domenica 26 marzo 2017

27 marzo 1916: il capitano Gurgo e i fanti del 7° reggimento all'assalto del Podgora

O wehe, des höchsten Schmerzentags!
Da sollte, wähn' ich, was da blüht,
was atmet, lebt und wiederlebt,
nur trauern, ach! und weinen?

O giorno, ahimè, di dolore supremo!
Ma non dovrebbe, penso, quel che qui fiorisce,
quel che qui respira e vive e ancor rivive,
in lutto, ahimè, soltanto lagrimare?
Richard Wagner, Parsifal, Atto III
Bartolomeo "Mino" Gurgo, ufficiale del 7° Fanteria (rielaborazione da L'Illustrazione Italiana).

Centouno anni: tanto è il tempo che ci separa da quel giorno di fine marzo, come oggi, in cui un giovane ufficiale del Regio Esercito sacrificò la propria esistenza nell'adempimento del dovere. In questo articolo, partendo da un prezioso cimelio a lui – in qualche modo – appartenuto, cercheremo di ricordarne la figura, ai nostri lettori.

Medaglia d'Argento al Valore Militare conferita al capitano Bartolomeo Gurgo.

Nelle pianeggianti campagne vercellesi, sorge un borgo agricolo di poco più di milleduecento anime: Stroppiana, la cui economia si regge, oggi come un secolo fa, sulla coltivazione del riso. È in questo scenario agreste che, il 20 ottobre del 1892, venne alla luce Bartolomeo Gurgo. Era figlio di Luigi Gurgo e Cristina Gallione, che avrebbero avuto altri due figli, Giuseppe e Natalina.
In proposito al carattere del giovane Bartolomeo – familiarmente chiamato Mino, come lo chiameremo anche noi nel prosieguo -, esso fu così descritto, con un curioso paragone:
“Profondamente religioso, aveva sentimenti così gentili e nobili che più facilmente si possono riscontrare in una delicata fanciulla che in un uomo d’arme. Eppure aveva un carattere fermo e virile.”
Cresciuto nella provincia piemontese, in un ambiente tradizionalmente connotato dalla fede cattolica così come dal senso del dovere nei confronti del Regno – prima di Sardegna, e poi d’Italia -, compiuti gli studi superiori, al compimento dei vent'anni, nel 1912, fu arruolato nel Regio Esercito. 
Con riguardo a questo evento, sarebbe stato scritto:
“Di proposito egli aveva voluto interrompere i suoi brillanti studi per avviarsi alla carriera militare: e questo in piena guerra libica e malgrado le violenze dei famigliari farlo desistere dal proposito preso.”
In merito alla scelta di perseguire la carriera militare, è arduo – nell'indisponibilità del suo stato di servizio – determinare se essa discese dalla decisione di arruolarsi propriamente quale volontario o se, invece, il passo appena riportato debba essere inteso nel senso che Gurgo dovette rinunziare alla possibilità di differire il proprio arruolamento, cosa che gli sarebbe stata consentita dalla sua condizione di studente (si direbbe, universitario).

In ogni caso, nel corso del 1912 il giovane Mino avrebbe vestito il grigioverde: si era, appunto, nel pieno delle operazioni in Tripolitania e Cirenaica, tuttavia non risulta che il giovane vi prese parte. Compiuti, a cavallo del nuovo anno, i corsi da allievo ufficiale, con la fine del mese di febbraio del 1913 Gurgo ottenne l’agognata stelletta, con la promozione al grado di sottotenente [1], assegnato all’arma di fanteria. Non può qui precisarsi il reparto presso cui dovette prestare il servizio di prima nomina, salvo ipotizzare che egli fosse sin da allora stato assegnato al medesimo reggimento in cui avrebbe prestato servizio al momento della mobilitazione. Al 31 dicembre del 1914, in proposito, Mino Gurgo risultava inquadrato nel 7° Reggimento Fanteria della Brigata “Cuneo” [2].


Cartolina reggimentale del 7° Fanteria, riportante le campagne affrontate dal reparto sino a quella d'Africa del 1887.

Il 7° Fanteria era, a quel tempo, un po’ il “reggimento dei milanesi”: il reparto, infatti, aveva la sede del deposito proprio nel capoluogo lombardo e dunque, oltre a reclutare coscritti del distretto di Milano (e di Monza), era reggimento d’elezione per volontari ordinari ed ufficiali di carriera provenienti dalla Lombardia. Fu dunque a Milano, presso la Caserma “Garibaldi” – vicino alla basilica di Sant'Ambrogio e accanto agli edifici della futura Università Cattolica – che il sottotenente Gurgo trascorse, con certezza, i concitati mesi della primavera del 1915.

Con il 1° marzo di quell'anno, terminate le operazioni preliminari (la c.d. "mobilitazione rossa", o "occulta"), prese avvio la vera e propria mobilitazione, col trasferimento di una prima aliquota di reparti verso il confine. Tra questi, nelle settimane seguenti, anche il 7° Reggimento Fanteria, che fu inviato nei dintorni di Brescia. Tale trasferimento faceva parte della manovra di radunata del III Corpo d'Armata di Milano, che in tal modo si appressava al confine con l'Impero Austro-Ungarico.  


Dopo l'inizio delle ostilità, il reggimento – insieme al gemello 8° Reggimento, col quale formava la Brigata “Cuneo” –  risalì la Valle Camonica, raggiungendo Ponte di Legno. Da qui, nei mesi seguenti, la “Cuneo” avrebbe alternato i propri reggimenti tra il fondovalle e le posizioni del Passo del Tonale e di Cima Cadì
La Brigata era inquadrata nella 5a Divisione del III Corpo d’Armata, parte della Prima Armata: accanto alla “Cuneo”, nel medesimo settore, era schierata – oltre a cospicui reparti Alpini e di servizi – la Brigata “Palermo” (67° e 68° fanteria), nella quale prestavano servizio altri personaggi dei quali abbiamo trattato in queste pagine, come Elio Ferrari e Lino Cattaneo.
Con riferimento all’attività della “Cuneo” nel corso del 1915, il riassunto storico è alquanto schietto nell'affermare che la Brigata “non [ebbe] occasione di svolgere altra attività che quella di spingere pattuglie in ricognizioni verso l’Osteria Locatori, l’Ospizio di S. Bartolomeo, oltre la Sella Tonale e verso i passi del Monticello [oggi più noto quale Passo Paradiso, n.d.A.]". 
In quel settore del fronte, le operazioni di maggior rilievo erano, infatti, essenzialmente affidate ai reparti alpini – in particolare, ricordiamo qui il Battaglione “Edolo”, del 5° Reggimento – mentre quelli di fanteria svolgevano perlopiù attività di presidio difensivo e ricognizione.
Nel settembre del 1915, Mino Gurgo ottenne – trascorsi ormai oltre due anni nel grado inferiore – la promozione al grado di tenente [3]. A proposito del servizio da lui prestato in quei mesi, sarebbe stato scritto che egli “era destinato allo stato maggiore [del 7° reggimento] come ufficiale di vettovagliamento”.
Terminato il 1915 e salutato il nuovo anno 1916 - del quale si diceva "nato in guerra, morirà in pace" - tra le nevi dell'Alta Valle Camonica, la situazione per i fanti della "Cuneo" era tuttavia destinata a mutare radicalmente.

Secondo il riassunto storico, infatti, il 28 gennaio la Brigata "Cuneo" si riunì nei pressi di Edolo e poi, ridiscendendo dalla Valcamonica e in treno via Brescia, il 29 raggiunse Cormons. 
Alle aspre, ma relativamente tranquille, posizioni del fronte alpino, si sostituiva il drammatico scenario del settore carsico. La Brigata fu, appunto, assegnata all’11a Divisione della Terza Armata (VI Corpo d’Armata). Il 5 febbraio, i due reggimenti della “Cuneo” entrarono in linea nel nuovo tratto di fronte a loro affidato, che andava dalle posizioni del Podgora – altro nome del Monte Calvario, un’altura di 241 metri di quota che sovrasta l’abitato di Podgora, oggi Piedimonte del Calvario -  a sud, a quelle del paese di Oslavia e del “Lenzuolo Bianco” a nord.
Sovrapposizione di una mappa del settore della Testa di ponte di Gorizia al termine del 1915 ad attuale foto satellitare.
Rispetto alle operazioni alle quali la Brigata partecipò nel periodo dal detto 5 febbraio al 5 maggio, il riassunto storico è alquanto sbrigativo nell'affermare che essa “non pre[s]e parte che ad azioni vivaci di pattuglie e a piccole operazioni offensive, tendenti a logorare l’avversario”. A tale situazione di relativa calma fecero eccezione, tuttavia, le giornate del 26 e 27 marzo, cui ora bisognerà dedicare la nostra attenzione.
Ma prima, è necessario un accenno a due eventi lieti che interessarono il giovane ufficiale vercellese.

La promozione a capitano e la licenza invernale a Stroppiana

Si è detto che, col mese di settembre, Mino Gurgo era stato promosso al grado di tenente, e che prestava servizio come ufficiale addetto allo stato maggiore del proprio reggimento, incaricato, in particolare, di provvederne al vettovagliamento. A testimonianza del particolare apprezzamento del quale doveva godere presso i suoi superiori – come anche della rapidità, probabilmente eccessiva, degli avanzamenti di carriera in tempo di guerra – si noterà ora che, nel volgere di pochi mesi, e presumibilmente con l’inizio del 1916, Gurgo fu proposto per un ulteriore avanzamento:
“Proposto, così, giovane, per la promozione a capitano, avrebbe potuto rinunciarvi e continuare la sua vita randagia ma tranquilla e sicura; invece accolse con entusiasmo la promozione – che nella sua irriducibile modestia diceva di non meritare -. Perché essa veniva e liberarlo – così egli asseriva – dalla vergogna di starsene lontano dal pericolo mentre tanti soldati italiani, aventi moglie e figli, facevano olocausto del loro sangue alla Patria.”
Il capitano Mino Gurgo, in una foto scattata nell'inverno a cavallo tra 1915 e 1916 (rielaborazione da La Sesia).
Mino Gurgo, non ancora ventiquattrenne, diventava dunque capitano: il che, oltre agli onori – in una società che conferiva ancora grande valore al prestigio militare -, comportava l’onere assai cospicuo di trovarsi al comando di una compagnia. Ovvero, di (almeno) oltre un centinaio di uomini, tra truppa, graduati, sottufficiali e ufficiali subalterni (sottotenenti e tenenti). Una responsabilità pesante già in tempo di pace, ma obiettivamente enorme nel pieno della guerra, considerando che dalle proprie iniziative poteva dipendere totalmente la vita dei propri sottoposti. La sorte, o chi per essa, gli affidò dunque la 12a compagnia del III Battaglione: quest’ultimo era comandato da un ufficiale in servizio attivo di Forlì, il maggiore cav. Bruto Lombardi, destinato, nel futuro, a una brillante carriera.
Ai primi di marzo, poco dopo essere subentrato nella sua nuova carica, al capitano Gurgo fu inoltre concesso, finalmente, di poter godere del turno di licenza invernale che gli spettava. In proposito, avrebbero scritto:
“Sempre buono e generoso, aveva ottenuto di essere mandato in licenza dopo tutti gli altri, all'ultimo giorno: questo perché, trovandosi da poco tempo in prima linea, credeva di non aver compiuto ancora il proprio dovere come i suoi soldati.”
Lasciata dunque la Zona di Guerra, il giovane ufficiale fece ritorno a Stroppiana, suo paese natale, per trascorrervi i quindici giorni di licenza.
“E quel periodo di licenza fu tanto più caro e gradito, perché coincise in buona parte con la licenza dell’altro ottimo figliuolo, Giuseppe, sottotenente dei granatieri, e perché nella fausta occasione anche la figliola, la signora Natalina Dattrino, residente a Casale, si era riunita ai genitori e ai fratelli.”
“La vigilia della sua partenza da casa – il 22 dello scorso mese – fu da lui impiegata a recarsi di casa in casa per salutare congiunti e amici, senza dimenticare nessuno. A chi lo vide in quegli ultimi momenti, col viso tranquillo e sorridente, parve un predestinato. Il mattino appresso si licenziava da’ suoi cari, dolcemente rimproverandoli perché essi, quasi presaghi della sua prossima fine, non potevano trattenere le lacrime. Non altrimenti il Parsifal della leggenda abbandonava la propria casa e correva al sacrificio!”

Stroppiana, in una cartolina d'epoca (Anni '40).
Con queste immagini negli occhi, Mino Gurgo, intorno al 23 marzo, fece dunque ritorno al fronte, riprendendo il suo posto di comando. Chissà se poteva immaginare che, nel giro di pochissimi giorni, sarebbe stato coinvolto nella più dura battaglia affrontata dal proprio reggimento dall'inizio della guerra.

I combattimenti del 26 e 27 marzo 1916 sul Podgora

All'inizio di marzo, l'Arciduca Eugenio d'Asburgo-Teschen, comandante dell'esercito imperial-regio per il fronte sud-ovest, ordinava che dopo il 15 del mese "fossero svolte alcune azioni offensive su tutta la fronte isontina, con lo scopo precipuo di distogliere la nostra attenzione dal Trentino, e, nello stesso tempo, di conseguire qualche successo tattico che fosse anche di utilità per una prossima offensiva sull'Isonzo"[4]. Le operazioni presso la Testa di ponte di Gorizia erano affidate alla 5^ Armata A.U., il cui comandante riteneva che lo scopo perseguito potesse essere conseguito unicamente nel settore del Podgora "con regolari riprese di fuoco di artiglieria, sia con tiri che avessero lo scopo di distruggere i reticolati nemici, sia con aumentato fuoco contro i singoli sottosettori, unitamente a brevi ardite azioni di piccoli reparti". Secondo queste linee direttive, fu dunque concepito l'attacco che si sarebbe scatenato contro il fronte tenuto dall’11a Divisione.
L’attacco, fissato inizialmente per il 24 marzo, fu poi rimandato alla data del 26. Esso sarebbe stato diretto, appunto, contro il settore Podgora, affidato al Magg. Gen. Vittorio Trallori, comandante la Brigata “Abruzzi” (57° e 58° reggimento). In tale sottosettore risultavano schierati il 116° reggimento della Brigata “Treviso” e il III Battaglione del 7° reggimento, quest’ultimo tenuto in riserva sulla posizione di quota 205
L’azione dell’esercito imperial-regio – secondo le disposizioni già accennate – ebbe inizio con un intenso bombardamento di artiglieria, iniziato alle 13 e proseguito, con violenza crescente, sino alle 19, quando il tiro fu allungato, evento prodromico all'assalto delle fanterie. In previsione di ciò, il generale Trallori ordinava al III Btg. del 7° di avanzare, alle 19.15, sulle posizioni di quota 206. Delle quattro compagnie del battaglione, una – la 9a , al comando del capitano Pietro Locatelli - si trovava in seconda linea incaricata lavori di rafforzamento difensivo. Pronto in linea, al comando della 12a compagnia, come già visto, si trovava invece il giovane capitano Mino Gurgo.

Il nemico mosse all'attacco alle ore 19: in quel momento, secondo la relazione ufficiale italiana, “le nostre linee erano sconvolte, i reticolati, di cui fu completata la distruzione con l’esplosione di tubi di ecrasite, divelti, le truppe stordite e decimate” [5]. Dunque, “riuscì […] agevole all’avversario di impadronirsi delle nostre posizioni di prima linea [tenute dal 116°] tranne in un breve tratto del centro, ove le sue infiltrazioni furono prontamente contenute”. Le posizioni perdute, in particolare, erano quelle collocate sul rilievo noto come "Naso di Podgora".

Mappa del settore della Testa di ponte di Gorizia al termine del 1915, con la variazione della posizioni prima e dopo la Quarta Battaglia dell'Isonzo (in rosso le posizioni italiane; in blu le posizioni austriache).

In queste drammatiche circostanze, il generale Trallori ordinò che, con altri reparti, anche il III Battaglione del 7° Fanteria muovesse a rinforzo del 116° reggimento. Il comando della Terza Armata, alle 23.25, telegrafò a quello del VI C.d’A. “Conto che codesto corpo saprà riprendere posizioni dalle quali ha ripiegato”.

Dopo alcune ore di preparazione, il contrattacco italiano fu sferrato all'alba del 27 marzo. Nel settore di fronte che qui ci occupa, i reparti attaccanti erano il III Battaglione del 7° fanteria, il I del 57°, una compagnia del 58° e il I battaglione e la 10a compagnia del 116°.
Intorno alle ore 5 del mattino, dunque, i fanti del III Battaglione del 7°, al comando del maggiore Bruto Leonardi, scattarono all'assalto, con l’obiettivo di riconquistare il terreno perduto il giorno precedente. La 12a compagnia, animata dal capitano Gurgo, avanzò rapidamente verso il nemico.
La descrizione degli attimi terribili del combattimento è tratta da una lettera dell’attendente di Gurgo, il sottotenente Giacomo Buonsante - classe 1889, da Mola di Bari - :
“nella notte sul 27 marzo il prode capitano, in una missione delicata e difficile, si era comportato in modo lodevolissimo e [il] mattino successivo, essendogli comandato di portare la sua compagnia contro il nemico insidioso e vigile, postosi in testa dei suoi bravi soldati che l’adoravano, arrivava[…] fin sotto le trincee avversarie tra un diluvio di proiettili. Ferito gravemente alla faccia, cadeva; ma subito si rialzava, e cercando inutilmente di frenare il sangue che usciva copioso dalle ferite, incitava i suoi all’assalto delle trincee, ormai espugnate. Ma ecco che un nuovo proiettile gli attraversa il cuore facendolo stramazzare al suolo. Il sottotenente Buonsante – che lo amava come un fratello – procombe ansioso su lui, e vedendo che la morte non ha ancora spento quegli occhi tanto buoni e, in quel momento, anche tanto fieri, vuole che sia trasportato al posto di medicazione; ma quell’eroe che non può più parlare fa segno di voler rimanere, di voler assistere al glorioso epilogo del combattimento, al quale ha tanto contribuito. “Ma nutrendo io ancora speranza che si salvasse – così scrive l’affezionato ufficiale subalterno – lo feci trasportare contro suo volere, ma quando giunse a destinazione la sua bell’anima era già volata in Cielo. Gloria a Lui che ha meritato, prima fra tutti, quella ricompensa al valore, che certo verrà concessa alla sua memoria!”. [….]
Rilaborazione di una recente carta dell'IGM, con evidenziata in giallo le posizioni del Naso di Podgora.
Accanto al capitano Gurgo, caddero anche altri due ufficiali subalterni del III Battaglione: il sottotenente Benvenuto Birarelli, classe 1893, da Ostra (MC), e il sottotenente Alfonso Ricci, da Nocera Inferiore (SA), non ancora trentenne. Il combattimento, costò poi la vita a ventisette tra militari di truppa, graduati e sottufficiali, i cui nomi ci piacerebbe ricordare (e che speriamo di poter integrare nel futuro). Tra le altre perdite, si contarono cinque feriti e un disperso, probabilmente prigioniero, tra gli ufficiali; novanta feriti e quarantanove dispersi tra la truppa. Complessivamente, il 7° fanteria fu il secondo reparto più provato nei combattimenti del 26-27 marzo, secondo solo al 116° reggimento della “Treviso”, ovvero il reparto che direttamente occupava le posizioni del Naso di Podgora al momento dell’attacco austro-ungarico.
Ricordiamo qui brevemente anche gli ufficiali caduti del 116°: magg. Paolo Timossi, da Genova; cap. Giacomo Tacchini, da Catania; s.ten. Giovanni Callea, da Favara; s.ten. Vincenzo Gastaldi, da Torino; s.ten. Valentino Lazzarini, da Gallio; asp. Domenico Ciampa, da Ruvo di Puglia;

La lotta sanguinosa, a fronte del pesante sacrificio di uomini, fruttò agli Italiani il successo tattico: le posizioni perdute sul “Naso di Podgora” furono riconquistate, con la cattura di 127 prigionieri. Anche in virtù di questo epilogo, come previsto dal sottotenente Buonsante, alla memoria del capitano Gurgo fu concessa la Medaglia d’Argento al Valor Militare, con la seguente motivazione:
“Pronto ed energico, riorganizzava la propria compagnia, sorpresa da un'irruzione nemica mentre attendeva ai lavori del genio. Guidatala, sotto intenso fuoco di fucileria, a pochi passi dalla posizione avversaria, la portava all'assalto. Ferito al volto, continuava a combattere, finché cadeva nuovamente e mortalmente colpito.” - Naso di Podgora, 27 marzo 1916
Ecco dunque due immagini più dettagliate della medaglia conferita al capitano Gurgo:

Recto e verso della MAVM conferita alla memoria di Mino Gurgo (in congruo conio Zeta coronata F.G).
In proposito, va notato che la circostanza – riportata nella motivazione – per cui la 12a compagnia fosse stata sorpresa dall’attacco nemico mentre era intenta ai lavori del genio non pare collimare perfettamente con la precisa ricostruzione degli eventi del 27 marzo tratta dalla relazione ufficiale. Appare dunque plausibile che tale inciso sia da riferire al giorno precedente, 26, ed al momento del primo sbalzo offensivo degli Austro-Ungarici.

Allo stesso modo, il riconoscimento fu conferito anche alla memoria degli altri due ufficiali caduti nella giornata.
Al sottotenente Benvenuto Birarelli, nato a Ostra il 13 giugno 1893, la Medaglia di Bronzo al Valor Militare con la seguente motivazione:
Sotto l'intenso fuoco di fucileria e mitragliatrici, portava il proprio plotone, con slancio ed arditezza, fin sotto il reticolato nemico, ove cadeva colpito a morte.” - Naso di Podgora, 27 marzo 1916
Al sottotenente Alfonso Ricci, nato a Nocera Inferiore il 15 luglio 1886, la Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione:
Mirabile esempio di valore, seppe, coi suoi soldati, sostenere una lunga ed accanita lotta presso i reticolati nemici. Incaricato con il suo plotone di proteggere l'ala destra del battaglione, adempiva arditamente tale incarico, finché cadeva mortalmente colpito.” - Naso di Podgora, 27 marzo 1916
Invece, al comandante del Battaglione, maggiore Bruto Leonardi, sopravvissuto al combattimento, fu conferita la Medaglia di Bronzo:
“Con grande arditezza e slancio, condusse più volte le sue truppe all’attacco di trincee occupate dal nemico. Sebbene avesse subito gravi perdite, rimase tenacemente sul posto fino all’arrivo dei rincalzi, coi quali conquistò tutte le trincee occupate dall’avversario nel giorno precedente." – Podgora, 27 marzo 1916
Tra i decorati sopravvissuti alla giornata, risulta anche il tenente Bruno Pontremoli, di famiglia israelita milanese, classe 1892, al quale fu concessa la Medaglia d'Argento al Valor Militare:

"Nell'attacco di una posizione, sotto l'intenso fuoco di fucileria, portava la compagnia fin presso i reticolati nemici e vi si manteneva, ingaggiando una lotta durata ben quindici ore: esempio di mirabile fermezza e coraggio. Ricevuto l'ordine di eseguire uno spostamento di fianco a pochi passi dalle trincee avversarie, alla testa della propria compagnia, eseguiva il movimento, durante il quale cadeva gravemente ferito. - Naso di Podgora, 27 marzo 1916"

Ancora, decorato di Medaglia di Bronzo al Valor Militare fu anche l’aspirante Luigi Montanini, da Fermo (AP):
“Con calma esemplare, sotto l’intenso fuoco di fucileria ed artiglieria nemica, manteneva salda la compagnia del suo plotone, che aveva già subito sensibili perdite durante 15 ore di combattimento: a sera, pochi minuti prima dell’attacco finale, essendosi spinto alla destra della propria compagnia, ove nuclei nemici si addensavano, cadeva ferito.” – Naso di Podgora, 27 marzo 1916
Le operazioni nel Settore di Podgora furono anche citate nel Bollettino del Comando Supremo del 28 marzo:
"L'aspra e accanita lotta, durata circa 40 ore, sulle alture nord-ovest di Gorizia si è chiusa stamani col successo delle nostre armi. Dopo un'intensa concentrazione di fuoco di artiglieria sui nostri trinceramenti del Grafenberg, già danneggiati dalle precedenti intemperie, la sera del 26 l'avversario pronunciava con ingenti forze un violento attacco. L'ostinata resistenza dei nostri trattenne alle ali le irrompenti masse nemiche, mentre al centro, dopo un furioso corpo a corpo, un battaglione ripiegava per circa 400 metri trascinendo seco una trentina di prigionieri. Ieri seguì vivissimo per l'intera giornata il fuoco di interdizione delle opposte artiglierie sulla contrastata posizione. La sera le nostre fanterie iniziarono il contrattacco e con reiterati sanguinosi sforzi, mirabilmente secondate dall'artiglieria, espugnarono i perduti trinceramenti. Caddero nelle nostre mani 302 prigionieri, di cui 11 ufficiali, du mitragliatrici, fucili, munizioni in gran numero e materiale da guerra di ogni specie."

Le spoglie del giovane e sfortunato capitano Gurgo furono raccolte dai suoi uomini e tumulate in loco, come avrebbe ricordato la stampa:
“L’amore e la pietà de’ suoi soldati davano più tardi onorevole sepoltura alla cara salma, segnando con una croce il tumulo dove un giorno non lontano trarranno i suoi cari in mesto pellegrinaggio e, prosternati sulla zolla che ha bevuto il sangue glorioso del loro amatissimo, daranno sfogo a quelle lacrime che ora rigonfiano i loro petti.”
Non risulta, tuttavia, che Mino Gurgo riposi attualmente trai i “noti” presso il Sacrario Militare di Oslavia, ove furono radunate negli Anni Trenta le sepolture sparse in quella zona del fronte. È dunque probabile che, nel dopoguerra, sia stato fatto traslare a Stroppiana dalla pietà dei suoi genitori (circostanza che cercheremo di determinare), o che, malauguratamente, si trovi tra gli “ignoti”.

Anche il sottotenente Buonsante, devoto attendente del capitano Gurgo, sarebbe stato destinato a un triste fato: un anno e mezzo dopo, alla fine di ottobre del 1917, sarebbe stato dichiarato disperso nel corso dei combattimenti avvenuti durante il ripiegamento sul Piave.

Al capitano Mino Gurgo, e a tutti i ragazzi citati in questo articolo, va il nostro ricordo, e deferente omaggio.

A cura di Niccolò F.



NOTE

NB: gli estratti biografici virgolettati sono tratti dai vari articoli apparsi su La Sesia nei giorni successivi alla morte del capitano Gurgo.
[1] Annuario Militare del Regno d’Italia – Anno 1915; Gurgo risulta promosso sottotenente con r.d. del 23 febbraio 1913.
[2] Annuario…, cit. Al 31 dicembre del 1914 risulta assegnato al 7° Reggimento Fanteria.
[3] D.Lgt. 9 settembre 1915.
[4] L'Esercito Italiano..., cit., p. 202-3.
[5] L'Esercito Italiano..., cit., p. 210-11.


BIBLIOGRAFIA
- La Sesia - Quotidiano vercellese, varie uscite, anno 1916. Articoli reperiti sull'ottimo sito www.eusebiano.com
L'Esercito Italiano nella Grande Guerra (1915-1918), Vol. III, Tomo I, Roma, Libreria dello Stato.
Riassunti Storici dei Corpi e Comandi nella guerra 1915-1918, Roma - Libreria dello Stato.
Annuario Militare del Regno d’Italia – Anno 1915, Tip. Enrico Voghera, Roma, 1915.