lunedì 24 ottobre 2016

Diario anonimo da Caporetto - Ritirata del 25 Ottobre 1917

In tutti gli articoli di questo Blog abbiamo sempre raccontato la storia di uomini in armi partendo da un piccolo spunto quale una cartolina od una medaglia, e questo ci ha sempre permesso di raccontare la vita e i trascorsi militari di uomini con un nome ed un cognome.

In questo caso la cosa non sarà possibile perchè lo scritto che segue è giunto a noi in forma totalmente anonima e dal testo si riesce solo a desumere che fosse un telefonista appartenente al 2° Corpo d'Armata e che, all'inizio dell'offensiva, si trovava sul margine dell'altopiano della Bainsizza.
Il non poter dare un nome a questo soldato ignoto è un peccato, in quanto può essere l'unica testimonianza giunta a noi della vita di questo soldato, però può anche essere considerata come la voce di quei migliaia di soldati che in quei tristi giorni della fine di ottobre del '17 si trovarono in mezzo ad un evento storico che ebbe un impatto sull'intero fronte e che, nonostante una situazione sempre più incerta, non si dettero per vinti ma continuarono a marciare in mezzo al fango ed alla pioggia.

Nota iniziale: il memoriale è composto da una 20ina di pagine scritte fronte/retro in matita copiativa. Il testo è stato trascritto integralmente conservando eventuali errori grammaticali.

Ritirata del 25 Ottobre 1917 
Altopiano Bainsizza 

La prima pagina del manoscritto

20 - Generale Cappello com.te 2° Armata va a riposo per malattia. Montuosi (com.te 2° C.A.) assume interinalmente com.do 2° Armata. Albricci comando 2° C.A. 

21 – Le voci che prima circolavano riguardo all’offensiva austriaca vanno prendendo consistenza. Da comunicazioni telefoniche date ad ufficiali superiori (frase illeggibile) intercettare e che si attende per questa notte l’attacco. Abbiamo ricevuto l’ordine di tagliare le linee in caso di ripiegamento 

22 – 23 – Gli austriaci sparano con più frequenza su q. 800, su Bate, Ravne, Ielenik. La maggior parte delle batterie piazzate sul Bainsizza vengono ritirate. 

24 – Comincia il vero bombardamento. Sulla nostra sinistra (verso Tolmino) è un rombo continuo, un frastuono infernale. Anche la conca di Ravne – Bate – Sveto è tenuta sotto intenso fuoco, e i nodi stradali sono battuti violentemente. Nelle prime ore del mattino si è assistito ad un brillante combattimento aereo avvenuto sul cielo di Bainsizza. Un nostro caccia abbatte in pochi minuti due aeroplani nemici, uno tedesco che va a cadere nella conca di Gargaro, l’altro austriaco cade incendiandosi sulle nostre linee dell’Osso di Morto. La giornata corre lunga e piena di ansie, notizie contraddittorie si succedono con insistenza; io sono di servizio al centralino dalle 6 di sera alla mezzanotte e dalle innumerevoli comunicazioni che do agli ufficiali desumo che siamo in ballo e qual ballo. Stante il grande lavoro mi è quasi impossibile ascoltare gli ordini e i contr’ordini che telefonicamente vengono dati; qualche mezza frase, null’altro. Finalmente viene mezzanotte, e mentre m’accingo ad andare nella mia tana per riposare giunge il tenente che mi da ordine di svegliare i guardafili e dir loro che si tengano pronti ad ogni evento. 

L'altopiano della Bainsizza - Tratta dall'Enciclopedia Militare
25 – La notte è trascorsa senza inconvenienti. Al mattino il cannoneggiamento aumenta ancora. Alcune batterie di piccolo calibro della 10° divisione piazzate sul cucuzzolo dello Ielenik sparano continuamente, senza perdere un secondo, gli austriaci cercano farle tacere scaraventandole sopra gran numero di 305. Il cucuzzolo è ricoperto di fumo grigiastro, ma il colpo secco dei 75 in partenza si ode sempre, i piccoli cagnolini abbaiano furiosamente, s’ode qualche momento di rilassamento che ci fa stare in apprensione, ma una nuova scarica ugualmente furiosa ci fa conoscere che i prodi artiglieri son sempre al loro posto. Verso mezzogiorno giunge notizia che il 229° fanteria ha ripiegato nelle linee del 21° il quale regge il colpo e ricaccia gli austriaci. Le ore sono eterne. Verso le 19 giunge l’ordine di ripiegare. Io mi trovo nella baracchetta dei guardiafili, si bevono gli ultimi due fiaschetti di vino, si prepara lo zaino e si parte. Il cielo s’è già fatto oscuro, una pallidissima luna ci rischiara e ci aiuta a scendere la ripida e scomoda mulattiera di q.800. A metà strada circa, una granata scoppia davanti al mulo sul quale ho caricato lo zaino, ferisce il conducente, e lo zaino si slega e va smarrito. Non c’è tempo da perdere, e si cammina di buon passo sino alla caverna di Ravne. Qui prendo un caffè che un mio caro compagno mi porge, e dopo una breve tappa si riparte in cerca della 67° divisione che dicono essersi spostata nel vallone del Rohot. Non sto a raccontare tutte le peripezie della notte; avanti, indietro, sali e scendi, finalmente verso le 3 del mattino del 26 si ha il piacere di trovare il comando della divisione presso la quale dovevamo prestare servizio, in una località chiamata Gabric. Qui ci preparano una buona tazza di caffè che abbiamo avuto l’avvertenza di portarci dietro e si aspetta che spunti l’alba di uno dei più terribili giorno ch’io abbia corso. 

26 – E’ appena chiaro, il tenente chiama i guardafili a raccolta e da gli ordini per lo stendimento di alcune linee che debbono collegare la divisione col 2° C.A. Uno dei guardafili (un buon ragazzo del 98) si sente poco bene ed io mi offro volontario per sostituirlo e si parte con 4 o 5 rotoli di filo volante. Ad un certo punto vediamo sul M. Cavallo (1) a breve distanza da noi, un accorrere furioso di soldati, non si può distinguere se sono italiani od austriaci, ma noi nella convinzione che il nemico sia ancora distante si procede tranquilli. Siamo quasi al termine del nostro compito quando cominciano a fischiarci vicinissime le prime pallottole di fucile. Non c’è più da dubitare, gli austriaci ci sono addosso. Colla maggior calma possibile si termina il lavoro e si fa ritorno al comando. Qua regna una confusione indescrivibile. Anche gli ufficiali sono pallidi pallidi, e il fragor della mitraglia va man mano aumentando ed avvicinandosi. Quattro pezzi da 75 piazzati a poche decine di metri da noi sparano continuamente a zero assordandoci terribilmente, e ogni tanto si sente nelle orecchie il miagolio caratteristico delle pallottole da fucile. Si ode pure il sibilo dei proiettili nemici che vanno a cadere ad alcune centinaia di metri sollevando nembi di polvere e sassi. Il momento è sempre più critico, e aggrava ancora la situazione la mancanza di notizie. Sono le otto quando il tenente Terranova che comanda la nostra stazione giunge agitatissimo col generale Baronis (2). Qualche cosa di grave dev’essere successo, infatti rivolto al C.S.M. pronuncia le parole “Debbo sempre far tutto io, io debbo essere da tutte le parti, se non prendevo io il comando d’un battaglione e non lo conducevo all’assalto a quest’ora tutta la divisione col comando sarebbe in mano al nemico”. Poi voltatosi e visti tutti noi in attesa di ordini urla “ Cosa ci fate ancora voi qui? C’è tempo una decina di minuti, staccate gli apparati, lasciate la vostra roba, e portate in salvo tutto il materiale che vi è possibile”. Noi non attendiamo altro, si prendono gli apparati e via di corsa, per una mulattiera ripidissima ove il fango ci arriva a metà gamba. Scendiamo il vallone del Rohot, e per la selletta di Palievo arriviamo sulla strada che da Globna conduce a Plava. Qui la confusone è indescrivibile, carri, cannoni, carrette, colonne di truppe interminabili, lungo la strada cavalli morti, camion rovesciati,e non è che dopo grande fatica che possiamo attraversare il ponte sull’Isonzo che conduce a Plava. Sono le 13. Areoplani nemici indisturbati volano a bassa quota e ci stupisce il fatto che non venga lanciata nemmeno una bomba, benché le strade siamo tutte gremite di soldati e di carriaggi. Il pericolo di rimanere in mano al nemico è per ora scongiurato e ci fermiamo un momento a sbocconcellare un pezzo di galletta trovato lungo la strada. Verso le 13:30 imbocchiamo la mulattiera del Grune e alle 15:30 arriviamo a Verovlje.. Credevamo che la nostra linea di difesa fosse il Corrada – Planina – Sabotino e Verovlje. Ci ritenevamo quindi fuori pericolo, ma la confusione era troppo grande per renderci completamente tranquilli. Lunghe colonne di camions, trattrici, carri e salmerie di reggimenti non appartenenti al 2°C.A., passavano provenienti da Liga. Domandata la causa di tutto questo trambusto, ci viene riferito che gli austriaci avevano varcato l’Isonzo a Cambresco e che stavano per scendere la valle dello Iudrio. Non c’era da perder molto tempo, stanchi, affamati, riprendiamo la nostra strada ed arriviamo verso le 18 a Medana sede della nostra compagnia. Si mangia un boccone e ci buttiamo a dormire, tranquilli, nella certezza che le ns. peripezie fossero terminate. 

27 – Verso mezzogiorno giunge l’ordine di continuare la ritirata. La compagnia dispone che parta prima uno scaglione di 100 uomini per recarsi a Zugliano, paesetto vicino a Udine, dove il 2° C.A. va temporaneamente a risiedere. Io appartengo a questo 1° reparto e verso le 13 si parte. Dopo una diecina di Km io e Raimondo (un caro compagno dal quale non mi son più separato durante tutto il viaggio) siamo costretti a fermarci causa la grande stanchezza, causata dalla marcia forzata del giorno prima. Mentre stavamo sbocconcellando due mele comprate da una donna, giunge il ciclista del reparto e ci avvisa che i nostri compagni sono saliti su delle trattrici che debbono recarsi ad Udine e che non sono a molta distanza. Ci facciamo coraggio e di buon passo raggiungiamo la colonna e montiamo contenti di risparmiare tanta strada a piedi. Intanto il tempo si oscura e comincia a cadere una pioggerella fine fine. Per colmo di sventura Raimondi non ha la mantellina, ci copriamo tutti e due colla mia e finiamo per bagnarci tutti e due sino alla midolla delle ossa. S’è fatto notte, Cormons brucia, si vedono delle fiammate terribili, il cielo è tutto rosso. Anche dalla parte dei monti si notano immense vampate che hanno la durata di 10 – 12 secondi e non abbiamo potuto dedurre da che causate. Gli ospedaletti numerosi che si trovano lungo la strada che noi percorriamo, hanno avuto l’ordina di sgombrare immediatamente, i malati ed i feriti sono sparsi per le strade, vestiti in tela, colla berretta bianca in capo, ed è una scena veramente straziante il vedere i feriti alle gambe trascinarsi a stento appoggiati agli altri febbricitanti; non si ode che lamenti, ed intanto l’acqua continua a cadere fitta, incessante, rendendo più lugubre la scena già fin troppo commovente.Verso le 23 arriviamo a Udine e ci rechiamo allo scalo merci coll’intenzione di passar li la notte. Non posso descrivere quel che qui si vede. Le strade sono ingombre di carriaggi, soldati, donne, uomini, bambini, chi piange, chi urla, chi bestemmia, pare il finimondo. Io e Raimondi andiamo in cerca di qualcosa da mangiare e lo troviamo in una bottega di fruttivendola; ci riempiamo le tasche di pere e mele magnifiche e ci accingiamo a far ritorno. Mentre passiamo davanti alla stazione, internamente si ode un colpo di fucile. Si sta ragionando sulle cause che eventualmente possono aver causato quel colpo, quando tutta la turba che si trova in stazione si rovescia sulla strada mandando strilli e urla “I tedeschi! I tedeschi!”. Noi ci tiriamo da parte per non venire investiti da quella turba, quando un reparto di artiglieri a cavallo viene alla nostra volta a carica furiosa ed investe e calpesta quanti disgraziatamente si trovano sul loro passaggio. L’urlo aumenta ancora, non si capisce più nulla e noi ci ritiriamo stanchi di osservare tante nefandezze. Allo scalo delle merci non ci riteniamo al sicuro, e dato che dobbiamo recarci a Zugliano dove risiede il 2° corpo col nostro reparto, crediamo opportuno lasciar Udine e metterci in marcia per tale destinazione. Sono quasi le tre e l’acqua continua a venire come Dio la manda. Si cammina un oretta circa, poi, vista una casa, stanchi morti entriamo. Un vecchietto, al nostro rumore s’alza, si accende un po’ di fuoco, ci prepariamo una tazzina di caffè ed intanto abbiamo fatto venire le sei. Ci rimettiamo in marcia. Lungo la strada incontriamo alcuni borghesi che fuggono, e noi ci mettiamo dietro e verso le 7 ½ giungiamo a Zugliano. Qui la confusione ha già raggiunto l’apice, la strada è ingombra di carri tirati da cavalli, muli, asini, vacche, buoi; maiali che grugniscono, galline che starnazzano, bimbi che urlano, donne che piangono, è tutto quel che si vede e si sente. C’informiamo presso due carabinieri nel luogo ove trovarsi il Com.do del 2° C. A. e ci viene riferito che è partito al mattino di buon tempo. Non ci rimane altro a fare, seguiamo la colonna interminabile per non rimanere in mano al nemico. Non dimenticherò mai la scena straziante che ebbi la disgrazia di osservare durante la marcia di quell’interminabile giorno. Una donna, con un bambinello in braccio, camminava avanti a me, e procurava tenersi dietro ai carri per ripararsi alla meglio dalla pioggia che un vento terribile sbatteva sulla faccia. Ad un tratto manda un urlo terribile, il bambino che teneva in braccio era morto. Mai come allora, davanti a tale dolore, maledì la guerra, avrei voluto anch’io piangere, e tutte la mie sventure mi parvero ben meschine davanti a quella, grande, incommensurabile. Mai, come in quel momento, ricordai la mia buona mamma, la vidi inginocchiata nella preghiere al ns. Dio per la mia salvezza, pensai al dolore della sua incertezza e piansi, si piansi. Ci rimettemmo in marcia, lungo i fossi, era un disastro; cavalli morti; cannoni e carrette rovesciate, zaini, fucili; la vera rovina. Giungiamo davanti ad un Angar in fiamme, quei bei apparati, che tante volte avevano visto nel puro orizzonte il nemico, crepitavano, inzuppati di benzina e di petrolio. Tutta desolazione, tutta rovina e, questi spettacoli, ci seguiranno fino a Treviso. Finalmente verso sera si giunge a Codroipo affamati come belve, e senza un pezzo di pane. La fortuna ci è benignia, e possiamo trovare un po’ di pane che divoriamo in un secondo. Calmati così gli stiracchiamenti dello stomaco, accendiamo un po’ di fuoco sotto una tettoia, e li attendiamo che passiamo un po’ d’ore mentre ci riposiamo un po’ e all’ingrosso ci facciamo asciugare. Verso le una si riparte e trovata una cascina, andiamo sul fienile e ci addormentiamo. Che ristoro, un letto di piume non ci avrebbe procurata tanta gioia. Sono le cinque del giorno 29 quando ci svegliamo, e ci rimettiamo in marcia, sempre sotto la pioggia. Verso le otto attraversiamo il Tagliamento ed alle 10 siamo a Casarsa. Il cielo si è fatto limpido ed il sole tanto invocato spunta finalmente. Alla stazione troviamo un vagone di seconda libero e vi montiamo sopra. Dopo alcuni istanti monta sullo stesso scompartimento una famiglia composta dal padre, la madre, 2 giovanette e due ragazzi. Sono profughi di Udine e si recano a Venezia. Anche loro piangono sulla disgrazie comuni, e ci raccontano i loro fatti. Verso le undici due aeroplani nemici vengono a volare sopra la stazione, e lasciano cadere alcune bombe. Una viene a scoppiare proprio sul binario vuoto accanto a noi, in direzione del nostro scompartimento. Vi lascio immaginare la paura di quella famiglia! La mamma specialmente. Dovetti adoperare tutta la mia politica per farla alzare da sotto il seggiolino dove s’era rannicchiata per ripararsi. Dopo una mezz’oretta parte finalmente il treno che deve condurci a Pordenone. Ma le fermate son troppo frequenti, dopo un paio d’ore scendiamo e preferiamo proseguire a piedi. Alla sera giungiamo a Pordenone. Durante il tragitto fatto in treno abbiamo potuto rubare un bel pezzo di carne da un carro merci, e trovata una casa lo facciamo cuocere e lo mangiamo col più grande appetito innaffiandolo con del buon vinello. La signora che ci ha ospitati è tanto gentile che ci permette di dormire in cucina, e mezzo brilli ci allunghiamo sotto il tavolo e dopo poco si russa come ghiri. 

30 – La signora viene a svegliarci che son quasi le sette, mangiamo una buona colazione, e dopo i dovuti ringraziamenti si riparte. Il cielo s‘è fatto cupo cupo e l’acqua ricomincia a cadere. Sulla via incontriamo altri compagni della 6° comp.a i quali ci riferiscono che il posto di concentramento è a Treviso, ci rechiamo alla stazione e montiamo sul primo treno che capita. Che giornataccia, e che fame!! Alla notte giungiamo a Treviso e siccome non sappiamo dove andare ci mettiamo a dormire sopra il vagone. 

31 – Gli stiracchiamenti dello stomaco ci svegliano di buon mattino ed usciamo in cerca di qualcosa da mangiare. 

In un foglio a parte è riportato anche il resto del viaggio con la cronologia delle diverse tappe e alcuni ricordi:

27- Medana – Cormons – Udine 
28 – Udine – Codroipo 
29 – Codroipo – Casarsa – Pordenone 
30 – Pordenone – Treviso 
31 - Dosson (sino al 3) 
3 – Ore 9 patate crude. Ufficiale fant. parla di cannoni per sedare la ns. fame. Ore 16 lasciato Dosson. Notte terribile…. 
4 – Noale – Dolo 
5 – Dolo – Ponte S.Nicolò 6 – S.Nicolò – Monselice – notte a Monselice 
7 – Monselice – Sanguinetto 
8 – Salizzole 
15 – Ore 9.30 partenza da Salizzole. Notte in vista di Mantova 
16 – ore 8 in vista di Mantova. Giro immenso attorno alla città – Fango – ore 12.30 – Tappa oltre Mantova – notte a 7/8 chilometri oltre Borgoforte 
17 – fame – freddo – Luzzara – primo rancio ore 13.30 – notte 1/2 Km oltre Gustalla –vino - uva 
18 – arrivo a Poviglio ore 13 – rancio ore 16:23 – partiti da Poviglio – notte a Guastalla 
24 – messe tende a Guastalla – notte tenda a Guastalla 
25 – ore 3 sveglia – partenza ore 11 – notte Padova Campo marte in treno 
26 – ore 8 partenza

A Cura di Arturo E. A.

Note:
1) Kobilek
2) Si tratta del maggior generale cav. Luigi Baronis, comandante della 67° Divisione dal 15 luglio al 14 novembre 1917. Per la condotta in quei giorni fu decorati di Medaglia d'Argento al valor militare con la seguente motivazione: "Comandante di una divisione, colle sagge disposizioni prese, con l'esempio costante da lui dato, di fermezza coraggio e spirito di sacrificio, provvedendo anche personalmente e con grande sprezzo del pericolo, all'esecuzione tempestiva, di atti offensivi, riusciva, superando gravi difficoltà di ogni genere, ed in situazione assai critica, a tenere in rispetto il nemico, rallentandone l'avanzata ed a condurre pari tempo in salvo, la propria divisione - Bainsizza- Piave Maserada, 24 ottobre - 9 novembre 1917"

Bibliografia:
- Annuario degli Ufficiali del Regio Esercito - Anno 1910, Poligrafico dello Stato
- Enciclopedia Militare, Volume 2 - Istituto editoriale scientifico S.A.  1927 - 1933
 - Riassunti Storici dei Corpi e Comandi nella guerra 1915 - 1918 , Roma - Libreria dello Stato.
-   Sito internet dell'Istituto del Nastro Azzurro ttp://decoratialvalormilitare.istitutonastroazzurro.org/
- "1914-1918 Storia della Grande Guerra sul fronte Italiano" di Gianni Pieropan

martedì 11 ottobre 2016

11 ottobre 1916 - 11 ottobre 2016: Sedulio Brazzini, un eroe tra tanti

Esattamente un secolo fa, in questi giorni d'inizio ottobre, il Regio Esercito Italiano - ed in particolare le sue II e III Armata - si trovava impegnato nell'Ottava Battaglia dell'Isonzo.
In questo breve articolo, che integreremo nelle prossime settimane, vogliamo ricordare, a cento anni esatti di distanza, il sacrificio di un ufficiale italiano, tra i tantissimi che persero la vita in quei giorni di scontri furibondi: il suo nome era Sedulio Brazzini.

Il S.Ten. Sedulio Brazzini. Foto tratta dall'Albo d'oro dei Caduti Cavesi 1895-1945, a cura del Gr. Uff. S. Fasano, e liberamente rielaborata.

Sedulio Brazzini era nato a Cava de' Tirreni il 18 luglio del 1883: la sua famiglia, tuttavia, proveniva dalla Toscana, donde il padre, Tebaldo, era stato chiamato in Campania per causa di servizio. Questi, infatti, intorno al 1870 era stato nominato verificatore presso l'allora Regia Cointeressata dei Tabacchi di Cava. Qui gli erano nati cinque figli, l'ultimo dei quali era stato proprio Sedulio nel 1883. L'anno successivo, nel 1884, alla scadenza della concessione pubblica alla Regia Cointeressata, si determinò probabilmente un avvicendamento di personale, in seguito al quale Tebaldo Brazzini dovette essere destinato alla Regia Manifattura Tabacchi di Chiaravalle, in provincia di Ancona. Insieme a moglie e figli, egli prese dunque dimora a Jesi, centro che poteva offrire migliori prospettive per la famiglia.
A Jesi, il giovane Sedulio trascorse dunque l'infanzia e la giovinezza, frequentando l'Istituto Tecnico "Pietro Cuppari", presso il quale, nel 1905, si diplomò agrimensore. L'anno precedente la sua classe di nascita era stata chiamata a prestare il servizio militare di leva: Brazzini, tuttavia, con buona probabilità era stato inscritto nella terza categoria, e pertanto esentato dall'entrata in servizio. 

Alunni e docenti del IV corso di agrimensura dell'Istituto Cuppari (anno 1904-1905). Brazzini è il primo in piedi da sinistra. Foto tratta dal sito www.icupparini.it e liberamente rielaborata.

Terminati gli studi, Brazzini trovò  dunque impiego presso l'amministrazione del Regio Catasto. Il suo ufficio lo condusse in varie località d'Italia, tra cui Messina, ove giunse poco tempo dopo il rovinoso terremoto del 1908. In quello stesso periodo, si sposò, a Jesi, con Vittoria Serrani, maestra elementare. La coppia, negli anni successivi, ebbe quattro figli. 
In mancanza di documenti, ci tocca, ora, compiere un balzo in avanti, sino al 1916. Sedulio Brazzini, in precedenza, era stato chiamato alle armi ed era stato destinato a svolgere i corsi accelerati da allievo ufficiale. Uscitone col grado di sottotenente, era stato assegnato alla Fanteria, e destinato al 12° Reggimento della Brigata "Casale", con sede, in tempo di pace, a Cesena.
La Brigata "Casale", sin dai primi giorni di guerra, era stata impegnata nel settore carsico, contro il Podgora (in italiano, noto anche come Monte Calvario), immediatamente a ovest della città di Gorizia. Il Podgora ed il Sabotino erano per l'appunto i due pilastri difensivi della città di Gorizia, poderosamente fortificati e resi quasi inespugnabili; potevano contare sul tiro di sbarramento e di repressione dell'artiglieria imperial-regia che si scatenava puntuale ad ogni attacco delle Brigate italiane. La "Casale" si dissanguò contro il Podgora nella I, II, III, IV Battaglia dell'Isonzo, riuscendo ad ottenere, progressivamente, ridotti successi in termini di avanzata verso Gorizia. La situazione non si modificò neppure in esito alla V Battaglia dell'Isonzo (11-15 marzo 1916), che non condusse a sostanziali modifiche negli schieramenti, anche a causa delle proibitive condizioni meteorologiche nelle quali si svolse. 
Decisiva, tuttavia, sarebbe stata la successiva offensiva generale progettata dal Comando Supremo. 

La Brigata "Casale" si trovava inquadrata, insieme alla Brigata "Pavia", nella 12^ Divisione dell'VIII Corpo d'Armata. Al comando della Divisione, il tenente generale Fortunato Marazzi. All'alba del 6 agosto 1916, iniziarono, su tutto il fronte da Tolmino al mare, le operazioni della VI Battaglia dell'Isonzo. La "Casale" mosse all'assalto dalle sue posizioni poste sul Calvario e sotto il Podgora. Contemporaneamente altre truppe del VI Corpo d'Armata investirono la linea nemica Sabotino-Oslavia e a sera si registrarono i primi importanti cedimenti austriaci. Respinti i contrattacchi avversari del giorno 7, la Casale l'8 riprese l'avanzata verso la sponda destra dell'Isonzo. Alle ore 15 le prime pattuglie passarono a guado il fiume e presero posizione tra le prime case di Gorizia

Cartolina illustrata relativa all'azione della Brigata "Casale" nella Battaglia di Gorizia (8-10 agosto 1916).

Dunque Gorizia era conquistata, grazie al valore dei bravi fanti della "Casale" - i "gialli del Calvario" come erano soprannominati, per via del colore delle mostrine - e dei loro compagni della "Pavia" e di tutte le truppe ausiliarie che si sacrificarono in quei giorni tragici ed eroici. I due reggimenti della Brigata, nei giorni seguenti, passarono a presidiare le nuove posizioni lungo le sponde del torrente Vertoibizza. 

Tuttavia, la situazione strategica per gli Italiani si era fatta assai complessa: gli austro-ungarici, perduta Gorizia, si erano ritirati sulle colline circostanti la città e dalle loro posizioni fortificate tenevano praticamente sotto assedio le truppe italiane, pur vittoriose.
I successivi movimenti offensivi che la Brigata Casale furono dunque essenzialmente finalizzati a raggiungere tale linea fortificata, per guadagnare posizioni maggiormente favorevoli: così fu per la Settima Battaglia dell'Isonzo, svoltasi dal 14 al 18 settembre successivi, che non condusse tuttavia a risultati apprezzabili.
Dunque, il Comando Supremo progettò una nuova offensiva, che avrebbe dovuto scattare nel pomeriggio del giorno 10 ottobre 1916: essa sarebbe passata alla storia quale Ottava Battaglia dell'Isonzo.
Dal pomeriggio del 9, la nostra artiglieria iniziò un tiro di preparazione contro tutta la fronte della Terza Armata, che proseguì sino al mattino del giorno successivo. Alle ore 14,50 del 10, le fanterie scattarono all'attacco. All'VIII Corpo d'Armata (Divisioni 11^ e 12^) era affidato il compito di attaccare il settore a settentrione del torrente Vippacco. L'offensiva dell'VIII C.d.A. avrebbe dovuto svolgersi su tre direttrici: alla 12^ Divisione erano assegnati gli obiettivi costituiti dalle quote 103 e 89. La divisione avrebbe dovuto irrompere sulle posizioni nemiche passando attraverso due varchi di circa 500 metri ciascuno, da aprirsi nelle posizioni poste ad oriente dell'abitato di Vertoiba Inferiore.
Dopo una giornata di combattimenti, a sera, nel settore in discorso, gli Italiani non avevano conseguito risultati sostanziali: sul fronte della 12^ Divisione, la Brigata "Pavia", attraverso uno dei due progettati varchi, era riuscita a superare la prima linea nemica, non riuscendo a raggiungere tuttavia la quota 89; la "Casale", invece, aveva trovato i reticolati ancora intatti, ed era stata costretta a spostarsi verso quello attraverso cui erano passati i fanti della "Pavia". Il movimento, lento e ostacolato dal nemico, dovette essere interrotto dal sopraggiungere dell'oscurità e dall'ordine di sospensione dell'azione.
Il Comando Supremo decideva, pertanto, per la prosecuzione dell'azione il giorno successivo, 11 ottobre. All'VIII C.d.A., che costituiva l'ala destra dello schieramento, era ordinato di procedere nuovamente contro gli obiettivi già attaccati il giorno prima. La 12^ Divisione ripetè dunque l'avanzata, con la "Casale" che puntava, ancora una volta, contro la quota 103. 
Il sottotenente Sedulio Brazzini, al comando del proprio plotone, si gettò all'assalto, insieme agli altri reparti del 12° Reggimento. Lo svolgersi dei suoi ultimi momenti è fotografato dalla motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare che sarebbe poi stata concessa alla sua memoria:
"Spintosi arditamente col suo plotone a circa 50 metri dal nemico, sotto un vivo fuoco di fucileria e bombe, spiegò singolare energia e valore nel tenere il reparto sulla posizione raggiunta. Cadde poi colpito a morte."

Raccolto dai suoi uomini, lo sfortunato ufficiale fu inumato nel piccolo cimitero di guerra di Vertoiba Inferiore. Le sue spoglie, negli Anni Trenta, furono traslate presso il Sacrario Militare di Oslavia, dove, tuttavia, riposano fra gli ignoti.
Alla memoria di Sedulio Brazzini, grazie all'impegno di un benemerito cittadino, il gr. Uff. Salvatore Fasano, l'amministrazione comunale di Cava de' Tirreni ha recentemente dedicato una via. 

A cura di Niccolò F.


BIBLIOGRAFIA
- S. Fasano, Albo d'oro dei Caduti Cavesi 1895-1945, Città di Cava de' Tirreni, 2000.
- AA. VV., L'Esercito Italiano nella Grande Guerra (1915-1918), Vol. III, Roma, Libreria dello Stato.
- Riassunti storici dei Corpi e Comandi, Vari Volumi, Roma, Libreria dello Stato.