giovedì 16 luglio 2015

Datare una fotografia militare - Truppa di Fanteria

Ogni collezionista o semplice appassionato di cose militari trovandosi di fronte ad una foto con raffigurato un soldato si sarà domandato “Ma in che anno è stata scattata?”

Scopo di questa piccola guida è quello di guidare il lettore nell’identificazione del periodo storico di uno scatto partendo dai dettagli delle uniformi rappresentate. Non è mia intenzione trattare la materia in modo esauriente (il Cantelli vi ha dedicato ben due tomi) ma solo guidare l'appassionato nell'osservazione di alcuni elementi caratteristici.
Naturalmente i particolari da guardare cambiano a seconda dell’arma o del corpo di appartenenza, iniziamo quindi con la truppa dell’arma più rappresentativa di ogni esercito: la fanteria.

RISORGIMENTO 
(Periodo ante 1871)

  


- Kepy: era il copricapo regolamentare. Di forma troncoconica  e discreta altezza. Sul davanti sono riportati i numeri del reggimento, mentre all'interno della nappina in alto il numero della compagnia:


- Mostre. Al bavero della tunica sono applicate due mostre a tre punte nere filettate in cremisi.


- Cinturino. Era in pelle bianca, con una grossa fibbia metallica alla quale, solitamente, era apposta una croce.


1871-1872

Nel 1871 si avvia, per opera del generale Ricotti, una grossa riforma che tocca anche le uniformi in uso. Elemento distintivo è l'introduzione della stelletta al bavero dei militari. Stelletta che, ancora oggi, indica lo status di militare.
Come in tutte le transizioni si procedette per sperimentazioni ed adattamenti.

In questo scatto per esempio kepy e gradi sono gli stessi in uso nel periodo risorgimentale ma il resto presenta piccoli adattamenti.


In questo particolare si notano infatti, a parte l'applicazione delle stellette al bavero, la trasformazione degli spallini. Si è passati dalle controspalline in stoffa a degli spallini a lunetta fissi.


In quest'altro scatto invece è raffigurata un altra delle tenute adottate. Questa venne istituita nel 1871 ed è forse l'unica sperimentale di cui ci siano giunte documentazioni fotografiche:


1872


Nel 1872 si giunse all'adozione definitiva di un uniforme.
Era caratterizzata dall'uso di un panno azzurrato e con paramani, spalline, controspalline e bavero in panno turchino scuro, questa differenza cromatica è ben riconoscibile nelle fotografie.
Per graduati e sottufficiali il grado è indicato da un gallone a V rovesciata sormontato da un elegante intreccio a fiore.

Nel 1874 vennero inseriti dei bottoncini per permettere il rialzo delle falde, in modo da poter portare la giberna in posizione ventrale.


Il copricapo adottato era il kepy ma, a differenza di quello risorgimentale, ha una forma cilindrica e una falda sia anteriore che posteriore. Il fregio è stato variato e consiste in uno stellone con, al centro, il numero di reggimento, nella nappina invece era riportato quello della compagnia.

 

Un altro bello scatto di un gruppo di sottufficiali, molti con al petto la medaglia commemorativa delle campagne risorgimentali. Si notano bene i "rampicanti" dei gradi a fiore sulle maniche delle giubbe.

 

Oltre alla giubba con la stessa istruzione venne introdotto anche un cappotto.
Da notare gli spallini a mezza luna e l'assenza della controspallina fissa.


Come buffetteria rimase quella in uso nel periodo risorgimentale di cuoio bianco e caratterizzata dalla grossa fibbia con croce Savoia.


In quest'ultimo scatto si può notare, sul braccio sinistro, il distintivo che indica la qualifica di tiratore scelto.
1879


Nel 1879 la giubba, sebbene mantenendo lo stesso taglio, subì alcune variazioni.
In primis venne cambiato il panno azzurrato in favore di un panno turchino. In conseguenza di questo scompare la differenza cromatica tra il corpo della giubba e i paramani.
In più, al bavero, vengono applicate delle mostre pentagonali.
A livello di copricapo rimane confermato il kepy con lo stellone, ma viene rimosso il paranuca posteriore lasciando così solo la visiera.


Qui si notano bene i bottoncini per rialzare le falde anteriori.


Resta invariato invece il berretto da fatica.


Il cappotto subì delle lievi variazioni, la principale è la presenza delle controspalline fisse fra le spalline a lunetta e il bavero.



Nel 1877 era stata anche variata la buffetteria, ed era stato adottato un cinturino più sottile del precedente, e con una fibbia meno appariscente.


1887


Nel 1887 il fucile in dotazione al Regio esercito, il Vetterli 1870, venne trasformato con l'adozione dei caricatori da 4 colpi e questo comportò un adeguamento alle buffetterie e alle giubbe perchè le giberne passarono da una a due.
Il cambiamento più vistoso fu la rimozione dei due bottoncini per rialzare la falda, perchè le due giberne venivano portare al di sopra delle giubba, in favore dell'apertura sui lati di due sparati che permettevano al cinturino di passare, nella parte posteriore, al di sotto della giubba.

Nella foto qui sotto infatti si possono ancora notare le asole sulla giubba, l'assenza dei bottoncini e la presenza degli sparati:


Come detto variarono anche le buffetterie. Il colore divenne nero e le giberne diventarono due di diversa tipologia: una per i colpi sciolti e l'altra per i pacchetti caricatori.


Sulla sinistra la giberna per i colpi sciolti, sulla destra quella per i pacchetti caricatori (che resterà invariata anche per il fucile mod.91)



1888 - Le stellette metalliche

Nel 1888 si ebbe un altro piccolo ma significativo cambiamento: le stellette al bavero, che fino ad ora erano sempre state in stoffa, divennero metalliche. Naturalmente il cambiamento non fu immediato, probabilmente perchè furono usate ad esaurimento quelle in stoffa ancora presenti nei magazzini, per cui non è infrequente vedere foto dei primi anni del '90 con stellette in stoffa.

1894


Nel 1892 venne adottato ufficialmente il nuovo fucile mod.1891 e avviene un altro piccolo ma significativo cambiamento, legato sempre al cambio delle giberne.
Visto che le falde non venivano più rivoltate la profilatura inferiore delle falde della giubba perdeva la sua funzione e, pertanto, venne abolita.



1902

Questo anno segna la fine delle uniformi umbertine per la truppa e i sottufficiali.
Con l'atto n°94 del 24/04/1902 si ha l'introduzione delle mostrine coi colori delle brigate al bavero delle giubbe e vengono aboliti i "fiori" ai gradi.


Con questo si chiude anche questa veloce carrellata che, spero, potrà esservi utile. I più attenti si saranno accorti che non è stato trattato il tema delle uniformi d fatica, ma solo perchè data la vastità dell'argomento sarà oggetto di un articolo dedicato.
In caso di errori segnalatemeli senza esitazione, in modo da poterli prontamente correggere.

A cura di Arturo E. A.

Bibliografia:
- Stefano Ales, "Dall'armata sarda all'Esercito Italiano", Ed. Stato maggiore dell'esercito - Ufficio Storico, Roma, 1990;
- Giorgio Cantelli, "Le prime uniformi dell'Esercito Italiano" ed. Stato Maggiore dell'Esercito, Roma, 1994;
- Giorgio Cantelli, "Le uniformi del regio esercito del periodo umbertino" ed. Stato Maggiore dell'Esercito, Roma, 2000;
- Tavole di Quinto Cenni;
- Giornale Militare Ufficiale, annate varie;

Vorrei inoltre ringraziare in modo particolare uno dei miei mentori che, in questi anni, mi ha guidato nell'intricato mondo dell'uniformologia italiana e che nei forum di settore è conosciuto come "Furiere Maggiore di Fanteria"

martedì 7 luglio 2015

Elio Ferrari, il leone del Veliki Krib

In questi nostro piccolo spazio "antologico" dedicato a figure, momenti e oggetti rappresentativi della nostra storia patria, così gloriosa e triste insieme, una pagina deve essere dedicata a un personaggio importante per un reparto - il 67° reggimento fanteria - al quale chi scrive è legato, per plurime ragioni, da un profondo affetto. Eccoci dunque a rievocare dalle nebbie della Storia la figura di Elio Ferrari, ufficiale di carriera, pluridecorato al Valore, tra i protagonisti delle giornate della conquista del Monte San Michele.


Elio Ferrari, maggiore del 67° Reggimento Fanteria della Brigata "Palermo".

Nato a Cirié, in provincia di Torino, il 21 febbraio 1875 (1), Elio Ferrari, appena adolescente, decise di dedicare la sua vita al mestiere delle armi. A diciassette anni fu dunque ammesso al Collegio Militare di Milano, donde passò a frequentare l'Accademia di Cavalleria e Fanteria di Modena. Nel gennaio del 1896, terminati i corsi, fu promosso al grado di sottotenente (2), iniziando così la sua carriera da ufficiale, che avrebbe svolto interamente nell'arma di Fanteria. Assegnato al 66° Reggimento della Brigata "Valtellina", nel 1899 ottenne la promozione al grado di tenente. Rimase presso tale reparto per quasi un decennio, sinché, verso la fine del 1910, fu trasferito presso il 26° reggimento della Brigata "Bergamo".

Intanto, con il febbraio del 1911, Elio Ferrari fu promosso al grado di capitano (3). Alla fine del 1911, il suo reparto fu inviato sulle coste della Tripolitania in appoggio del Corpo d'Armata Speciale ivi operante. Nel mese di dicembre, il reggimento - del quale Ferrari era aiutante maggiore - sostenne duri combattimenti nel settore della città di Derna. Proprio qui, il giorno 27 dicembre, il capitano Ferrari si guadagnò la sua prima medaglia d'Argento al Valor Militare, che gli fu conferita con la seguente motivazione:

Coadiuvò efficacemente in combattimento il comandante del reggimento, percorrendo zone intensamente battute dal fuoco. Con esemplare fermezza arrestava e riconduceva al combattimento gente dispersa – Derna, 27 dicembre 1911”.

Rimpatriato dall'Africa, il capitano Ferrari subì un nuovo trasferimento: stavolta la sorte lo destinò al  54° Reggimento Fanteria della Brigata "Umbria", ove rimase sino alla primavera del 1915. Successivamente all'inizio delle ostilità con l'Austria-Ungheria, Ferrari fu poi trasferito al 67° Reggimento Fanteria della Brigata "Palermo", che, dal 1908, era di stanza nella città di Como.
Con il 1° marzo del 1915, terminate le operazioni preliminari alla mobilitazione generale (la c.d. "mobilitazione rossa", o "occulta"), prese avvio la vera e propria mobilitazione, col trasferimento di una prima aliquota di reparti verso il confine. Tra questi, anche il 67° Reggimento Fanteria, che, con il pretesto di un campo primaverile, fu inviato nella zona di Corteno, tra Valtellina e Valle Camonica: tale movimento, in verità, faceva parte della manovra di radunata del III Corpo d'Armata di Milano, che in tal modo si appressava al confine con l'Impero Austro-Ungarico.  Dopo l'inizio delle ostilità, il reggimento - riunito al gemello 68°, col quale formava la Brigata "Palermo" - si trasferiva, in giugno, nel settore dell'Alta Valle Camonica, dislocandosi fra Ponte di Legno e il Passo del Tonale, inquadrato nella I Armata. Trascorsa l'estate su tali posizioni, prendendo parte a varie operazioni offensive, il reggimento, all'inizio di ottobre, passava a riposo, per poi essere destinato alla fronte carsica. Nelle settimane successive, il reggimento iniziava le operazioni di trasferimento che lo avrebbero portato a radunarsi alle falde del Monte San Michele, passando alle dipendenze della III Armata. In questo periodo, il capitano Ferrari ricopriva il ruolo di aiutante maggiore in 1^, delicato incarico di coordinamento e assistenza al comandante del reparto. In queste circostanze, Ferrari, come già aveva fatto in Libia, diede brillante prova del proprio valore, meritandosi una medaglia di bronzo al valor militare, con questa motivazione:

Disimpegnava, con esemplare, costante coraggio, le funzioni di aiutante maggiore in 1^, spiegando opera intelligente e serena durante il combattimento e coadiuvando efficacemente il comandante del reggimento col portare ordini e nell’accompagnarla attraverso zone intensamente battute. – Falde del Monte San Michele, 23 ottobre – 2 novembre 1915”. (4)

Entro il 21 novembre, il reggimento al completo attraversava l'Isonzo nei pressi di Sagrado, portandosi ai piedi del San Michele. Qui, già dalla settimana precedente, operava il solo II Battaglione, aggregato al 113° Reggimento della Brigata "Mantova", il quale aveva dunque già avuto il battesimo del fuoco sulla fronte isontina, attaccando la Cima 3 del monte: dal 10 novembre erano infatti in corso le operazioni offensive che complessivamente avrebbero costituito la Quarta Battaglia dell'Isonzo. Solo quattro giorni dopo, veniva invece il turno degli altri due battaglioni, il I e il III: essi, in concorso con i due reggimenti della Brigata "Lazio" (131° e 132°) e il LIV Battaglione Bersaglieri, avrebbero dovuto attaccare le linee austriache poste sulle propaggini sud-occidentali del Monte San Michele. Il 24 novembre, i due battaglioni del 67° si lanciarono all'assalto del tratto di fronte tra l'abitato di Peteano, Boschini e la Quota 124. Il III battaglione riusci' a conquistare il trincerone di Peteano, mentre il I btg. occupò la Quota 124. La violenza del combattimento fu terribile: caddero, fra i moltissimi, entrambi i comandanti di battaglione: il maggiore Alberto Barbero (del I btg.) e il capitano conte Enrico d'Oncieu de Chaffardon (del III btg.). Trascorse alcune settimane, ed esauritasi l'offensiva generale, a sostituire il defunto d'Oncieu fu dunque chiamato proprio Elio Ferrari, che assunse ufficialmente il comando del III battaglione il 20 dicembre. Nel contempo, egli era promosso al grado di maggiore (5).
Il reggimento, nel frattempo, era stato rimosso dalla linea - sin dal 4 dicembre - e inviato in zona di riposo, ove rimase sino al 28 del mese, quando fece ritorno in trincea sulla linea avanzata tra San Martino e Monte Cappuccio, e tra la Quota 124 e il San Michele. Dopo successivi avvicendamenti, a metà febbraio il 67° Reggimento veniva trasferito nel settore del Medio-Isonzo, passando in organico alla II Armata (7^ Divisione, VIII Corpo d'Armata). Dopo aver partecipato a una prima azione dimostrativa contro l'altura di Santa Maria di Tolmino il 26 febbraio, il reparto prendeva parte alla Quinta Battaglia dell'Isonzo (11-15 marzo), pur senza compiere azioni di particolare rilievo. Il 17 marzo, tuttavia, il il sottosettore tenuto dalla Brigata "Palermo", insieme a quello della "Valtellina" (reggimenti 65° e 66°), veniva investito da una violenta offensiva sferrata dagli Austro-Ungheresi, che metteva, nel giro di poche ore, a repentaglio la tenuta di quel tratto di fronte. Il III Battaglione del 67°, accorso in linea, puntava sulla sponda sinistra del Valloncello della casa dei Ciclisti, impegnandosi in duro combattimento protrattosi per tutta la giornata, e proseguito nella notte sul 18. Il battaglione, anche nel corso dei due giorni successivi, riusciva a riprendere le posizioni perdute al mattino, e a far retrocedere gli avversari, catturando anche numerosi prigionieri (un ufficiale e 47 uomini di truppa). Per il contegno dimostrato in quelle giornate il maggiore Elio Ferrari veniva decorato con la seconda Medaglia di Bronzo al Valor Militare:
Comandante di reparti di corpi diversi, durante due giorni di combattimento mantenne posizioni difficili, benché fortemente attaccato e minacciato di avvolgimento dall’avversario; quindi, sulla base di ordini ricevuti, eseguì un ordinato ripiegamento su posizioni retrostanti. – Colline di Santa Maria di Tolmino, 18-20 marzo 1916”. 



Elio Ferrari al fronte col 67° Reggimento Fanteria.
In seguito a questi eventi, trascorse alcune settimane di relativa calma, il 67° reggimento veniva riunito e trasferito nel settore del Monte Mrzli, ove prendeva posizione il 1° giugno. Negli stessi giorni, Ferrari era anche insignito del cavalierato dell'Ordine della Corona d'Italia (6). L'8 giugno, il 67° iniziò ad operare contro il Monte Mrzli: nei giorni seguenti, si dissanguarono prima il II e poi il I battaglione, mentre il III, quello comandato da Ferrari, restava in riserva. Nuovi attacchi furono tentati il giorno 22 e poi ancora - con un'ardita azione di sopresa della quale fu protagonista la 6^ compagnia, al comando del valoroso capitano Giuseppe De Simoni, che vi rimase ucciso - il giorno  27 giugno. Tuttavia, i risultati furono assai scarsi, e l'azione, dopo tali sfortunate azioni, fu sospesa nel settore del 67°. Nei mesi seguenti, da luglio a novembre, i battaglioni del reggimento si alternarono in linea, sempre nel settore del Mrzli e del Vodil. In questo periodo, i bravi fanti del 67° si dedicarono anche alla costurzione di una linea difensiva in cemento armato lunga 130 metri, e munita di un triplice ordine di cavalli di Frisia. Con l'inizio di novembre, furono gli Austro-Ungheresi a passare all'azione, sferrando - tra il 5 e il 18 del mese - numerosi assalti contro le posizioni tenute dal reggimento, che furono però brillantemente respinti. Con l'inizio del 1917, il 67° reggimento fu inviato a Valerisce per trascorrervi il meritato turno di riposo. In seguito, il reparto si dedicò a esercitazioni tattiche nei settori del Vallone dell'Acqua e del Podgora. Ai primi di aprile, il reggimento tornò il linea: prima nel settore di Santa Caterina, sostituendovi la Brigata "Jonio"; e poi, a inizio maggio, pur quale riserva di corpo d'armata, schierandosi ad Est di Gorizia. 

La conquista del Monte Santo
Il 12 maggio, dopo una lunga preparazione di artiglieria, aveva inizio la Decima Battaglia dell'Isonzo: per il VI Corpo d'Armata, nel quale era inquadrata la Brigata "Palermo", l'obiettivo principale era costituito dal Monte Santo di Gorizia. Nei due giorni consecutivi, contro la sommità del monte, nei pressi di quanto restava del celebre santuario - ridotto ormai a poche macerie fumanti - combatterono con impeto disperato i due reggimenti della Brigata "Campobasso" (229° e 230°), riuscendo, anche se solo per poche ore, a issarvi il Tricolore. Il 14 maggio, a rinforzo della "Campobasso", contro il Monte Santo fu fatta muovere la Brigata "Palermo": tuttavia, dato il forte rischio di improvvise reazioni nemiche in forze, il 67° fu lasciato in riserva a Valerisce. Mentre si consumava la tragica epopea del 230° reggimento - completamente annientato - il 15 maggio anche al 67° veniva dato ordine di portarsi sul Monte Santo, e il reggimento si schierava tra la Quota 359 e la Quota 227, sempre in riserva. Tuttavia, il solo III Battaglione, al comando del maggiore Ferrari, veniva scelto per costituire una colonna d'attacco, che veniva spedita all'assalto, salvo poi, a fine giornata, dover essere ritirato a causa della violentissima reazione austro-ungherese. I combattimenti proseguivano nei giorni seguenti, senza sostanziali progressi da parte italiana, sinchè, il 19 maggio, tutto il 67° reggimento - insieme al gemello 68° - veniva riunito in attesa di ordini per il giorno successivo. Alle ore 06.00 in punto del 20 maggio, le artiglierie italiane iniziarono un serrato fuoco di preparazione, che durò tre ore. Alle ore 09.00, le truppe della Brigata "Palermo" mossero all'attacco: dopo svariati assalti, che furono respinti, il II Battaglione del 67° riusc infine a raggiungere la vetta del Monte Santo ed a issarvi la bandiera reggimentale. Subito furono inviati, in suo rincalzo, anche il I e il III battaglione, quest'ultimo al comando di Ferrari. Tuttavia, i due battaglioni di rinforzo furono immobilizzati dal fuoco delle artiglierie austriache, e il II battaglione, dopo ore di strenua resistenza, fu infine costretto a ripiegare, abbandonando la cima conquistata. Tuttavia, l'azione fu ritentata solo tre giorni dopo, il 23 maggio: il piano d'attacco prevedeva che l'assalto al monte fosse condotto da due colonne; il 67° costituiva, insieme a un battaglione del 33° reggimento fanteria, quella di destra, al cui comando era stato posto il colonnello Pietro Boldi, comandante dello stesso 67°. La colonna d'attacco mosse dalle proprie trincee alle ore 16.20. Venticinque minuti dopo, i reparti di testa - e in particolare lo stesso II battaglione del 67° - raggiungevano nuovamente la vetta, e, come tre giorni prima, gli altri due battaglioni tentavano di portarsi in rincalzo. Tuttavia, ancora una volta, il I e il III battaglione venivano bloccati dal fuoco d'artiglieria nemico mentre, nel frattempo, sulla vetta si era scatenato il contrattacco delle fanterie austro-ungheresi. All'imbrunire, la situazione si fece disperata,e il comando di Divisione ordinò di sospedere l'azione: il 67° dovette dunque ripiegare sulle posizioni di partenza, non prima di aver dato ulteriore filo da torcere al nemio, arrestandone l'impeto con uno sbarramento di mitragliatrici. Nonostante l'epilogo sfortunato, in quel 23 di maggio la bandiera italiana aveva sventolato per oltre un'ora sulla cima del Monte Santo, e questo grazie agli indomiti fanti del 67°. Tra i protagonisti della giornata, vi era stato anche il maggiore Elio Ferrari, al quale fu conferita la seconda Medaglia d'Argento al Valor Militare:

Con grande slancio e perizia, conduceva il suo battaglione all’attacco delle posizioni nemiche, trascinando di nuovo all’assalto altri reparti delle ondate precedenti. Aggirato da tutte le parti da nuclei di nemici che sbucavano dalle caverne, ne sventava le insidie, attaccandoli vigorosamente. Costretto a ripiegare, con ordinata manovra, occupava il terreno immediatamente vicino alla cresta del monte, infliggendo gravissime perdite all’avversario. – Monte Santo, 23 maggio 1917”.

Tra il 23 e il 25 maggio, il 67° reggimento veniva ritirato dalla linea, e inviato a riposo nella zona di Cerovo Inferiore. Tuttavia, il solo III Battaglione, al comando di Ferrari, restava in linea ancora per alcuni giorni, coadiuvando il 43° reggimento della brigata "Forlì" in successivi assalti ancora contro il Monte Santo. Il 28 maggio, il battaglione veniva aggregato a una colonna d'assalto, al cui comando era posto lo stesso maggiore Ferrar. Sebbene, anche in tale occasione, non fu possibile ottenere una conquista piena e duratura del monte, il contegno di Elio Ferrari fu tale da valergli una ulteriore medaglia d'Argento al Valor Militare, che gli fu conferita con la seguente motivazione:

Dirigeva brillantemente, con slancio, energia, coraggio e perizia, la colonna al suo comando all’assalto di un’aspra e ben difesa posizione nemica, infondendo nella propria truppa, col suo valoroso contegno, calma e fermezza per mantenere, sotto il tiro violento di ogni specie del nemico, le posizioni raggiunte. – Monte Santo, 28 maggio 1917”. 

L'assalto al Monte San Gabriele
In seguito a tale azione, anche il III Battaglione fu inviato a Cerovo per trascorrervi il meritatissimo turno di riposo. Tuttavia, dopo meno di un mese, il 21 giugno esso ritornava in linea, insieme al resto del 67° reggimento: il teatro di operazioni designato per il reparto, stavolta, era costituito dal settore di Santa Caterina, una modesta quota poste alle pendici sud-occidentali del Monte San Gabriele. Qui, inquadrato nell'11^ Divisione di Fanteria, il 67° Reggimento sarebbe rimasto per alcune settimane in posizione difensiva, resistendo ai violentissimi bombardamenti nemici - che causarono al reparto notevoli perdite - e a reiterate puntate offensive degli Austro-Ungheresi. Il 20 luglio, il reggimento ricevette il cambio e fece ritorno a Cerovo Inferiore per trascorrervi un nuovo periodo di riposo.

Il settore del Monte San Gabriele. A sud-ovest, le posizioni di Santa Caterina. A nord, quelle del Veliki Krib.
Il 10 agosto, il reggimento ritornava in linea, occupando con un battaglione - a rotazione - la Sella di Dol, e mantenendo gli altri come riserva divisionale. Dopo una decina di giorni di attesa e di preparazione, il momento dell'assalto al Monte San Gabriele giungeva, per i fanti del 67°, il 28 agosto. Quel giorno, il reggimento - insieme ai due della brigata "Messina" - si slanciava verso la vetta del monte, riuscendo a conquistare le trincee poste sulle Quota 526; dopo ore di combattimento violentissimo, cadeva in mano italiana anche la trincea di Quota 367, fondamentale per poter poi agire contro la cresta del monte. A proposito dei combattimenti del 28 sulla quota 367, si è scritto: "il momento raggiunse i toni dell'epopea; alcuni plotoni, esaurite le munizioni, fecero uso persino dei sassi, altri utilizzarono le armi dei nemici uccisi". Il giorno seguente, 29, l'attacco al San Gabriele veniva rinnovato, ma la reazione dell'artiglieria nemica costringeva i nostri, al termine della giornata, a ritirarsi sulle posizioni di partenza. 
 
Fonogramma di incitamento trasmesso il 24 agosto 1917 dal comandante dell'11^ Divisione (Gen. Bonaini) al comandante della Brigata "Palermo" (Gen. De Negri)e da  questi diramato al 67° Reggimento, in cui, annunciando la conquista del San Michele ad opera dell'8^ Div., augura "A noi in giornata la gloria del San Gabriele". (collezione privata Arturo E. A.).

Decisivo fu, invece, quel che accadde il giorno successivo, 30 agosto: al mattino, il I e il III battaglione scattarono dalle proprie trincee, e, pur sotto il martellante fuoco di sbarramento nemico, riuscirono a raggiungere il caposaldo di Quota 567 del San Gabriele, detto "Il Fortino", che venne conquistato nel corso del pomeriggio. La linea avversaria era stata sfondata, e i fanti avanzarono sino alla Quota 522, che fu ugualmente occupata. Fino a tarda sera, si susseguirono vari contrassalti degli Austro-Ungheresi, che però non riuscirono a scacciare gli Italiani dalle posizioni raggiunte. Il nuovo obiettivo, per i nostri fanti, divenne dunque il colle del Veliki Krib, una collina di modesta altitudine (526 m.s.l.m.), ma di fondamentale importanza strategica: essa (in italiano Col Grande) sbarrava infatti l'accesso alla Selva di Tarnova, un altopiano carsico che, se conquistato dagli Italiani, avrebbe messo in grave pericolo la tenuta dello schieramento Austro-Ungarico nel settore. Il giorno 31 agosto, gli Italiani ripresero l'offensiva, stavolta contro il Veliki. Nel corso della giornata, i reparti del 67° Fanteria assaltarono la Quota 526 del Veliki, espugnandola. Tuttavia, immediatamente si scatena la controffensiva nemica, e i reiterati assalti degli Austro-Ungheresi mettono gravemente a repentaglio l'occupazione del Veliki. Nel corso dell'azione, il III Battaglione era rimasto in riserva, senza muoversi dalle proprie posizioni. Il suo comandante, Elio Ferrari, era, peraltro, ammalato, e impossibilitato al combattimento (7). Fattasi sempre più drammatica la situazione sul Veliki, il comando di brigata decise però di far entrare in linea anche il III Battaglione. Il tenente colonnello Ferrari, pur fortemente debilitato, rifiutò di essere sostituito e chiese allora, ed ottenne, di guidare il suo reparto all'assalto (8). Di quel che accadde nelle ore successive, sino all'alba del 1° settembre, la descrizione è contenuta nella suprema onorificenza al valor militare, la Medaglia d'Oro, che sarebbe stata concessa alla memoria di Elio Ferrari:
"Accorso col suo battaglione in aiuto di altre truppe impegnate in aspra lotta per la conquista di una formidabile posizione, tenacemente contesa dall'avversario, col suo ascendente seppe trasfondere nel proprio reparto, già duramente provato in un lungo e gravoso servizio di trincea ed in una marcia sotto intenso bombardamento, tale vigore ed entusiasmo, da riuscire, con uno slancio irresistibile per veemenza e compattezza, a conquistare il caposaldo della posizione stessa, che mantenne poi con indomito vigore, rendendo vani ben tredici furiosi contrattacchi sferrari dal nemico, fino al termine del giorno seguente. Nell'ultimo di questi contrattacchi, duranti i quali, impavido, stava con i suoi, colpito al cuore cadde pronunziando parole che animarono il suo battaglione, il quale, con una violenta reazione ne vendicò la gloriosa morte, respingendo con ingenti perdite l'assalitore - Veliki Krib,1° settembre 1917".


Targa dedicata a Elio Ferrari presso l'ingresso d'onore della caserma "De Cristoforis" di Como, già sede del 67° Fanteria.
Nel corso della stessa giornata del 1° settembre, il 67° Fanteria, provato da sforzi estremi e ridotto dalle pesanti perdite, veniva ritirato dalla linea del fuoco e inviato a Slapnico in zona di riposo.

Le spoglie del ten. col. Ferrari, raccolte dai suoi uomini, avrebbero poi trovato definitiva collocazione nella cripta monumentale del Sacrario Militare di Oslavia. Targhe in ricordo di Elio Ferrari campeggiano ancora, tra l'altro, presso l'ingresso d'onore della caserma "Capitano Carlo De Cristoforis" di Como, e presso la Scuola Militare "Teuliè" di Milano (l'antico Collegio Militare di cui Ferrari era stato allievo). Tra i riconoscimenti tributati alla memoria di questo coraggioso figlio d'Italia (tra cui si può citare una via della sua città natale, Ciriè), ve n'è forse uno che gli avrebbe fatto particolare piacere: gli fu intitolato, infatti, il corso del Collegio Militare di Milano - ov'era stato anch'egli giovane cadetto - terminato nel 1942.

A cura di Niccolò F.

 
(1) Da Annuario degli Ufficiali del Regio Esercito per l'anno 1910, Roma, Alfieri & Lacroix, 1910.
(2) con R.d. del 02/02/1896.
(3) con R.d. del 19/09/1899.
(4) con R.D. del 05/01/1911.(4) Va notato che, sia secondo il riassunto storico del reggimento, sia secondo P.A. Baldrati (op. cit.), il 67° inizia ad operare sul San Michele dal 20 novembre 1915. Difficile, dunque, spiegare come mai la motivazione della MBVM riporti come data addirittura il 23 ottobre. Si potrebbe, in proposito, pensare ad un errore (la data corretta sarebbe 23 novembre invece che 23 ottobre).
(5) Con d.lgt. del 12/12/1915.
(6) con d.lgt. del 02/04 o del 01/06/1916.
(7) E. Sottile, Il 67° Fanteria 1862-1920, cit., p. 48.
(8) Ivi, e P. A. Baldrati, Il 67º Fanteria - Cento anni di Storia, cit., p. 65.

BIBLIOGRAFIA
- Voce Ferrari, Elio, in Enciclopedia Militare - Arte, Biografia, Geografia, Storia e Tecnica militare, Vol. III, p. 701, Istituto Editoriale Scientifico - Il Popolo d'Italia, Milano, 1933.
- Pier Amedeo Baldrati, Il 67º Fanteria - Cento anni di Storia, Como, Tipografia A. Noseda, 1962.
- Emmanuele Sottile, Il 67° Fanteria 1862-1920, Como, Tipografia R. Longatti, 1923.
- Riassunti Storici dei Corpi e Comandi nella guerra 1915 - 1918 , Roma - Libreria dello Stato.