giovedì 13 dicembre 2018

Ricordi dal Piave: il caporale Gino Cutti, ragazzo del '99, e una licenza "andata in fumo"

Nonostante il "centenario" sia ufficialmente terminato da alcune settimane, a noi poco importa: proseguiamo nel ricordare uomini e storie di quel delicato periodo della nostra storia. Oggi proponiamo ai nostri lettori un breve racconto che ci ha colpito, sia per il tono vivido e schietto, che per il "black humor" di cui è intriso.

È tratto da un numero degli Anni Sessanta della rivista periodica dell'Associazione tra i "Ragazzi del '99", dalla quale lo trascriviamo fedelmente (corsivi e grassetti nostri).
***

Una licenza andata in fumo 

Testimonianza del caporale Gino Cutti, da Crema, fante del 268° Reggimento della Brigata "Caserta".
Tratto da Il Tascapane – periodico trimestrale dell'Associazione Nazionale "Ragazzi del '99", Anno III, Num. 3, pag. 17
Piave, Grave di Papadopoli, 15 giugno 1918

Quella notte mi trovavo sull'isola Caserta situata in mezzo al Piave alle Grave di Papadopoli; era chiamata "Caserta" perché veniva presidiata dal mio reggimento: 268° Regg. Fant. (Brigata Caserta). Il nostro compito era quello di sorvegliare le mosse del nemico e impedire alle pattuglie avversarie di attraversare il fiume. Tengo a precisare che le compagnie del mio reggimento erano formate da ragazzi del '99, quasi tutti veneti e appartenenti alle terre invase.

Settore del fronte tenuto dalla 31^ Divisione (nella quale era inquadrata, in quel momento, la Brigata "Caserta") al 15 giugno 1918.
Erano le 2,30 o 2,40 del 15 giugno del '18, quando la nostra artiglieria aprì il fuoco su tutta la linea del Piave, dopo di che arrivò l'ordine di lasciare il posto avanzato e di sistemarsi all'argine del Piave. A questo punto, come al solito, entrò in azione "radio fante" con la notizia che ci sarebbe stata una grande azione. E, anche questa volta, "radio fante" non sbagliò! Erano le tre quando l'artiglieria austriaca cominciò il bombardamento. E che bombardamento! Era un inferno! A peggiorare la situazione, poi sul fiume era caduta una nebbia così fitta che non si vedeva un accidente; poi per colmo di scarogna quei porci ci inviarono i gas lacrimogeni. Su le maschere! Gli occhi bruciavano e lacrimavano maledettamente, rendendo ancora più difficile la visuale sul fiume. Verso le quattro il bombardamento si spostò nelle retrovie. Erano tutti sul "chi va là", e si aspettava da un momento all'altro di vederci comparire quei brutti elmetti con le borchie.

Quasi repentinamente, a causa forse del vento, la nebbia che ci ostacolava la vista si diradò e si alzò, lasciandoci la terribile sorpresa di vedere tutte le Grave e linea del Piave gremite di cecchini armati sino ai denti [1], che avanzavano passando a guado o sulle passerelle da loro costruite, e a poca distanza dall'argine dove noi eravamo appostati. Allora incominciò il finimondo! Quanti colpi! Al povero '91 non si poteva neanche toccare la canna; pericolo di forte scottatura; era diventata color ciliegia.

Settore delle Grave di Papadopoli. Evidenziata in giallo, la c.d. "Isola Caserta".
Ma alle Grave non passarono e dovettero ritirarsi lasciando nel fiume una quantità enorme di materiale, di morti e di feriti. Passarono invece a circa un chilometro da noi, sulla destra verso Candelù dove la linea era tenuta da compagnie di reparti inglesi.

Causa questa infiltrazione e la prospettiva di venire accerchiati, ci dettero l'ordine di ripiegare e di sistemarci nel camminamento 12. Dopo questo fatto la nostra posizione non era fra le più comode perché si doveva tenere testa in due punti diversi e cioè di fronte e di fianco. Il nemico che aveva occupato la nostra trincea, dopo aver passato il fiume, era però rimasto tagliato fuori e impossibilitato a ricevere rifornimenti, perché la nostra artiglieria aveva bombardato e distrutto tutti i ponti e le passerelle che aveva fatto per guadare; ma resisteva con accanimento ai nostri attacchi ripetuti. E così passarono due giorni durante i quali vi fu un susseguirsi di attacchi e contrattacchi che si svolgevano anche all'arma bianca causando morti e feriti da ambo le parti.
Per rinforzare la nostra posizione e per potere snidare il nemico dalla trincea e dai camminamenti che ci avevano occupato, ci mandarono per nostra sventura una sezione lanciabombe (lancia Stoc) [2], comandata da un ufficiale di artiglieria con diversi soldati. E così cominciò la tragedia! Si misero a sparare quando un pezzo scoppiò, uccidendo due inservienti e un nostro compagno. Per colmo di sventura in quel frattempo il nemico ci attaccò con una sortita costringendoci a ripiegare di un centinaio di metri, lasciando sul terreno i morti e i due pezzi lanciabombe.
Medaglia commemorativa per il Raduno dell'Associazione Nazionale "Ragazzi del '99" tenutosi in Milano nel giugno del 1969.
Visti inutili i tentativi di fare arrendere i nemici che si erano asserragliati nelle nostre posizioni e anche per non causare inutili perdite di uomini, essendo il terreno molto scoperto, si venne nella determinazione di farli arrendere per fame. Il povero ufficiale di artiglieria comandante la sezione lanciabombe, smaniava per venire in possesso delle sue armi e ci invitò a una sortita per recuperarle dicendoci: “Ragazzi, se mi recuperate le armi vi propongo per una licenza premio!”.
Allora accettammo di tentare l’impresa in cinque. Siccome di giorno sarebbe stata un’impresa impossibile, si aspettò la sera e, a notte fonda, armati di una fifa tremenda e di due SIPE ciascuno, con la smania di andare in licenza, strisciando ventre a terra nel fango, si arrivò ai pezzi. Fu un lavoro tremendo, però riuscimmo a smontare un pezzo. Poi, chi il fusto, chi il tripiede, chi i proiettili, riuscimmo ad entrare al nostro posto senza perdite. Era tanta la contentezza per il recupero dell’arma e la smania di vendicare il dovuto ripiegamento! Il tenente con l’aiuto dei nostri compagni volle mettere subito in azione il pezzo e cominciò a sparare. Non rammento con precisione quanti colpi sparò, perché in quei momenti stavo tentando di levarmi daddosso il fango e tutta la porcheria che avevo accumulata nel viaggio. A farmi finire questo mio tentativo di toeletta fu uno scoppio tremendo, seguito da lamenti, e la visione atroce che mi si presentò appena alzai la testa dal mio buco rifugio. Il pezzo come l’altro era scoppiato, e uno scheggione di fusto aveva raggiunto il povero tenente aprendogli uno squarcio nel ventre, di dove si vedeva la fuoruscita degli intestini. E così dopo aver fatto portare alla medicazione due compagni feriti per lo scoppio, rimessomi dal solito momentaneo smarrimento, e mentre con una barella costruita con un telo tenda veniva portato via il povero ufficiale, mi sentii chiamare da un mio compagno che aveva partecipato al recupero dell’arma, e dire: “Caporae non te pare che la licenza la ze anda in fumo?”… 
E sì, purtroppo era andata in fumo. Qualche ora dopo facemmo una sortita, decisi a vendicare il povero morto, ma appena fuori avemmo la sorpresa di vedere sventolare sulla trincea nemica lo strofinaccio bianco e così ritornammo dopo quattro giorni nelle nostre posizioni che avevamo dovuto abbandonare.

Angelo Gino Cutti

Caporale 268° Regg. Fanteria “Caserta”



NOTE: Angelo Gino Cutti, da Crema, dopo la guerra fece ritorno nella sua città, ove visse sino alla vecchiaia. Tra l'altro, dal 1971 al 1973, fu presidente del locale MotoClub.
[1] Qui il sostantivo "cecchino" è da intendersi non nel senso di "tiratore scelto", bensì quale termine generico per indicare i soldati austriaci (i.e., "soldato di Cecco Beppe").
[2] Si trattava di una Sezione di Lanciabombe da 76 mm "Stokes", di produzione inglese, fornito al Regio Esercito.



sabato 24 novembre 2018

"Libia.WW2" e "Sicilia.WW2" di Lorenzo Bovi

Oggi segnaliamo ai nostri lettori una interessante serie di pubblicazioni curate da Lorenzo Bonvi e che potranno interessare tutti gli appassionati di storia e di fotografia.

LIBIA.WW2 Volume quarto
Lorenzo Bovi

Continua la bella serie di libri fotografici di Lorenzo Bovi con questo Libia.WW2 Vol.4 che tratta in particolar modo della partenza da Napoli per la Libia, delle fortificazioni di Tripoli, di alcune motosiluranti a Bengasi, di Salvatore Esposito a Tobruch e Bardia, del tenente carrista Antonio D’Agata e della battaglia di Alam Abu Hileinat, ancora di Bardia e del ciglione di Derna. Il libro si conclude con varie foto inedite sparse e con spettacolari fotografie dell’aeroporto di Tunisi “El Aouina”. Un altro tassello si aggiunge al grande mosaico.


SICILIA.WW2 Volume ottavo
Lorenzo Bovi

Ecco le ultime ricerche storiche effettuate da Lorenzo Bovi e dai tantissimi collaboratori che gli forniscono fotografie e materiale vario. Il Volume Ottavo della sua collana SICILIA.WW2 presenta una bella serie di fotografie di tedeschi a Vittoria, la storia dei tre carri armati italiani R 35 di Comiso, i Campi di prigionia in Sicilia, il Maresciallo Pilota Silvio Ferrigolo, Nocera Raffaele e il MAS 452 nell’assalto al porto di Malta, i lanciafiamme americani, Salvatore Esposito ed il Treno Armato di Licata, il deposito “mezzi catturati” di Palermo, la pista di volo di Campofelice di Roccella, l’imbarco di Torre Faro a Messina e i SIEBEL a MARSALA. Tre tavole a colori ed una mappa dell’epoca a colori completano le circa 120 fotografie b/n di cui molte inedite.




SICILIA.WW2 – VOLUME SPECIALE – IL PONTE DI PRIMOSOLE
Lorenzo Bovi – Umberto Lugnan – Rita Di Trio

Questo spettacolare nuovo libro è il ventesimo della serie e viene dedicato ai ragazzi morti nei combattimenti a sud di Catania nel luglio 1943, presso il mitico PONTE di PRIMOSOLE che segnò l’arresto delle truppe di Montgomery. Oltre 150 foto per la maggior parte inedite mostrano i luoghi dei combattimenti con fotografie di paracadutisti tedeschi, inglesi e dei famosi Arditi italiani. Imperdibile.
Prezzo 20 euro - pagine 132 fotografico con 5 profili a colori


I volumi sono ordinabili sui seguenti siti:
- Presso tutte le migliori librerie militari.

sabato 3 novembre 2018

Il 4 Novembre dal taccuino di un ufficiale di Fanteria

Oggi cento anni fa si chiudeva la guerra sulla fronte italiana, quattro anni di sofferenze e paura, ma anche di abnegazione ed eroismo che permisero di giungere alla Vittoria,
Al fine di ricordare tutti i combattenti che presero parte al conflitto proponiamo le pagine di un piccolo taccuino scritto da un anonimo ufficiale di fanteria, probabilmente appartenente al 43° Reggimento Fanteria della Brigata Forlì.

18 Ottobre 1918
Piove tutto il giorno. Aspettando il bel tempo e l'offensiva (Piave in piena). Siamo all'VII Armata

19 Ottobre 1918
Piove ancora. A sera annunzio di prossima partenza per l'Asolone, il reggimento va occupare posizioni di Brigata Siena per la quale si stanno facendo feste in questi giorni.

20 Ottobre 1918
A Castelfranco Veneto (patria Giorgione) Cechislovacchi, arditi di tutte le razze, Francesi, inglesi, generali, artiglieria. Grande Movimento.
Stanotte si parte? Alle 19 si riceve annunzio di partire alle 23, 25 km marcia.

21 Ottobre 1918
Si cammina e si cammina nella notte lunare. Castion Rossano, S. Lorenzo, Cassola, Casoni[...]
Lunga e faticosa. Inbarachiamo, sul Tavolaccio, centinaia e centinaia di Camion, vanno per la Gusella al Grappa. 300 Cannoni trainati da auto.

22 Ottobre 1918
Alla Gusella. Continua l'eccezionale salita di colonne di autocarro con materiali, truppa,cannoni. Gli austriaci tirano a gas: 2 camion di truppa con gli occhi bendati, colpiti dai lacrimogeni, vanno al basso: ambulanze americane scorrazzano. [...] Apparteniamo non più alla 21° Divisione ma alla 18° (VI° Arm)

23 Ottobre 1918
Giornata di attesa. Continua il passaggio di camions di truppa e di artiglierie. Stormi di aeroplani da bombardamento e da caccia.

24 Ottobre 1918
Alle 5.20 grandioso bombardamento sul Moschin, Asolo. Grappa. Lungo il Piave meno intenso. Alle 7 fanterie devono avanzare. Qualche granata nell'accampamento. Le truppe nostre in caverna. Alle 9 giunge notizia della caduta dell'Asolone, a mezzogiorno oltre Asolone preso Pertica e circond. Col Berretta. Preso il Sisemol.

25 Ottobre 1918
Si parte a mezzanotte e si arriva all'Asolone. Quel che s'era acquistato ieri si perdette nel meriggio per mancanza di rincalzi. Grandioso Bombardamento. 300 Tugnitt (espressione dialettale per tedeschi) sfilano. Alle 16 si parte per Ponte S. Lorenzo, gli arditi del IX C d'Assalto si spingono a Cismon facendovi molti prigionieri. Ferma la corsa un equivoco devono poi abbandonare posizione e prigionieri.

26 Ottobre 1918
Vengo inviato a Col del Miglio presso la stazione di Marcia per l'Asolone. Strada battutissima dall'Artiglieria. La fanteria esce all'attacco del monte Asolone. La brigata ha 660 uomini fuori combattimento.

27 Ottobre 1918
Ritorno a Col del Miglio nella mattinata, nella sera si ritorna col reggimento in Val di Sotto in relativo riposo.

28 Ottobre 1918
Il reggimento aspetta in Val di Sotto. Calma sulle nostre linee. Prigionieri. Avanzate nostre sul Piave. Il reggimento riparte a sera per la prima linea in Val Damoro. Io rimango al Comando.

29 Ottobre 1918
Furiosissimi bombardamenti per tutta la giornata: il 43° non impegnato nella prima linea. Colonne di prigionieri. Da Val di Sotto (già comando reggimento) mi reco fra le cannonate di tutti i generi al Comando su linea con ordine della Brigata. Macello di austriaci e di arditi. La cima dell'Asolone perduta e riconquistata parecchie volte.

30 Ottobre 1918
Il 2° Battaglione sul cacume dell'Asolone, il I° arretrato, il III° di riserva. La giornata s'inizia con calma.

31 Ottobre 1918
Alle 7 lancio gas. Comincia improvviso avanzare Col [illeggibile] all'Asolone, al Col Berretta, Col Bonato, [...illeggibile...] si continua a scendere per Val Cesilla, piena di cannoni, cadaveri, armi e bufetteria. 5 a Cismon sino alle 9. Da Cismon attraverso ponti distrutti a [illeggibile].
Alle 16.45 la bandiera sul Col Bonato

1° Novembre 1918
Alle 4 si parte per Primolano, i primi abitanti festanti ci accolgono. Si prosegue per Tezze. Numerosissimi prigionieri italiani liberati incontriamo facce cadaveriche. Erbe. Una pagnotta 30 corone. Quando arriviamo a Tezze artiglieria sta distruggendola.

2 Novembre 1918
Ci fermiamo a Tezze. Stazione bombardata da aeroplani: Proiettili dal 420 al 37 sparsi nelle vicinanze. Continuo passaggio di prigionieri austriaci e di liberati italiani: Facce spettrali. Si dice che Borgo e Trento evacuate. Camion, carrette, cucine, telefoni, artiglieria abbandonate.

3 Novembre 1918
Arriviamo verso le 5 a Serai fuori, dove troviamo vasti e magnifici baraccamenti con mobili e viveri in abbondanza. Acqua officina elettrica. Durante la marcia incontriamo Sua Maestà. I prigionieri ammontano a 120.000 e i cannoni a 2000. A sera annuncio di caduta di Trento.

4 Novembre 1918
Alle 3 è finita firmato armistizio con Austria. Ci troviamo a Telve, distrutta completamente, a poca distanza da Borgo. Si mangia alle 16. Gloriosi bollettini. Pattuglia di 7 mitraglieri inglesi fermano e fanno prigionieri un battaglione di austriaci nei pressi di Levico.

5 Novembre 1918
A Telve ci organizziamo e fortifichiamo il paese. Sindaco di Borgo.
Il magnifico bollettino 300.000 prigionieri e 5.000 cannoni.
Dicesi che si abbia occupata la Vetta d'Italia, noi destinati a presidiare Bolzano. Gita a Borgo.


Abbiamo evidenziato uno dei passaggi del Bollettino della Vittoria, che ci sembra doveroso condividere nella sua interezza:

Comando Supremo, 4 Novembre 1918, ore 12 
La guerra contro l'Austria-Ungheria che, sotto l'alta guida di S.M. il Re, duce supremo, l'Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 Maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi è vinta. La gigantesca battaglia ingaggiata il 24 dello scorso Ottobre ed alla quale prendevano parte cinquantuna divisioni italiane, tre britanniche, due francesi, una cecoslovacca ed un reggimento americano, contro settantatre divisioni austroungariche, è finita. La fulminea e arditissima avanzata del XXIX corpo d'armata su Trento, sbarrando le vie della ritirata alle armate nemiche del Trentino, travolte ad occidente dalle truppe della VII armata e ad oriente da quelle della I, VI e IV, ha determinato ieri lo sfacelo totale della fronte avversaria. Dal Brenta al Torre l'irresistibile slancio della XII, dell'VIII, della X armata e delle divisioni di cavalleria, ricaccia sempre più indietro il nemico fuggente. Nella pianura, S.A.R. il Duca d'Aosta avanza rapidamente alla testa della sua invitta III armata, anelante di ritornare sulle posizioni da essa già vittoriosamente conquistate, che mai aveva perdute. L'Esercito Austro-Ungarico è annientato: esso ha subito perdite gravissime nell'accanita resistenza dei primi giorni e nell'inseguimento ha perdute quantità ingentissime di materiale di ogni sorta e pressoché per intero i suoi magazzini e i depositi. Ha lasciato finora nelle nostre mani circa trecento mila prigionieri con interi stati maggiori e non meno di cinque mila cannoni. I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli, che avevano disceso con orgogliosa sicurezza. Armando Diaz 

A conclusione di questo breve scritto porgiamo il nostro ringraziamento a tutti gli italiani che presero parte a quell'immane conflitto.

A Cura di Arturo E. A.

giovedì 18 ottobre 2018

Soldato Antonio Sant'Elia, volontario (?) - 20 ottobre 1916-2018

Antonio Sant'Elia, genio visionario dell'architettura futurista, non ha certo bisogno di presentazioni su questo blog. Nel centoduesimo anniversario della sua morte in combattimento  - avvenuta il 20 ottobre 1916 nel settore di Monfalcone -, proponiamo un contributo di Edoardo Visconti che getta nuova luce sulle circostanze dell'arruolamento del celebre architetto futurista comasco, e sulla sua qualità di "volontario di guerra".

Antonio Sant'Elia, volontario del Battaglione Lombardo V.C.A.

 ***
di Edoardo Visconti
Prologo. Mai come in questi anni, in occasione del centenario della Prima guerra mondiale, sono stati pubblicati nuovi saggi e approfondimenti relativi a fatti e personaggi coevi, sia a livello nazionale sia locale.

Una delle ultime opere che ho avuto il piacere di leggere è una monografia su Antonio Sant'Elia (Antonio Sant'Elia: un ragazzo della Castellini), a cura di Lorenzo Morandotti, pubblicata nel 2016 per i tipi di Editoriale Lariana. Si tratta di un volume diviso in parti: la prima presenta una biografia del celebre architetto, la seconda un approfondimento di periodi della sua vita e quella finale dove appaiono con delle brevi schede celebri artisti locali e nazionali che hanno gravitato intorno alla scuola Castellini, antico istituto scolastico, ad indirizzo artistico, della città di Como.

Ripropongo integralmente uno stralcio della biografia che mi ha colpito, tratto da pagina 23.
"Antonio Sant'Elia non era partito volontario per la guerra, come più vole si è detto, ma aveva nel 1915 chiesto di fare l'addestramento nel Battaglione Lombardo Ciclisti, sia per la sua nota passione per il ciclismo, sia stare in compagnia con i molti amici artisti che si era fatto nell'ambito milanese. Per il periodo di addestramento, il Battaglione si era installato a Gallarate, nella scuola elementare; il 30 novembre 1915, il Battaglione è stato sciolto e il 6 dicembre Antonio, congedato, è tornato a Como. E' stato subito dopo chiamato in guerra al fronte, ma nella cartolina postale, spedita alla famiglia il 30 giugno 1916, scriveva: "TANTI BACI. STO BENE. NON E' VERO CHE SONO PARTITO VOLONTARIO. BACI. AN." (collezione Accetti, Milano)."[1]
Apparentemente, una sentenza definitiva che confuterebbe tutto quanto scritto finora sulla vita militare dell'architetto comasco. Incuriosito da questa, per me, versione inedita, ho deciso di svolgere alcuni approfondimenti.

I Volontari Ciclisti ed Automobilisti

Il Battaglione Volontari Ciclisti - inteso in senso generale, quale unità tattica -, rientra nell'orbita del Regio Esercito sin dal 1904 quando il colonnello Pietro Valle ne teorizza l'utilizzo nel volume Tattica ed armi nuove. È concepito per l'impiego di staffetta, porta-ordini e pattugliamento profondo nel territorio del nemico, sfruttando la mobilità - notevole per l'epoca - del veicolo. Una delle caratteristiche del corpo consiste nella proprietà privata della bicicletta impiegata dal volontario, con un certo risparmio anche per le casse dell'esercito, almeno in queste prime fasi.


Figura 2: Copertina del libro del Col. Valle

Le prime esercitazioni del Primo battaglione volontari ciclisti, formato da personale proveniente da Bologna e dalla società ciclistica "Audax" di Roma, sono positive e gli alti comandi decidono di insistere con questo progetto. Il Corpo Nazionale dei Volontari Ciclisti ed Automobilisti (V.C.A.) è regolato con la legge del 16 febbraio 1908 n.49, mentre il regio decreto del 19 marzo 1908 n. 142 ne approva lo statuto. Il 18 giugno 1910 il Giornale Militare Ufficiale pubblica una notizia rilevante a favore del personale dei volontari ciclisti: è garantito il soprassoldo di 1 lira e l'indennità di servizio per personale volontario qualora lo stesso sia mobilitato con le truppe regolari per manovre ed esercitazioni tattiche. Grande novità, l'Esercito riconosce anche la cifra di 1 lira al giorno per la manutenzione della bicicletta. L'integrazione con le forze armate regolari procede a piccoli ma decisi passi.

Il Battaglione Lombardo V.C.A.


Il 18 maggio 1915, una settimana prima dell'entrata in guerra dell'Italia, il Corriere della Sera pubblica il bando - firmato dal comandante del reparto dei volontari lombardi (dal 1908), capitano Carlo Monticelli - per l'arruolamento di personale volontario da assegnare al Battaglione Lombardo Volontari Ciclisti: molto importante, il fatto che i volontari appartenenti alla prima e seconda categoria di leva potevano essere esclusi e arruolati nell’esercito di linea.
Tutte le fonti consultate sono concordi nel confermare che il battaglione fu mobilitato il 24 maggio; nel quadro del Battaglione Lombardo, i futuristi furono inquadrati nell'ottavo plotone della terza compagnia. La prima parte di addestramento si svolse a Gallarate e dintorni, dove i futuristi, dopo il giuramento avvenuto il 13 giugno 1915, organizzano una festa nel locale teatro, la cui scenografia è opera di Boccioni, Russolo, Sant'Elia, Funi, Erba, Piatti, Bucci e Sironi con decorazione in pieno stile futurista.

Volontari Ciclisti a Gallarate: da sinistra, Umberto Boccioni, Ugo Piatti, Filuppo Tommaso Marinetti, Mario Sironi e Antonio Sant'Elia.

Il 21 luglio ha luogo lo sfilamento per Milano con le biciclette ridipinte in grigio-verde, con il fucile fissato sul telaio e il bagaglio sul manubrio; il battaglione parte verso Peschiera del Garda. Il tempo passa e i futuristi rimangono nelle retrovie. I bersaglieri ciclisti dell'esercito regolare sono più che sufficienti per sopperire al compito inizialmente previsto per i V.C.A., considerando, inoltre, che il conflitto si sta già cristallizzando nella guerra di trincea.
Il 12 ottobre, all'improvviso, i volontari sono radunati a Malcesine e poi a Navene; iniziano a salire fino Dosso Tre Alberi, postazione austriaca, e i futuristi sono utilizzati come vedette ed esploratori.
14 ottobre: prima perlustrazione dietro le linee austriache per 5 chilometri; fanno parte della pattuglia: Boccioni, Bucci, Marinetti, Sant'Elia, con divieto tassativo di sparare.
Il 20 ottobre il battaglione passa alle dipendenze degli Alpini, in concorso con i Battaglioni "Verona" e "Val d'Adige".
Il 22 ottobre dopo qualche scaramuccia è deciso che i V.C.A. affiancheranno un plotone del 6° Regg. Alpini per conquistare Dosso Casina, trasformati da agili bersaglieri a fanteria da montagna, senza averne l'attrezzatura, dato che - come scrive Marinetti - hanno ancora il solo equipaggiamento estivo.
La loro azione iniziale però non è efficace per colpa del mancato collegamento con gli alpini e senza ordini precisi. Marinetti nei Taccuini se la prende con il comandante Monticelli e lo rinomina "Vermicelli"...
Nel pomeriggio del 22 prosegue l'avanzata. Boccioni e Sant'Elia sono mandati in perlustrazione per cercare un collegamento con gli alpini si perdono e devono ritornare alla postazione di partenza, che nel frattempo era cambiata: Costone Tre Alberi, una posizione dominante a Quota 1304.
Figura 3: Quarta di copertina della Domenica del Corriere n. 46 del 14- 21 novembre 1915, presa di Dosso Casina e Dosso Remit.
Il 24 finalmente c'è un contatto con una pattuglia di alpini e il comandante Monticelli decide per l'avanzata. La 2^ compagnia, insieme agli alpini, riesce a conquistare Dosso Casina. La 3^ compagnia dei futuristi, è rimasta nelle retrovie e giunge a giochi fatti; iniziano quindi il rafforzamento delle posizioni con lavori di trinceramento.
Il 27, dopo giorni di guardie e corvée il battaglione fa ritorno a Malcesine. Qui 50 soldati sono congedati per insufficienza fisica o inettitudine militare. Il 29 ottobre, la Gazzetta Ufficiale pubblica il decreto luogotenenziale n. 1545 che autorizza il congedo temporaneo o definitivo degli arruolati nelle milizie volontarie mobilitate. È il canto del cigno del Corpo V.C.A.: il 1° dicembre si ritorna a Milano, dove il battaglione è sciolto e i volontari smistati in altri reparti combattenti.
Il 15 dicembre nel manifesto L'orgoglio italiano, Boccioni, Marinetti, Russolo, Sant'Elia, Sironi e Piatti reiterano il desiderio di continuare a combattere.

Figura 4: Riproduzione del manifesto L'ORGOGLIO ITALIANO


Il Soldato Sant'Elia

Già da questa prima analisi, sembra difficile che Sant’Elia non sia partito volontario: già il nome stesso del battaglione comprendeva l’aggettivo Volontari, omesso, in effetti, nel passo della biografia di Morandotti riportata in apertura di questo contributo.
Durante le mie ricerche ho esaminato vari documenti. In particolare due mettono in discussione il "non volontarismo" di Sant’Elia.
Il primo è una lettera del 26 maggio 1915 scritta da Carlo Carrà ad Ardengo Soffici che prende le distanze oltre che dal “marinettismo”, come lo definisce, anche “dalla smania di andare volontari” dei futuristi, criticandone, inoltre, la scarsa preparazione militare.

Il secondo è un articolo apparso sul Corriere della Sera il 15 giugno 1915, a pagina 4, ove si può leggere:
Riceviamo con preghiera di pubblicazione:I futuristi italiani che furono tra i primi e più accaniti propugnatori della guerra contro l’Austria, vi parteciperanno così: Marinetti, Boccioni, Russolo, Sant’Elia e Piatti, volontari ciclisti [...]””
seguono poi altri nomi di futuristi arruolati in altri corpi.
Similmente, la pubblicistica tra le due guerre esalta il volontarismo futurista di Sant’Elia, soprattutto attraverso le parole di Marinetti, che ne ha sempre valorizzato le opere e il lavoro, e grazie al cui impulso fu scelto un suo bozzetto per la progettazione del monumento ai Caduti di Como. Tuttavia, visto il delicato periodo storico - per cui il dissenso è soggetto a censura - potrebbe obiettarsi che la famiglia Sant'Elia non si volesse esporre rendendo pubblica la cartolina presentata nel libro di Lorenzo Morandotti, in cui l'architetto parrebbe negare il suo arruolamento volontario.
L’ultimo documento analizzato per chiarire, se possibile, la questione è stato il Foglio matricolare e caratteristico di Sant’Elia, sperando che fosse compilato in maniera esaustiva, considerando le lacune che spesso si incontrano, soprattutto circa le annotazioni relative ai periodi bellici. La fortuna, tuttavia, mi ha assistito, come si vedrà di seguito.

Il foglio matricolare di Antonio Sant'Elia


Dall'analisi della documentazione matricolare relativa ad Antonio Sant'Elia, conservata presso l'Archivio di Stato di Como, si possono trarre notizie di grande interesse, e che paiono offrire nuovi spunti per comprendere le effettive circostanze in cui avvenne il suo arruolamento.
Il 6 giugno 1915, infatti, il Comando del Battaglione Lombardo V.C.A., alle dipendenze del III Corpo d’Armata, da Gallarate invia al distretto di Como il bando di Arruolamento Volontario - con decorrenza 23 maggio 1915 - firmato da Antonio Sant’Elia. Interessante, in tale documento, è il fatto che esso indicava, nella voce “a chi fare comunicazioni personali", la "famiglia artistica Milano” e non i recapiti dei propri parenti a Como. Ulteriormente, è riportata la sua incorporazione "nella 3.a compagnia VIII plotone", appunto quella in cui erano inquadrati i futuristi, come accennato sopra.
Ma c’è di più. Nel foglio matricolare vero e proprio si può leggere quanto segue:
"Soldato Volontario Ciclista nel Battaglione Nazionale Lombardo V.C.A. per la durata della Guerra (art. 101 della Legge sul Reclutamento [...]) lì 23 maggio 1915.
GIUNTO in territorio dichiarato in istato di guerra lì 22 luglio 1915
PARTITO in territorio dichiarato in istato di guerra per trasferimento lì 27 ottobre 1915
Prosciolto dall’arruolamento volontario contratto per la durata della Guerra perché congedato dai Reparti delle Milizie Volontarie in seguito a nomina a Sotto Tenente nel R.E. lì 27 ottobre 1915".
Inoltre risulta arruolato come "ABILE di III [categoria]", il che lo escludeva dalle restrizioni sull’arruolamento volontario nei V.C.A., così come indicato nel bando del 18 maggio 1915, sopra riportato.
Quindi Sant’Elia, con la fine di ottobre del 1915 Sant'Elia è congedato dal Corpo Nazionale V.C.A., ma - senza soluzione di continuità -, arruolato nel Regio Esercito quale sottotenente di complemento.

A fronte di ciò, la data del 6 dicembre - menzionata nella biografia citata in apertura di questo contributo -, potrebbe essere compatibile con una licenza dopo il corso da Allievo Ufficiale, ma non sicuramente con il congedo.
Purtroppo, il foglio matricolare non riporta notizie relativamente a tutte le vicende successive al suo trasferimento al ruolo degli ufficiali. Difatti, per il 1916, l'unica notizia riportata è quella della morte “in combattimento a Monfalcone”, guidando i suoi uomini del 225° reggimento fanteria della Brigata "Arezzo", e circa il rilascio della dichiarazione di aver “servito con fedeltà ed onore”.
 
Antonio Sant'Elia, tenente del 225° Regg. della Brigata "Arezzo".
Le ulteriori notizie relative al 1916 (comprensive, ad esempio, della menzione delle due Medaglie d'Argento al Valor Militare che gli furono conferite) , diversamente, dovrebbero essere annotate sullo Stato di Servizio da ufficiale, al momento non in possesso di chi scrive.

Epilogo


Alla luce del contenuto dei documenti consultati, ed in particolare del foglio matricolare, pare di potersi conclusivamente affermare, in primo luogo, che Antonio Sant'Elia, sotto il profilo strettamente giuridico e militare, fu un "volontario". Non solo, in particolare, secondo l'allora vigente Testo Unico sul Reclutamento - che disciplinava, appunto all'art. 101 citato, l'"arruolamento volontario per la durata della guerra" [2]-, bensì anche agli effetti del successivo provvedimento [3] che disciplinava i requisiti per il riconoscimento della qualifica di "volontario di guerra".
A titolo di ulteriore conferma di tale sua qualità, si dirà anche che Antonio Sant'Elia fu iscritto ad honorem all'Associazione Nazionale Volontari di Guerra, e la famiglia fece dono alla locale federazione di Como di alcuni cimeli a lui appartenuti.
Sotto il profilo, invece, più squisitamente morale, appare riduttivo, a mio avviso, affermare che Sant'Elia si sia arruolato nel Battaglione V.C.A. solo "per addestrarsi" e "stare vicino ai suoi amici futuristi". In primo luogo, nel momento in cui Sant'Elia sottoscrisse l'atto di arruolamento volontario - il 6 giugno 1915 - la guerra era già iniziata da quasi due settimane. Inoltre, nei momenti di azione a Dosso Casina, ed anche precedentemente, egli si era reso disponibile più di una volta per missioni di ricognizione, anche oltre le linee nemiche.
Per quanto riguarda il congedo del 6 dicembre, in mancanza di documenti certi, mi sembra più valida l'ipotesi di una licenza, successiva ad esempio alla fine del corso per allievo ufficiale. Inoltre - riprendendo quanto già osservato sopra - il 15 dicembre egli elabora e sottoscrive il manifesto dell'Orgoglio Italiano, dove è ribadito il desiderio di combattere.

Infine, la questione più spinosa della cartolina, citata in apertura. Escludo assolutamente che si tratti di un falso. Andrebbe, tuttavia, chiarito il contesto di tale messaggio: se, cioè, successivo ad una domanda diretta della famiglia o meno. Oppure ancora, se essa avesse lo scopo, magari, di voler tranquillizzare la famiglia, visto che i volontari partecipavano alle missioni più rischiose: essendo stato incorporato in una brigata di milizia territoriale di nuova creazione, pensava forse di essere più al sicuro dai pericoli della trincea. Ancora, il riferimento alla "partenza volontaria" potrebbe essere collegato alla sua presenza in linea nel momento preciso - fine giugno del 1916 - in cui la cartolina fu scritta. Ovviamente, a oltre cent'anni dai fatti, si tratta di speculazioni.

Edoardo Visconti


NOTE
[1] L. Morandotti, Antonio Sant'Elia: un ragazzo della Castellini, Editoriale Lariana, Como, 2016, pag. 23.
[2] Cfr. art. 101 della legge n. 1497 del 1912, Legge sul reclutamento del R. Esercito.
[3] Cfr. R.D. n. 1163 del 24 maggio 1923.


Bibliografia
Antonio Sant'Elia: un ragazzo della Castellini, a cura di Lorenzo Morandotti, Editoriale Lariana, 2016.
Archivio storico del Corriere della Sera.
Archivio di Stato di Como, Foglio matricolare e caratteristico di Antonio Sant'Elia.
Europeana, sito web: Manifesto Orgoglio Italiano.
I futuristi del Battaglione Lombardo Volontari Ciclisti Automobilisti, Sansone Luigi, Mazzotta, 2010.
Storia e critica del futurismo, Crispolti Enrico, Laterza, 1987.

giovedì 4 ottobre 2018

Foto a colori nella Grande Guerra - Un'autochrome del Regio Esercito

In questi giorni sta girando sui social e su vari siti di importanti quotidiani un articolo che presenta diverse immagini a colori della grande guerra. Leggendo bene l'articolo si scopre però che le immagini non sono originali a colori ma colorate in tempi recenti partendo da originali in bianco e nero.
Questa moda di ricolorazione di originali sta prendendo sempre più piede, soprattutto grazie allo sviluppo di programmi di grafica, e con risultati a volte davvero degni di nota per il loro realismo.
Tuttavia, è cosa poco nota che già durante la Grande Guerra era possibile ottenere immagini a colori grazie a diversi processi fotografici, di cui il più diffuso era l'Autochrome sviluppato dai fratelli Lumière nel 1903 e commercializzato nel 1907.
Tale processo prevedeva l'uso di fecola di patate e permetteva di ottenere un'immagine positiva, che risultava visibile solo vista in controluce come un negativo.

Durante la Grande Guerra le autochrome ebbero un certo successo specialmente sul fronte francese, ciò ha permesso di far giungere a noi alcuni scatti davvero sorprendenti che sono visibili in questo sito: https://worldwaronecolorphotos.com/

Oggi vogliamo condividere un raro esempio italiano di tale processo che raffigura un Sottotenente del 19° Reggimento Cavalleggeri "Guide". L'immagine è stata scattata nella seconda metà del 1915 poichè la sciabola è già brunita, come da circolare del Comando Supremo n.246 del 9 Aprile 1915, e i gradi sono ancora sulle controspalline (essi furono spostati sui paramani con circolari di fine luglio e inizio agosto del '15).






A cura di Arturo E. A.

Bibliografia:
- "Dagherrotipia, Ambrotipia, Ferrotipia" di Gabriele Chiesa e Paolo Gosio
- http://www.gri.it/

martedì 28 agosto 2018

Il berretto del capitano - In ricordo di Paolo Ballatore, caduto il 28 agosto 1915

«Mandè la testa a la mia mama
ch’a s’aricòrda ‘d so prim fieul. 
Mandè ‘l corin a Margarita
ch’a s’aricòrda dël sò amor.
La Margarita in su la pòrta
l’è cascà ‘n tèra di dolor.
La Margarita in su la pòrta
l’è cascà ‘n tèra di dolor.»
'L testament del Marchëis 'd Salusse
Anche questa storia, come altre che vi abbiamo già raccontato, inizia da un oggetto: una bella scatola di cartone, con all'interno un copricapo. Il berretto del capitano Ballatore.


***
Nella vita, perlopiù, si tende a non tenere nel giusto conto certi piccoli gesti, compiuti magari con noncuranza, che però, in qualche modo, finiscono per fissarsi in modo indelebile nel libro della nostra vita.

Questo è ciò che accadde - ci pare - anche al capitano Paolo Ballatore quando, presumibilmente agli inizi del 1915, decise di farsi confezionare un bel berretto nuovo.
Allo scopo, trovandosi in licenza per qualche giorno alla Spezia - sua città natale - si recò dunque presso la locale filiale dell'Unione Militare, un'intelligente cooperativa che distribuiva in tutta Italia capi d'uniforme e accessori, oltre a una variegata scelta di altri generi merceologici.[1]

Paolo Giuseppe Ballatore nacque il 25 agosto del 1879 alla Spezia, al num. 31 della centralissima Via Prione, da Carlo, liquorista, e da Teresa Mascarino. Chiamato a prestare il servizio di leva, aveva poi deciso di perseguire la carriera militare, ottenendo i gradi da sottotenente nel settembre del 1901.[2]
Fu, poi, promosso al grado di tenente con anzianità al 5 aprile 1905, e, nel dicembre del 1907, si sposò con la spezzina Ismenia Rosetta Arnavas. Dopo altri trasferimenti di reparto, Ballatore si era nel frattempo ritrovato in servizio, tuttavia, presso il 31° Reggimento della Brigata "Siena", di stanza a Napoli: ciò che doveva rendere il ménage famigliare alquanto difficoltoso. Pertanto, nel 1909, egli chiese ed ottenne il trasferimento ad una destinazione più vicina ai suoi luoghi natii. Alla fine dell'anno, pertanto, fu destinato al 22° Reggimento della Brigata "Cremona", di stanza a Pisa, il che costituiva certamente un notevole avvicinamento alla Spezia, sua città natale [3].
Con tale reparto fu mobilitato per le operazioni in Tripolitania e Cirenaica, cui prese parte negli anni 1913-1914. Nella primavera del 1914, Ballatore ottenne infine la promozione al grado di capitano, e il trasferimento al 25° Reggimento della Brigata "Bergamo", di stanza a Piacenza, quale comandante di compagnia.


Il capitano Paolo Ballatore (rielaborazione da foto tratta dall'archivio del Museo Centrale del Risorgimento in Roma).



In tale posizione si trovava quando, come si diceva, si recò presso l'Unione Militare della Spezia per concedersi un piccolo lusso: un berretto nuovo.

Si noti che, al tempo, era d'uso tra gli ufficiali - con l'avanzare nella carriera - adattare progressivamente i capi d'abbigliamento alle nuove esigenze di servizio: galloni venivano aggiunti, fregi e filettature abilmente modificati, baveri e paramani rifoderati. Ciò in un'ottica di puro risparmio, in un momento in cui le condizioni degli ufficiali di carriera - ed in ispecie di quelli di fanteria - erano, sotto il profilo economico, assai poco floride [4]. Il capitano Ballatore, invece - magari per festeggiare la promozione e il superiore ruolo di comando - volle farsi confezionare un bel copricapo, da sfoggiare in società e nelle riviste, anche considerando che, in quel momento - in seguito all'abolizione del chepì -, il berretto turchino costituiva, per gli ufficiali di fanteria, il copricapo prescritto anche per la "grande uniforme".[5]
Berretto da capitano di fanteria del Regio Esercito, nel modello disciplinato nel 1895 e confermato nel 1903.
Il copricapo gli fu consegnato in una bella cappelliera rosso scuro, su cui fu prontamente annotato il nominativo del proprietario: "sig. Ballatore - cap. 25° Fanteria".


Si giunse così agli ultimi mesi del 1914. Nonostante la guerra infuriasse in Europa già dall'estate, per gli Italiani quello fu l'ultimo inverno della Belle Époque: non fatichiamo ad immaginarci il capitano, con al braccio sua moglie, festeggiare il nuovo anno in buona compagnia, tra un valzer e un bicchierino di vermouth. Ma la Storia, si sa, impiega ben poco a trascinare nei suoi gorghi le vite degli uomini.

Non ripeteremo, in questa sede, quanto già narrato in altri nostri articoli, circa le operazioni preliminari alla mobilitazione generale del Regio Esercito, che ebbero luogo nei primi mesi del 1915.

In questo quadro, all'inizio di marzo prese avvio la costituzione di una nuova brigata di fanteria di Milizia Territoriale. I due reggimenti, di nuova formazione, che l'avrebbero costituita, avrebbero assunto la numerazione progressiva 111° e 112°. Il personale del comando di brigata fu tratto dal 25° Reggimento, il quale fornì anche gli effettivi delle prime cinque compagnie del 111° Reggimento [6].
La Brigata, che fu intitolata alla città di Piacenza - sede del 25° e 26° Reggimento - assunse mostreggiature bianco-azzurre, bipartite longitudinalmente. La sua formale costituzione avvenne il 15 marzo 1915, e il comando ne fu assunto dal maggior generale Antonio Chinotto (personaggio eccezionale, e al quale contiamo di dedicare un nostro contributo).
Tra gli ufficiali del 25° che furono scelti per transitare al nuovo reggimento vi fu anche il giovane capitano Ballatore. All'uopo, questi si recò prontamente in sartoria, per farsi adattare tutto il corredo: non solo, cioè, quello "da campagna" in tessuto grigioverde, ma anche quello in panno turchino [6]. Invero, per il capitano l'adattamento si limitò alla sostituzione delle mostrine al bavero delle giubbe, e dei fregi sui berretti. Al centro di questi, spiccava ora il numero "111", identificativo del nuovo reparto di assegnazione. 
Vista frontale del berretto appartenuto al capitano Paolo Ballatore.
Nella seconda metà di marzo, e per i due mesi di aprile e maggio, la Brigata si impegnò in un serrato addestramento, in vista di un possibile impiego operativo, che si faceva di giorno in giorno più verosimile. Nonostante ciò, alla vigilia della dichiarazione di guerra - il 24 maggio - la "Piacenza" si trovava ancora assai lontana dalla linea di confine con l'Impero Austro-Ungarico.

Dettaglio del fregio del berretto (trofeo) aggiornato con le cifre identificative del 111° Reggimento Fanteria (particolari le cifre ricamate in canottiglia, anziché applicate in metallo).
Solo nei giorni 30 e 31 maggio, infatti, la stessa fu inviata, per ferrovia, da Piacenza nella zona Lonato-Desenzano, alle dipendenze della 30a Divisione. In tale zona, ugualmente assai arretrata rispetto al fronte, la nuova unità si sarebbe trattenuta sino al 5 luglio, dedicandosi a "un periodo di intensa istruzione".
Con l'inizio di luglio, tuttavia, giunse il momento, anche per la "Piacenza", di entrare in azione. Il 7 raggiunse Cormons e il 12 proseguì per Campolongo. Dopo alcuni giorni di sosta, il 21 si portò fra Cassegliano, Turriaco e Polazzo.

Il 23 luglio, infine, le varie unità della "Piacenza" furono temporaneamente separate, in ragione delle superiori esigenze strategiche della Terza Armata: mentre il comando della brigata rimase a Cassegliano alle dipendenze della 19a divisione ed il 112° si schierò nelle trincee di Polazzo, il 111° si dislocò invece fra Monte Fortin (il I battaglione) e Sdraussina (il II e il III battaglione) a disposizione dell’XI Corpo d’armata.

Schieramento della Terza Armata nella Seconda Battaglia dell'Isonzo (18 luglio - 20 agosto 1915).
Due giorni dopo, il 25 luglio, la "Piacenza" - passata alla 20a Divisione - entrò finalmente in azione: ciò, tuttavia, con il solo 112° reggimento, che, insieme al 49° Battaglione Bersaglieri, attaccò ripetute volte le alture ad est di Polazzo conseguendo "sensibili risultati", pur a costo di gravi perdite (16 ufficiali e 465 militari di truppa). Inquadrato nella medesima divisione (20a) era, in quel momento, anche il 122° Reggimento della Brigata "Macerata", al comando del colonnello Mario Robert, e che il giorno successivo - 26 luglio - avrebbe vissuto il suo sfortunato battesimo del fuoco (vedasi il nostro articolo qui).

Una vicenda per molti versi analoga avrebbe interessato, in quello stesso 26 luglio, i due battaglioni del 111° (II e III), dislocati a Sdraussina e che, quali riserve della 21a Divisione, parteciparono con altre truppe ad un tentativo offensivo contro il Monte San Michele. Operazione particolarmente sfortunata, e su cui converrà brevemente soffermarsi. Le truppe individuate per partecipare all'azione erano la Brigata "Bari", il LVI Btg. Bersaglieri e i due battaglioni del 111°. Il comando del gruppo d'attacco era stato affidato al comandante della Brigata "Bari" (139° e 140° reggimento), maggior generale Giulio Cesare Amadei.
Il 26 luglio, dunque, i due battaglioni del 111° si portarono, intorno alle ore 05.30, sulle posizioni di partenza, situate a Quota 170. Nel corso delle ore successive, a causa della poca coordinazione tra i soggetti cui era stato attribuito il comando delle operazioni - dato che il generale Amadei era rimasto, poco dopo l'inizio del combattimento, gravemente ferito, lasciando il comando -, dei problemi legati ai difettosi collegamenti tra i reparti, del cattivo tempo, i due battaglioni restarono, tuttavia, quasi "dimenticati" a Quota 170. In tali frangenti, a causa del fuoco d'artiglieria nemico, si cominciarono a contare perdite: tra queste, anche lo stesso comandante del reggimento, il colonnello Celso Gilberti, caduto gravemente ferito [8]. Il comando fu dunque assunto dall'aiutante maggiore in 1a, capitano Gino Bettini. Intanto, i reparti della "Bari" e i bersaglieri erano riusciti, per le ore 10.00, ad occupare - attaccando alla baionetta - le posizioni di Quota 275 sud; uguale risultato si stava per raggiungere sulla Quota 275 nord, ed era stata avanzata l'occupazione verso San Martino. Gli attaccanti restavano tuttavia esposti ai contrattacchi nemici, provenienti da Cotici: era dunque essenziale il rapido afflusso delle riserve, ed in particolare del 111° Reggimento.
Intorno alle ore 10.30, il 111° fu dunque raggiunto dal comandante del 140° della Brigata "Bari", che si trovò di fronte questa situazione:
"Questo reggimento [il 111°] già prima di entrare in azione, era in condizioni critiche di inquadramento. I due battaglioni erano comandati da capitani. Caduto ferito il colonnello mentre ancora il reggimento stava in posizioni di attesa a q. 170, il comando veniva assunto dal capitano aiutante maggiore; ferito anche questi prima che i reparti muovessero, il reggimento verso le 11 si avviò al combattimento al comando di un altro capitano. E intanto nella sosta a q. 170 era stato battuto dall'artiglieria ed aveva subito perdite sensibili. Per tutto ciò non poteva quindi rappresentare un efficiente riserva. Tuttavia verso le 11 mosse in ordine. Ma era già tardi. Il reggimento, in terreno sconosciuto, in mani poco esperte e sempre ostacolato dall'artiglieria, non giunse in tempo, perché poco prima di mezzogiorno, mentre cioè era ancora in marcia, il contrattacco avversario contro il fianco sinistro costringeva la Brigata "Bari" a retrocedere" [9].

Giudicata insostenibile la situazione per gli attaccanti, i comandi dettero dunque disposizioni per la ritirata, che fu completata - raggiungendo la posizione di partenza di Quota 170 - intorno alle ore 18.00. Al termine di tale giornata disgraziata, i due battaglioni del 111° furono ritirati dalla linea e, riuniti al I btg., trasferiti a Medea in zona di riposo. Qui il reggimento fu raggiunto dal suo nuovo comandante, il colonnello Adolfo Bava.

Benché, il 12 agosto, la Brigata "Piacenza" passasse alle dipendenze della 31a Divisione, ed estendesse la sua zona di azione verso sud in modo sino alla regione settentrionale e meridionale di Monte Sei Busi, ciò interessò il solo 112° reggimento, giacché il 111° - talmente provato dall'azione del 26 luglio, primo giorno di combattimento! - rimaneva in zona di riposo. In tale posizione - dedicandosi al proprio riordinamento - il reparto rimase sino al giorno 22, quando tornò in linea, schierandosi nelle trincee della "Quota 141 nella valletta di Sdraussina".
Solo il 24 agosto - dietro ordini del comando della Brigata "Alessandria", cui il reggimento era stato posto a disposizione -  giungeva l'ora, per il 111°, di tornare in azione.
In previsione del nuovo impiego offensivo, il capitano Ballatore - presago, forse, di funesti sviluppi - vergava una breve lettera ai suoi genitori, particolarmente interessante:
"24-8-1915
Cara mamma, caro papà,
ho ricevuto la vostra cara lettera. Questa sera ritorno al fronte, avendo finito il periodo di riposo, e vado al fronte col comando di un battaglione. Capite che onore! Ho fiducia che sapremo fare con onore il nostro dovere in tutto e per tutto, e che tutto andrà bene.
Vi avverto che Rosetta non sa che io ritorno al fronte e voi non dovete dirle nulla per non farla stare inquieta un'altra volta e poi per me.
Salute e tanti baci,
affezionatissimo
Paolo" [10].
Questa lettera rivela, in primo luogo, una circostanza importante: nel momento in cui il reggimento tornò in linea, il capitano Ballatore era stato posto al comando di un battaglione, il III [11]. D'altro canto, getta uno sprazzo di luce sulla personalità del capitano: affettuoso, legato ai genitori; molto preoccupato per la moglie Rosetta, tanto da celarle la notizia del ritorno al fuoco.
In verità, il 24 agosto entrò in azione il solo I battaglione, comandato direttamente dal colonnello Bava, ed insieme al II/156° (Brigata "Alessandria"), assaltando la cosiddetta "Ridotta del Boschetto", ad est di Quota 141. L'attacco, tuttavia, fu arrestato dal fuoco d'artiglieria e fucileria nemico. Dopo un giorno di sosta, gli Austro-Ungarici prendevano l'iniziativa, che fu però rintuzzato dallo stesso I batt. del 111°, che subì perdite molto gravi, tra cui quella del comandante, maggiore Gabriele Casalini.
Ritratto del magg. Gabriele (o Gabriello) Casalini, tratto dal L'Idea Nazionale, 25.09.1915.

Il 25 agosto, nelle trincee, Paolo Ballatore festeggiava il suo compleanno: trentasei anni, un'età matura e, per l'epoca, situata ampiamente nel "mezzo del cammin di nostra vita". Chissà quali desideri espresse per il suo futuro.

Il 28 agosto, però, dopo due giorni di stallo, il comando di divisione ritenne giunto il momento per un nuovo tentativo offensivo contro la contrastata Ridotta del Boschetto: l'operazione fu affidata al 111° Reggimento al completo (I, II e III battaglione) e a due battaglioni tratti dalla Brigata "Verona".
Per il capitano Ballatore giungeva, dunque, il momento del debutto quale comandante di battaglione.
Il III battaglione, così, scatto all'assalto, sino ad addentrarsi entro il Bosco Cappuccio.
Chiosa l'Albo d'Oro del reggimento:
"L'attacco, però, per la insufficiente preparazione dell'artiglieria da montagna, s'infranse contro i poderosi trinceramenti nemici a loro volta difesi da potente artiglieria di medio calibro. Il reggimento fu ricacciato sulla posizione di partenza con gravi perdite, specie tra gli ufficiali [...]" [12].


Ritratto del capitano Ballatore pubblicato su La Domenica del Corriere, Anno XVII, num. 45, 1915.
Nell'inferno di fuoco che si scatenò sui fanti del 111°, anche il capitano Ballatore restò ferito a morte, spirando sul campo [13]. Raccolto dai suoi uomini, fu trasportato a Sdraussina, ove le sue spoglie furono inumate nel cimitero presso il "Casello 44". Negli Anni Trenta, sarebbero state traslate presso il Sacrario di Redipuglia, ove riposano tuttora [14].
Loculo del capitano Ballatore presso il Sacrario di Redipuglia, visitato dall'Autore il 21 agosto 2021.


Il giorno dopo, 29 agosto, la Brigata "Piacenza" sarebbe stata ritirata dalla linea, e trasferita a riposo prima a Gradisca e poi a Medea, ritornando alla dipendenza della 30a Divisione.
Dislocazione dei reparti del XIV Corpo d'Armata, alla vigilia delle operazioni autunnali.



Il monumento ai caduti della Spezia.


Così si era chiusa la vita del capitano Ballatore; lontano dalla sua Rosetta, che neppure lo sapeva impegnato in combattimento. Ce la immaginiamo però, in un ultimo gesto d'amore, riporre il berretto del suo Paolo dentro la bella scatola di cartone rosso, e custodirlo gelosamente per il resto dei suoi giorni. Un amore che ha valicato i secoli, e ci ha consentito di raccontare la loro storia.



A cura di Niccolò F.

NOTE
1 - «Unione Militare cooperativa di consumo di credito di servizi e di assistenza per azioni a r.l.», fu costituita con atto del 22 dicembre 1889. Fu posta in liquidazione coatta amministrativa esattamente con decreto ministeriale del 24 febbraio 1989.
2 - Annuario militare del Regno d'Italia, anno 1913.
3 - Ciò in base alla determinazione ministeriale (Guerra) del 9 dicembre 1909, in Bollettino ufficiale delle nomine, promozioni e destinazioni negli uffiziali del Regio Esercito, anno 1909.
4 - Si veda, in generale, L. Benadusi, Ufficiale e gentiluomo, Feltrinelli, Milano, 2015 e in particolare ivi, pag. 74 e ss..
5 - L'istruzione sull'uniforme degli ufficiali del Regio Esercito approvata nel 1903 prevedeva, sinteticamente, che la grande uniforme fosse costituita dalla giubba a due petti in abbinamento al copricapo speciale per le armi e corpi che ne erano dotati (es. elmi e colbacchi per gli ufficiali di cavalleria) e al berretto per gli altri.
6 - il reggimento fu costituito su 12 compagnie, suddivise in tre battaglioni; la 6a compagnia fu fornita dal 62° fanteria; la 7a dal 65°; dall'8a alla 12a dal 26° reggimento della Brigata "Bergamo".
7 - Si trattava cioè del corredo ancora disciplinato dall'istruzione per la divisa degli ufficiali del Regio Esercito del 1903.
8 - Si noti, a tal proposito, che in quello stesso giorno cadde ferito a morte anche il citato col. Robert, comandante del 122° Fanteria. Ciò a riprova dell'eccessivo anelito offensivo, spinto alla temerarietà, che in quel momento pervadeva anche gli stessi comandanti di reparto.
9 - L'Esercito Italiano nella Grande Guerra (1915-1918), Vol. IIbis, pag. 275-6.
10 - Riportata in "Valorosi soldati spezzini" - Il Corriere della Spezia, 18 settembre 1915. Si noti che, nel giornale, viene equivocata l'identità di Rosetta, erroneamente ritenuta la figlia del capitano, anziché la moglie.
11 - Le fonti non menzionano tale episodio: il riassunto storico della brigata "Piacenza" menziona quali comandanti del battaglione prima il capitano Gino Bettini, sino all'11 agosto, e poi il capitano Valerio Milesi, dal 12 al 28 agosto. Vi è poi un "buco", sino al 9 ottobre, quando è menzionata l'assunzione del comando da parte del capitano Nereo Nesi. Diversamente, l'Albo d'Oro del 111° Fanteria, non cita neppure il Milesi, ma colloca l'arrivo al reparto del Nesi alla sera del 29 agosto - proveniente dall'88° Regg. della Brigata "Friuli" - collegando tale avvicendamento alla morte del precedente comandante. Pertanto, è da ritenersi che il comando, dai giorni intorno al 20 agosto e sino al 28, fosse stato appunto affidato al capitano Ballatore. Nel suo atto di morte, infatti, è identificato come "capitano del III battaglione".
12 - Albo d'Oro del 111° Reggimento Fanteria Brigata "Piacenza", pag. 11.
13 - Nell'atto di morte del capitano Ballatore quale luogo del decesso è indicato "Bosco Cappuccio".
14 - La tomba del capitano Ballatore si trova al gradone 1, al loculo 2047. Vedasi l'eccellente database contenuto in www.grandeguerra.net .

BIBLIOGRAFIA
- AA. VV., L'Esercito Italiano nella Grande Guerra (1915-1918), Vol. IIbis, Roma, Libreria dello Stato.
- Albo d'Oro del 111° Reggimento Fanteria Brigata "Piacenza", Firenze, Barbera-Alfani-Venturi.
- Archivio del Museo Centrale del Risorgimento in Roma (MCRR), fondo Fascicoli dei caduti.
- Annuario militare del Regno d'Italia, varie annate.
- Lorenzo Benadusi, Ufficiale e gentiluomo, Feltrinelli, Milano, 2015.
- Ministero della Guerra, USSME, Guerra italo-austriaca 1915-1918 - Le Medaglie d'Oro , Vol. I, Roma, Stab. Poligrafico per l'amministrazione della Guerra, 1923.
- Riassunti storici dei Corpi e Comandi, Vari Volumi, Roma, Libreria dello Stato.