistante alle trincee nemiche per studiarne l’andamento e la consistenza, e per valutare le forze che lo guernivano. Scoperto, e fatto segno al fuoco avversario, cadde colpito a morte
Monte Zebio – 27 giugno 1916

La medaglia verrà poi consegnata alla famiglia nel corso di una cerimonia ufficiale tenutasi il 23 Settembre 1917 in piazza Garibaldi a Lecco.


A cura di A.E.A.

Bibliografia:
Riassunti Storici dei Corpi e Comandi nella guerra 1915 - 1918 , Roma - Libreria dello Stato;
Albo d'Onore 1915 - 1918 del R. Istituto Tecnico Cajo Plinio Secondo in Como, Premiata tipografia editrice Ostinelli in Como

venerdì 3 aprile 2015

Adolfo Viterbi - Accademico e volontario di guerra



Capitando di passare dalla bella città di Pavia, il “curioso di storie” non dovrà mancare una visita alla sede del celebre ateneo cittadino. A far da cornice ai bei chiostri, stanno infatti numerosissime lapidi - spesso arricchite da busti o rilievi dei dedicatari - che ricordano personaggi illustri del mondo accademico pavese. Tra questa moltitudine, una, in particolare, attira l’attenzione del cultore di storia militare: quella dedicata ad Adolfo Viterbi, geodeta e patriota. Di lui, nelle righe che seguono, tracceremo un conciso ritratto.

Nato a Mantova, il 27 settembre del 1873, da un’agiata famiglia israelita, dopo gli studi classici si iscrisse alla facoltà di ingegneria dell’Università di Bologna. Laureatosi, nel 1896, presso l’Università di Messina, negli anni seguenti si dedicò al perfezionamento della propria formazione, a Pisa, Gottinga, e infine a Padova. Qui, nel 1901, ottenne il brevetto di ingegnere civile la libera docenza in meccanica razionale. Nel 1903 si trasferì presso l’università di Pavia, ove, nel 1907, divenne direttore del gabinetto di geodesia. Già da due anni, intanto, era stato incaricato dell’insegnamento di geodesia teoretica, ottenendo la cattedra nel 1910. A proposito delle sue posizioni politiche, è stato osservato che, in gioventù, era stato stretto da fraterna amicizia al matematico Tito Camillo Cazzaniga, esponente del socialismo mantovano, dal che si dedurrebbe una, perlomeno, antica adesione del Viterbi alla medesima corrente politica. Di sicuro, Viterbi fu tra coloro che, allo scoccare della primavera fatale del 1915, fu intimamente conquistato dall’idea interventista. Bello sarebbe poter definire in quale delle eterogenee correnti dell’interventismo italiano potesse collocarsi la passione patriottica del professore: ma, in questa sede, oltre non si potrà procedere, in assenza di documenti. 
Quel che è certo, è che l’impegno ideale del Viterbi si tradusse immediatamente in azione concreta: alla notizia dell’entrata in guerra dell’Italia, egli – sottotenente in congedo, ma in quel momento esente da ogni obbligo militare – chiese l’arruolamento volontario nel Regio Esercito. Fu – in conseguenza della sua formazione ingegneristica – dunque incorporato nell’arma del Genio, ed assegnato al 1° Reggimento Genio Zappatori, di stanza proprio a Pavia. 
Le note difficoltà nel definire i teatri di impiego delle unità del Genio, rendono assai difficoltoso ricostruire la successiva vicenda bellica del Viterbi. L’ardimento del professore, tuttavia, apre uno spiraglio di luce in questo senso: nella primavera del 1916, egli si trovava coi suoi uomini nel settore di Cima Vezzena, nelle Prealpi Vicentine, sull’Altopiano di Asiago. Il 20 maggio, mentre infuriava l’Offensiva di Primavera sferrata dall’esercito Austro-Ungarico contro il fronte degli altipiani, Adolfo Viterbi attendeva, col suo plotone, a lavori di rafforzamento delle posizioni nei pressi della Malga Marcai di Sopra. La posizione, assai esposta, era bersaglio di un martellante tiro di distruzione delle artiglierie austriache, che disturbava ma non fermava il lavoro dei genieri italiani. Sinché, al tacere dell’artiglieria, i nostri si avvidero che il nemico stava avanzando pericolosamente verso di loro. Abbandonate pale e piccozze, i genieri presero le armi, e, al comando del sottotenente Viterbi, si lanciarono al contrassalto. Nel corso del combattimento che ne seguì, Adolfo Viterbi cadde gravemente ferito. Per il contegno dimostrato in questa occasione, fu decorato con la medaglia di bronzo al valor militare:

Volontario di guerra, a capo di un plotone del genio, attendeva, con sereno animo, ai lavori di rafforzamento in una posizione avanzata verso il nemico, fatta segno ai suoi continui tiri di distruzione, finché, reso tale lavoro impossibile per un attacco avversario, concorreva con animo invitto, alla testa dei suoi uomini, alla difesa della posizione stessa, dando così esempio di spiccate virtu’ militari. Ferito, era costretto suo malgrado a ritirarsi dal posto tanto nobilmente ed efficacemente tenuto fino allora. – Marcai di Sopra, 20 maggio 1916.”

In seguito, ripresosi dalle ferite, fu promosso al grado di tenente, e destinato – in considerazione delle sue preziose conoscenze tecniche e scientifiche – all’Istituto Geografico Militare, a Firenze. Viterbi, ultraquarantenne, già decorato al valore e ferito in combattimento, avrebbe ben potuto ritenersi soddisfatto di quanto aveva già compiuto per il suo Paese, accettando serenamente il trasferimento. Invece, non potendo tollerare di restare in una posizione così sedentaria, chiese con insistenza di essere nuovamente inviato al fronte. Nell’accontentarlo, i comandi lo destinarono comunque ad un incarico tecnico, assegnandolo alla “sezione cartografica” della III Armata, ubicata a Cervignano. Il professor Viterbi, tuttavia, non era ancora soddisfatto. 
Trascorsi alcuni mesi, l’occasione per tornare al centro dell’azione gli fu data dalla progettata offensiva che avrebbe dato luogo all’Undicesima Battaglia dell’Isonzo: egli si offrì dunque come “ufficiale segnalatore”, incarico che espletò con tale zelo da meritare la promozione al grado di capitano per merito di guerra. In seguito, fu trasferito presso il comando della 28a Divisione di fanteria, ove prestò servizio nei mesi successivi, sino all’autunno. In tale posizione si trovava anche quando, nella fatidica notte tra il 24 e il 25 ottobre 1917, sull’esercito italiano si abbatté l’offensiva austro-tedesca che avrebbe determinato il funesto ripiegamento sino al Piave. Ancora una volta, Adolfo Viterbi non ebbe dubbi su cosa fare: si propose, nuovamente, quale ufficiale osservatore, portandosi nelle zone ove i combattimenti erano più aspri. 
Il ripiegamento dell’esercito italiano sulla linea del Piave, si concluse, tendenzialmente, intorno al 12 di novembre, quando fu completato lo schieramento difensivo. Ma Viterbi, neppure in queste mutate circostanze, decise di tornare al suo incarico presso il comando di divisione. Così, il 18 novembre 1917, egli uscì, per l’ennesima volta, in osservazione oltre le linee difensive italiane, presso l’ansa di Sant’Osvaldo, nei pressi di Fossalta di Piave. Fu colto da una scarica di mitragliatrice, che non gli diede scampo. Alla sua memoria, fu conferita la medaglia d’argento al valor militare alla memoria, con la seguente motivazione:

Uomo di scienza, volontario di guerra, dedicò ogni sua attività alla Patria, alle sue rivendicazioni. Ferito, volle subito tornare in linea. Necessità superiori imponevano che egli ponesse a vantaggio dell’esercito le sue vaste cognizioni scientifiche. Ottemperò, e fu mirabile nell’opera e nei risultati. Non appena possibile, domandò ed ottenne di ritornare dove si combatteva. Quivi, avanti ai reticolati, con sacrificio mirabile e cosciente, chiuse nell’adempimento più scrupoloso del mandato affidatogli una vita fatta di ideali e di devozione al suo Re e alla sua Patria. – Trentino, 1916 – Ansa di Sant’Osvaldo, 18 novembre 1917”.
 
Anche dopo la morte, il professore non smise di essere utile agli Italiani: a coronamento delle numerose attività filantropiche che aveva già svolto in vita, dispose per testamento ingenti liberalità a varie istituzioni benefiche della sua città, Mantova, che gli fu poi riconoscente, dedicandogli una piazza, e una lapide marmorea posta sulla sua casa natale. Ancora di recente, nel 2001, alla memoria di Adolfo Viterbi l’Università di Pavia ha intitolato alcuni suoi uffici.
La bella lapide murata presso l'ateneo pavese, e dalla quale ha preso le mosse questo post, reca questa epigrafe, con la quale ci par bello accomiatarci dalla sua figura:
"Per deliberazione della facoltà di Scienze di questo ateneo, dove Adolfo Viterbi insegnò geodesia e di dove, suonata la grande ora del pericolo, mosse animoso come volontario di guerra, al sacrificio, alla morte, alla gloria resti consacrato in questo marmo il ricordo di lui, esempio nobilissimo e puro di quanto possa nelle alte anime l'amore della Patria e della Giustizia".


A cura di Niccolò F.

BIBLIOGRAFIA
G. Ciaramelli, Adolfo Viterbi, soldato, geodeta e filantropo, in La Reggia, Anno XIX, n. 73, Ottobre 2010.
Voce Viterbi, Adolfo, in Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed arti - Treccani (edizione del 1937).
Albo d’oro dei decorati della provincia di Mantova.
Annuario della R. Università di Pavia per il biennio 1918-1919, pag. 44.