giovedì 2 aprile 2020

Un berretto per un colonnello - Emilio Ravanelli

Spesso abbiamo tentato di raccontare, grazie ai nostri articoli, storie di combattenti attraverso oggetti a loro appartenuti (come nel caso del capitano Paolo Ballatore e del tenente Antonio Depoli) oppure comunque a loro direttamente riferiti, quali decorazioni al valor militare alla memoria (nel caso, tra gli altri, del capitano Bartolomeo Gurgo) o diplomi (come nel caso del sottotenente Giuseppe Vittone).
Ciò è quello che avremmo desiderato fare anche con il presente articolo, che prende le mosse, ancora una volta, da un oggetto. Si tratta, stavolta, di un berretto da colonnello comandante di un reggimento di fanteria, secondo il modello regolamentato nel 1895 e confermato con l'istruzione del 1903. Il copricapo è stato recentemente recuperato dall'autore in condizioni…pietose, e sottoposto a un delicato restauro che, senza aggiungere né togliere alcun elemento dal medesimo, lo ha riportato, almeno parzialmente, alle forme (non diremo allo splendore) originale.

Berretto da colonnello comandante del 140° regg. fanteria della Brigata "Bari" (coll. dell'autore).
Il berretto, tuttavia, ha una particolarità: appartenne, cioè, ad uno dei comandanti del 140° reggimento Fanteria della Brigata "Bari", come rivela la cifra nel tondino del fregio frontale. Un elemento interessante, quando si consideri che tale reparto esistette solo dal 1915 al 1919. Fu, dunque, un reparto che legò le proprie vicende unicamente alla Prima guerra mondiale.
Dettaglio del trofeo da berretto per l'arma di fanteria, sottopannato in robbio.
La Brigata "Bari" – formata dal 139° e 140° reggimento fanteria – costituiva, infatti, una brigata di fanteria di Milizia Territoriale: era, cioè, tra quelle unità che, secondo l'ordinamento dell'esercito italiano allora vigente, non esisteva in tempo di pace, ma era invece destinata ad essere costituita in caso di mobilitazione, inquadrando coscritti richiamati dal congedo.
I due reggimenti della "Bari", nello specifico, furono mobilitati (i.e., costituiti) dai depositi di due reggimenti di esercito permanente. In particolare, il comando di brigata e il 139° reggimento furono costituiti dal deposito del 10° reggimento della Brigata "Regina" con sede a Bari , mentre il 140° fu mobilitato dal deposito del 47° reggimento della Brigata "Ferrara", avente sede a Lecce.

La costituzione del 140° avvenne, secondo il riassunto storico, il 1° gennaio del 1915. Al termine del conflitto, con il riordinamento delle forze armate conseguente alla smobilitazione, anche la Brigata "Bari" fu sciolta, e il 140° reggimento fu disciolto nel settembre del 1919 [1].
Cartolina illustrata della Brigata "Bari".
Come si può dedurre dalla sua breve vita, il reggimento, nel corso dei quattro anni di campagna, ebbe ben pochi comandanti. Questa la cronotassi dei titolari del reparto:
  • col. Giovanni Battista Servici, da Roma, dal 24 maggio al 24 agosto 1915;
  • ten. col. Giovanni Gotelli, dal 28 agosto al 4 ottobre 1915;
  • col. Emilio Ravanelli, dal 6 ottobre 1915 al 21 luglio 1916;
  • ten. col. Francesco Tomasuolo, dal 22 luglio all'11 settembre 1916;
  • col. Giuseppe Solaro, dal 24 settembre al 25 ottobre 1916;
  • col. Enrico Ferrari, dal 1° novembre al 10 dicembre 1916;
  • ten. col. Ernesto Signori, dall'11 dicembre 1916 al 20 giugno 1917;
  • col. Eugenio De Vecchi, dal 23 giugno al 31 agosto 1917;
  • ten. col. Efraim Campanini, da Pieve di Cento, dal 1° settembre al 25 ottobre 1917;
  • ten. col. Pietro Bonami, da Firenze, dal 28 ottobre 1917 al termine della guerra.

Il proprietario del berretto nelle nostre mani, dunque, si nasconde evidentemente tra gli ufficiali appena menzionati.
Bisogna poi svolgere alcune riflessioni.
Anzitutto, trattandosi di un berretto che ci è pervenuto, lungo cento anni, intatto nei suoi attributi (appunto, propri di un colonnello comandante del 140° fanteria) ne consegue che il suo antico proprietario non dovette ricoprire, successivamente al periodo trascorso al comando del reparto in discorso (il 140°) alcuna altra carica di pari grado: diversamente, avrebbe provveduto a mutare, semplicemente, le cifre nel tondino, adattandole al nuovo reggimento.
Laddove, per ipotesi, avesse cambiato corpo (per esempio, venendo trasferito ai bersaglieri), è assai probabile che - come d'uso al tempo - avrebbe fatto sostituire tutte le metallerie (gallone, galloncino e bottoni), nonché le filettature, anziché acquistare un nuovo berretto. Tale è il caso, in particolare, del col. Servici che - esonerato dal comando del 140° il 12 agosto 1915 - avrebbe poi comandato il 3° Regg. Bersaglieri sul fronte dolomitico.
Da questa semplice osservazione si trae in definitiva che l'originale proprietario del berretto, ceduto il comando del 140° reggimento, dovrebbe alternativamente: essere stato promosso al grado superiore (tenente generale); essere stato posto a riposo; essere deceduto.
Orbene, da una rapida analisi dei profili degli ufficiali menzionati sopra, si trae anzitutto che nessuno di loro cadde in combattimento.
Si aggiunga anche che pare assai improbabile che, in tempo di guerra, ci si facesse confezionare un berretto turchino - del modello introdotto nel 1895 e confermato nel 1903 - e lo si guarnisse del fregio di un reggimento il cui comando (come nel caso del col. Gotelli, del col. Solaro, del col. Ferrari e del col. De Vecchi) fosse stato mantenuto solo per uno/due mesi.

Riassuntivamente, senza dilungarci, si dirà che, esclusi la maggior parte dei "candidati" mediante i criteri di cui sopra, restano "in lizza" due personaggi, i quali tennero consecutivamente il comando del reggimento per oltre sei mesi ciascuno.
Anzitutto, il ten. col. Ernesto Signori. Circa tale personaggio, non è purtroppo possibile dire alcunché: infatti, non se ne trova alcun riferimento sugli annuari militari rilevanti. Perciò, pare doversi concludere che si tratti di un refuso, in sede di compilazione del riassunto storico. Il personaggio dovrebbe dunque essere identificato nel ten. col. Ernesto Liguori, il quale fino all'estate del 1916 era comandante del IV battaglione del 68° reggimento della Brigata "Palermo". Appare ben possibile che egli sia stato successivamente trasferito al 140°, del quale potrebbe appunto aver ricoperto il comando dall'11 dicembre 1916 al 20 giugno 1917. Tuttavia, tale personaggio, poi promosso al grado di colonnello, avrebbe successivamente ricoperto altri incarichi di comando [2].
In secondo luogo, residua il nominativo del colonnello Emilio Ravanelli. Con riguardo a quest'ultimo, ci è stato possibile, curiosamente, reperire numerose informazioni.
A tal proposito, è bene dire che non vi è alcun elemento determinante e inequivoco – poste le premesse di cui sopra – per attribuire il berretto in discorso proprio al colonnello Ravanelli. Tuttavia, dato che siamo riusciti a ricostruire numerosi dettagli circa questa figura di soldato - la quale fu anche legata a Como, città di chi scrive -, l'occasione sarà comunque opportuna per rievocarla, insieme ai nostri quattro lettori.

Breve profilo del colonnello Emilio Ravanelli

Emilio Ravanelli nacque a San Giovanni in Persiceto, nella provincia bolognese, il 29 novembre del 1864. I suoi genitori erano Andrea Ravanelli, di professione cappellaio, e Claudia Savorini, di condizione agiata. Deciso a intraprendere la carriera militare, il giovane Emilio frequentò - probabilmente - l'Accademia di Fanteria e Cavalleria di Modena, ottenendo la nomina a sottotenente il 3 agosto del 1884. Ventenne, iniziava così la sua carriera da ufficiale del Regio Esercito: una carriera che avrebbe svolto integralmente nell'Arma di Fanteria, prestando servizio presso vari reggimenti, dislocati lungo tutta la Penisola.
Nel 1891, da tenente, fu in servizio a Como, presso la compagnia permanente del locale Distretto Militare (23). Promosso capitano nel 1898 [3], fu al 21° reggimento della "Cremona", per poi essere nuovamente trasferito a Como, presso il 78° reggimento della Brigata "Toscana", in quel periodo avente sede nel capoluogo lariano [4].
Grazie alla frequentazione della buona società comasca, il capitano Ravanelli dovette incontrare una giovane e fascinosa signorina, della quale rimase ammaliato: si trattava della milanese Fortunata Camagni Bolzani, in arte Lice Formen, cantante lirica. Di lei si ricorda in particolare la fortunata interpretazione di Maddalena nella pucciniana Manon Lescaut presso il Teatro Sociale di Como, nella stagione teatrale 1895-1896 [5].
I due, in breve, convolarono a nozze nel 1901 a Milano, prendendo poi dimora a Como [6], dapprima in Piazza Vittoria, e poi al num. 41 di Via Valduce. Il matrimonio coincise con la fine della carriera artistica di Lice Formen, che - per volere del marito, austero militare - abbandonò il teatro.
Nel 1902, la famiglia si allargò con la nascita di una figlia, Claudia Orsola [7].
Tuttavia, in ragione di un avvicendamento di sedi, la famiglia dovette qualche anno dopo trasferirsi a Bra, ove fu trasferito il 78° reggimento fanteria. In seguito, il capitano Ravanelli ottenne - verosimilmente dietro sua domanda - il trasferimento al 68° reggimento Fanteria della Brigata "Palermo", con sede a Milano. I signori Ravanelli vi presero dunque dimora, in un bello stabile liberty di Via Crema, in zona Porta Romana.
La moglie (a sx, all'epoca della sua carriera lirica) e la figlia (a dx, negli anni Venti) del col. Ravanelli.
Foto tratta da M. Gandini, Raffaele Pettazzoni nel primo dopoguerra, op. cit.
Nell'estate del 1911, Emilio Ravanelli ottenne la promozione al grado di maggiore, e lo stesso anno fu anche insignito del cavalierato della Corona d'Italia [7].
Gli eventi della Guerra italo-turca non scalfirono la tranquillità famigliare dei Ravanelli, dato che il maggiore non fu incluso tra le aliquote del 68° reggimento fanteria destinate in terra d'Africa.
Così trascorsero gli anni sino al fatidico 1914. In seguito allo scoppio della guerra europea, l'Italia - secondo quanto meglio illustrato in altri articoli del nostro blog -, pur in una posizione di neutralità, iniziò progressivamente la mobilitazione delle proprie forze armate.
In questo quadro, avvenne anche la costituzione di numerose unità di fanteria di Milizia Territoriale, destinate cioè ad inquadrare i coscritti richiamati dal congedo.
Tra queste, tra novembre e dicembre del 1914, vi fu anche la nuova Brigata "Milano", costituita dal 159° e 160° reggimento fanteria. Il 159°, in particolare, fu costituito dal deposito del 68° reggimento della "Palermo": tra gli ufficiali di quest'ultimo reparto destinati alla nuova unità vi fu, dunque, anche Emilio Ravanelli, il quale frattanto era stato promosso al grado di tenente colonnello.
A lui fu, dunque, affidato il comando del III battaglione del 159° reggimento fanteria [8]. Mancavano, ormai, solo pochi mesi all'intervento in guerra anche del Regno d'Italia.

La guerra: il 1915

Nel corso della primavera del 1915, dunque, di pari passo con le operazioni della c.d. mobilitazione occulta, i reggimenti delle unità neocostituite si dedicarono ad un intenso addestramento, per istruire i richiamati e amalgamare i reparti.
Nel caso della Brigata "Milano", la dichiarazione di guerra dovette sorprendere l'unità in una condizione di non sufficiente prontezza: infatti, al 24 maggio 1915, i due reggimenti si trovavano ancora a Gussago, nel bresciano, ben lontani dal fronte. L'unità – operativamente inclusa nella 35^ Divisione – con le settimane successive si avvicinò alla zona di operazioni, raggiungendo il vicentino a inizio luglio, per poi ascendere, alla metà di agosto, sull'Altopiano di Asiago. Tuttavia, fino alla metà di ottobre, i due reggimenti della "Milano" non presero parte ad alcuna operazione di combattimento. Ciò sarebbe avvenuto – in maniera, purtroppo, assai infelice – solo con il 18 ottobre 1915, quanto la Brigata avrebbe avuto il suo drammatico battesimo del fuoco tentando di espugnare le munitissime posizioni del Costone (o Trincerone) Durer. A tale data, tuttavia, il ten. col. Ravanelli aveva già lasciato il reparto: egli, infatti, era stato chiamato al comando del 140° reggimento fanteria della Brigata "Bari"
A far data dal 1° ottobre, infatti, egli era stato promosso al grado di colonnello, e destinato dunque al comando di un reggimento [9].
Emilio Ravanelli, così, rilevò il comando del reparto – dal ten. col. Giovanni Gotelli – alla data del 6 ottobre 1915. A tal proposito, è significativo notare come ad un ufficiale quale Ravanelli, che non aveva ancora preso parte ad alcuna azione di combattimento – né del resto aveva alcuna esperienza al riguardo, non avendo neppure preso parte alla Guerra italo-turca – fosse affidato il comando di un reggimento che si trovava in prima linea pressoché ininterrottamente da tre mesi. La Brigata "Bari", infatti, aveva preso parte alle sanguinose offensive estive, combattendo duramente nel conteso settore di San Martino del Carso, nelle cui trincee il reggimento si trovava al momento in cui il ten. col. Ravanelli lo raggiunse.
Tratto di fronte tenuto dal XIV C.d.A. alla vigilia della Terza Battaglia dell'Isonzo.

Nonostante la poca esperienza di guerra guerreggiata, il nuovo comandante si sarebbe rivelato all'altezza del compito. Dopo soli dieci giorni dal suo arrivo, infatti, la Brigata "Bari" sarebbe stata impegnata nelle operazioni della Terza battaglia dell'Isonzo, allorquando – insieme a tutto il XIV corpo d'armata (28a - 29a e 30a divisione) - avrebbe tentato nuovamente la conquista delle alture di S. Michele e S. Martino. A partire dal 18 ottobre, il 140° reggimento sarebbe dunque entrato in combattimento, al comando del col. Ravanelli.
Gli assalti sarebbero proseguiti fino al giorno 25, ma senza risultati di rilievo, e con altissime perdite [10]. Dopo un breve periodo di riposo, la "Bari" sarebbe tornata all'attacco il 4 novembre, facendo progressi nel settore di San Martino, pur anche stavolta a prezzo di gravi perdite [11]. Il 5 novembre, i due reggimenti tornarono a riposo, nel settore di Sevegliano - Ontagnano - Felettis - Privano, ove rimasero sino a fine anno.
Come si diceva, il colonnello Ravanelli - pur "neofita" del fronte - dovette farsi apprezzare per la propria azione di comando, tanto che - probabilmente su proposta del comandante della Brigata, Enrico Caviglia, uno dei nostri più brillanti ufficiali generali - gli fu conferita la medaglia d'Argento al Valor Militare, con la seguente motivazione:
"Con costante attività ed alto spirito militare, sprezzando ogni pericolo e portandosi sempre in primissima linea, guidò il proprio reggimento in successivi, numerosi attacchi contro forti trincee nemiche." - Carso, 18 ottobre - 9 novembre 1915.
Ritratto del col. E. Ravanelli apparso su La Domenica del Corriere per celebrare il conferimento della MAVM.
Si osservi, in proposito, che - a differenza di quanto si potrebbe pensare - la concessione di onorificenze al valor militare a ufficiali comandanti di reggimento non era, per nulla, cosa scontata: ciò, dunque, fa onore alle qualità di comandante del cav. Ravanelli. La foto riportata qui sopra, tratta da La Domenica del Corriere, è assai interessante anche dal punto di vista uniformologico: Ravanelli, infatti, indossa l'uniforme turchina secondo l'istruzione del 1903, con il berretto recante gli attributi da colonnello (gallone e tre galloncini); tuttavia, al bavero porta ancora le mostrine della sua vecchia Brigata "Palermo", non già quelle della "Bari" e neppure quelle dalla "Milano": segno che, in tempo di guerra, l'adattamento delle uniformi non era, spesso, omogeneo.
Le offensive della fine di ottobre provarono in maniera durissima i due reggimenti della "Bari", tanto che essi rimasero in zona di riposo sino al mese di marzo. Rientrata in efficienza, l'unità fu trasferita, con la metà di aprile, nel settore del Monte Sabotino, ove conseguì alcuni successi – perlopiù ad opera del 139° reggimento.

Dopo tali sforzi, la "Bari" tornò in zona di riposo fra Dobra e Sant'Andrat. Qui essa si trovava alla metà di maggio del 1916, quando fu raggiunta dalle notizie della poderosa offensiva sferrata dal nemico nel settore degli Altipiani.


Il 1916: la Battaglia degli Altipiani
La Brigata "Bari", dunque, fu tra le unità scelte per essere inviate a rinforzo delle truppe operanti sugli Altipiani: i due reggimenti furono, quindi, caricati su treni e trasferiti nel vicentino, raggiungendo il 31 maggio la zona fra Giarabassa e Bolzonella.
L'8 giugno la "Bari" fu trasferita a Cismon e il giorno dopo a Enego.
Infine, il 16 giugno, la Brigata "Bari" entrò in linea, per partecipare alla controffensiva: ad essa fu affidato il compito di superare la Piana della Marcesina e di attaccare il Monte Confinale. Il tentativo, fatto purtroppo in pieno giorno, di attraversare la piana non sortì effetto, a causa dei reticolati apprestati dal nemico. L'operazione fu ritentata il 17, e poi ancora sino al 20, ugualmente senza successi, ed alternando avanzate e ripiegamenti.
Il 25 giugno, in seguito al parziale ripiegamento degli Austro-Ungarici, il Regio Esercito riprese l'offensiva: alla Brigata "Bari" fu dunque affidato il compito di avanzare lungo la direttrice Monte Fiara - Monte Colombara - Monte Zingarella. Il 26 giugno, dopo immani sforzi, i nostri fanti riuscirono ad espugnare le posizioni di Monte Fiara, ma lo slancio degli Italiani dovette arrestarsi, a causa dei forti trinceramenti nemici. I combattimenti continuarono, furiosi, in special modo il 29 giugno e il 3 luglio, pur senza il raggiungimento di risultati di rilievo.
Il 12 luglio, infine, la Brigata "Bari" fu inviata a riposo a Fontana dei Tre Pali, alle falde settentrionali del Monte Castelgomberto: le sue perdite dal 7 giugno al 12 luglio sono di 64 ufficiali e 1855 gregari.
Le truppe della Brigata "Bari" sarebbero rientrate in linea il 20 agosto, sulle posizioni di Monte Colombara.
Al comando del 140° reggimento, però, non c'era più il colonnello Ravanelli: a far data dal 22 luglio, al suo posto fu infatti nominato il ten. col. Francesco Tomasuolo, che avrebbe guidato il reparto solo per circa un mese e mezzo.
Otto giorni dopo l'arrivo in zona di riposo, dopo aver comandato il suo reparto in condizioni difficilissime, il col. Ravanelli lasciava dunque il suo 140°: difficile affermare quale ragioni fossero alla base dell'avvicendamento. Di certo, Ravanelli non fu trasferito al comando di un altro reparto mobilitato [12]. Possibile, invece, che la causa fosse legata a eventi spiacevoli: un "siluramento" cadorniano, o magari condizioni di salute malferme, a seguito dei duri sforzi delle settimane precedenti.
Ravanelli, in ogni caso, abbandonò la linea del fronte e, nel corso dell'estate, le sue condizioni peggiorarono notevolmente. Probabilmente con l'autunno del 1916 egli si ritirò a Pallanza, amena località sul Lago Maggiore, ove sperava forse si rimettersi in salute, prendendo alloggio in una villa situata in Via alla Palude.
Così non fu: pochi mesi dopo, il 20 marzo 1917, alle due antimeridiane, Emilio Ravanelli lasciava il mondo dei vivi, a soli 52 anni, per una grave insufficienza epatica. Fu, probabilmente, sepolto nel cimitero di Pallanza.
Lasciava la moglie Fortunata, e la giovanissima figlia Claudia.
Notizia della morte del col. Ravanelli apparsa su "Il Resto del Carlino" del 23 marzo 1917,
Quali che fossero le ragioni della sua malattia, essa fu riconosciuta come dipendente "da causa di servizio": pertanto, Emilio Ravanelli figura sull'Albo d'oro nazionale dei caduti, e alla sua vedova fu corrisposta la pensione privilegiata di guerra.
Il nome del col. Ravanelli è ricordato a Milano, sul monumento ai caduti del quartiere di Porta Romana.
Alla memoria di questo soldato, dedichiamo questo articolo.

A cura di Niccolò F.




NOTE
[1] http://www.regioesercito.it/reparti/fanteria/rgt/rgt140.htm
[2] Vedasi Bollettino ufficiale del Ministero della Guerra, 4 luglio 1919, pag. 4592, che riferisce il trasferimento del colonnello Liguori cav. Ernesto, colonnello del deposito dell'80° reggimento fanteria.
[3] In G.U., anno 1891.
[4] Annuario militare del Regno d'Italia, anno 1907.
[5] Como e il Teatro, opuscolo a beneficio dei lettori de La Provincia di Como, anno 1912, p. 12.
[6] Atto di matrimonio Ravanelli - Camagni Bolzani.
[7] Le informazioni sulla famiglia Ravanelli sono tratte da M. Gandini, Raffaele Pettazzoni…, op. cit.
[8] Riassunto storico della Brigata "Milano".
[9] Decreto del Ministro della Guerra in data 21 ottobre 1915.
[10] La "Bari" perde 40 ufficiali e 1061 militari di truppa.
[11] Nelle azioni dal 28 ottobre al 4 novembre, la Brigata perdette 53 ufficiali e 1529 militari di truppa.
[12] Ciò si desume dal controllo dei riassunti storici delle altre brigate di fanteria, come anche dal fatto che, sull'Albo d'oro dei caduti, sarà ricordato ancora come colonnello del 140° fanteria.




BIBLIOGRAFIA
- M. Gandini, Raffaele Pettazzoni nel primo dopoguerra - materiali per una biografia, in Strada maestra, quaderni della biblioteca G.C. Croce, San Giovanni Persiceto, n. 44, 1° semestre 1998.
- AA. VV., L'Esercito Italiano nella Grande Guerra (1915-1918), Vol. IIbis, Roma, Libreria dello Stato.
- Annuario Militare del Regno d'Italia, varie annate.
- Riassunti storici dei Corpi e Comandi, Vari Volumi, Roma, Libreria dello Stato.

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