martedì 9 febbraio 2016

Identificare una foto grazie a "La Domenica del Corriere" - S.Ten. Nino Fuoco da Milano

Una grande soddisfazione, per lo studioso, deriva dall'identificazione di un personaggio rappresentato in una foto, come accaduto, a chi scrive, in un altro caso narrato in questo blog (si veda la storia di Emilio Castano, http://antologiamilitare.blogspot.it/2015/05/alla-bella-patria-mia-storia-di-emilio.html ).
Del resto, nel raccogliere fotografie e ritratti fotografici, in specie se di soggetto militare, ci si imbatte, purtroppo, nella maggior parte dei casi in stampe completamente anonime. La buona abitudine di aggiungere scritte o dediche esplicative dietro alle fotografie - ormai, si può dire, del tutto tramontata con l'avvento dell'era digitale - non era granché diffusa, in effetti, neppure all'inizio del secolo, quando pure le stampe fotografiche rivestivano un importante valore affettivo.
Un esercizio ancora più avvincente, dunque, è quello di provare a far "parlare" anche questi volti senza nome: trattando di soggetti in uniforme militare, una volta identificato il periodo storico di riferimento (in proposito, si veda il bell'articolo sulle uniformi della truppa di fanteria, http://antologiamilitare.blogspot.ch/2015/07/datare-una-fotografia-truppa-di-fanteria.html ), con un po' di studio e di occhio per i dettagli, si può - grazie a particolari elementi estrinseci (in specie, decorazioni o distintivi sull'uniforme) - pervenire ad una identificazione "di massima" del personaggio. Ad esempio, scoprendo che il soggetto ritratto era, per ipotesi, un ufficiale piuttosto che un militare di truppa, appartenente ad un certo corpo o arma dell'esercito piuttosto che ad un altro. Con riferimento ai militari del Regio Esercito, grazie al peculiare sistema di distintivi in uso, in molti casi si può addirittura identificare il reparto di appartenenza (in termini, perlopiù, di reggimento).
Invece, nel caso oggetto di questo breve post, grazie ad una certa dose di fortuna (e all'occhio alquanto fisionomista di chi scrive...), l'identificazione è stata assoluta: ma, oltre a dare un'identità alla foto, ciò ha permesso di far riemergere una vicenda personale assai mesta, e che ci riporta all'autunno del 1915.

Alcuni anni fa, durante l'abituale visita semestrale presso una nota fiera collezionistica milanese, frugando nel classico "cassone tutto a 1 euro" di una bancarella, chi scrive si imbatteva nella foto che segue:

Benché fosse alquanto rovinata, attirato dalla posa particolare, e dall'eleganza del soggetto ritratto - in aggiunta alla mia passione per l'uniformologia italiana del Primo Novecento - senza pensarci acquistavo la foto. Salvo poi, tornato a casa, seppellirla nell'ennesimo album di fotografie "generiche". E dimenticandomi, in breve, di averla mai acquistata. 
Poche settimane fa - approfittando della quiete natalizia - mi immergevo nella lettura dell'annata 1916 de "La Domenica del Corriere", il celeberrimo settimanale del Corriere della Sera. E' cosa, forse, poco nota, che tale periodico - sino all'incirca alla metà del 1916 - dedicasse, in ogni sua uscita, una pagina alla pubblicazione dei ritratti di quaranta e più caduti, corredati dal grado ricoperto e da pochi dati anagrafici. Sfogliando il numero 2 del 16 gennaio del 1916, notavo un volto che mi risultava, in qualche modo, conosciuto:

Ritratto del s.ten. Nino Fuoco, da "La Domenica del Corriere", Anno XVIII, n°2, 9-16 gennaio 1916.
Dopo un lungo scartabellare, recuperavo dunque la fotografia di cui sopra, notando non solo l'identità del soggetto, ma anche che il tondo pubblicato sulla Domenica era stato tratto, precisamente, dalla stessa identica immagine. Ecco dunque scoperta l'identità del personaggio del quale, grazie anche agli archivi on-line del Museo Centrale del Risorgimento in Roma, possiamo ora tracciare un - purtroppo - breve profilo biografico.

Giovanni Battista Fuoco, detto Nino, nacque a Milano - in una casa al numero 4 della centralissima Via San Giovanni in Laterano [1] - il 7 gennaio del 1891. I suoi genitori erano Virginia Mejana, sarta, ed Enrico Fuoco; quest'ultimo esercitava la professione di orefice, non può dirsi se in proprio o presso qualche laboratorio del centro. Dal cognome, poco o nulla attestato in Lombardia e invece alquanto diffuso in Campania e Calabria, può dedursi che la famiglia paterna fosse originaria di quelle regioni. In ogni caso, il mestiere del capofamiglia assicurava un certo di livello di benessere alla famiglia Fuoco, consentendo anche al figlio Nino di portare avanti gli studi. In mancanza di documenti sul punto, non può affermarsi se il ragazzo, ottenuto il diploma, prestò il normale servizio militare di leva - verosimilmente nel 1911 - o se ne fu invece, inizialmente, dispensato, magari in virtù dell'assegnazione alla terza categoria. Va notato che, nel primo caso, egli avrebbe ben potuto essere mobilitato - insieme a molti suoi coscritti - per prendere parte alla Guerra Italo-Turca. In proposito, non si può dunque datare con certezza la fotografia presentata sopra, che potrebbe riferirsi sia al tempo dell'eventuale servizio militare - anni '11, '12, '13 - come anche al momento del successivo richiamo, a guerra già iniziata [2]. Ci consentiamo qui di azzardare una deduzione, tratta dal fatto che che la foto ci presenta il giovane sottotenente Fuoco inquadrato nel 1° Regg. Fanteria della Brigata "Re". Dato che, nel corso del 1915, Fuoco sarebbe stato assegnato ad un reggimento della Brigata "Mantova" e che essa esa un'unità di Milizia Mobile - e dunque era stata costituita, perlomeno inizialmente, con i richiamati appartenenti alle classi e categorie ricomprese in tale partizione del Regio Esercito - parrebbe di potersi dedurre che il sottotenente Fuoco fosse già stato richiamato con tale grado. Ciò potrebbe trarsi anche dal fatto, ancora, che alla costituzione della Brigata "Mantova" - nella primavera del 1915 - avevano contribuito anche aliquote di uomini provenienti dal deposito del 7° Reggimento della "Cuneo", con deposito a Milano, e - in quegli anni - zeppo di giovani milanesi.
Comunque sia, Nino Fuoco fu chiamato alle armi e, appunto, destinato al 113° Reggimento della "Mantova".


Il S.Ten. Nino Fuoco, del 1° Regg. Fanteria Brigata "Re", in grande uniforme.
(elaborazione grafica da foto originale, collezione privata)
I pochi documenti, in ogni caso, ci portano direttamente all'anno 1915 avanzato: il giovane sottotenente Fuoco si trovava al comando di un plotone della 4^ compagnia del 113° Regg. Fanteria (inquadrata nel I o II battaglione). Ci immaginiamo che egli avesse partecipato alle azioni compiute dal proprio reparto nel corso dell'anno. All'inizio delle ostilità con l'Austria-Ungheria, la Brigata "Mantova" - inquadrata nella 3^ Brigata Alpina del V Corpo d'Armata (1^ Armata), al comando del gen. Antonio Cantore - si trovava dislocata nel settore della Vallagarina, a sud di Rovereto. Già il 27 maggio, la "Mantova" era stata protagonista delle fortunate operazioni che avevano condotto alla presa della cittadina di Ala.
In seguito, era stata schierata a difesa delle posizioni raggiunte nel settore del Monte Baldo e dei Monti Lessini, sino all'estate avanzata. Ai primi di agosto, la "Mantova" assunse la difesa del sotto-settore Adige-Monte Zugna, eseguendo in tale zona numerose azioni di pattuglie, e venendo altresì impiegata in lavori di rafforzamento difensivo.
La situazione rimase alquanto stazionaria sino alla fine del mese di ottobre. Il 27 del mese, infatti, la Brigata tornò in azione: il 113° Reggimento, in particolare, riuscì ad occupare la linea Monte Giovo - Besagno.
E' verosimile, tuttavia, che a tale ultima azione del proprio reggimento non prese parte il giovane sottotenente Fuoco. Questi, invece, doveva con buona probabilità già trovarsi, in quei giorni, ricoverato presso l'Ospedaletto da Campo n. 07. Di esso, che già risultava installato nei dintorni di Ala, grazie alle carte del s.ten. Fuoco può ulteriormente precisarsi la collocazione: esso - nel periodo in questione - era per l'appunto situato presso l'abitato di Chizzola, oggi facente parte del Comune di Ala [3].

Nino Fuoco era - lo immaginiamo, trattandosi di un ufficiale di fanteria in servizio - un giovane robusto e in salute, nonché di buona famiglia, abituato a un certo tipo di igiene: ma tutto ciò non lo poteva difendere da una delle più subdole tra le mille insidie che attanagliavano i combattenti della Grande Guerra. Il giovane ufficiale, aveva contratto, infatti, l' ileotifo o tifo addominale, una malattia infettiva assai aggressiva. Nelle contingenze storiche che ci troviamo a trattare, questa malattia aveva trovato una vasta diffusione tra le file dei combattenti, grazie alle precarie condizioni igienico-sanitarie nelle quali questa massa di uomini si trovava a vivere. Uno dei principali veicoli di contagio era, ed è, l'ingestione di acqua o cibo contaminato.
La normale trafila che subivano i soggetti contagiati da questo malanno - secondo quanto si è potuto verificare con vicende consimili [4] - era quella di essere avviati rapidamente in retrovia, per essere poi ricoverati negli ospedali militari dei grandi centri urbani. Il che, naturalmente, poteva accadere solo laddove le condizioni fisiche del paziente lo consentissero. E quelle del giovane sottotenente Fuoco, evidentemente, non lo permettevano. L'ufficiale, come già accennato, fu dunque ricoverato presso il più vicino ospedale da campo, appunto l'Ospedaletto n° 7. E qui si consumarono gli ultimi atti della sua esistenza, che terminò alle ore 08.42 del giorno 31 ottobre del 1915.
Al momento, ci è ignoto il luogo della sua sepoltura [5].
Ovunque si trovi questo giovane sfortunato ufficiale, speriamo che questo piccolo omaggio gli abbia fatto piacere.


A cura di Niccolò F.

[1] La vecchia via San Giovanni in Laterano era localizzata nella zona ove attualmente sorge la Piazza Armando Diaz, a pochi passi dal Duomo.
[2] Si noti, in proposito, che il soggetto indossa la grande uniforme da ufficiale di fanteria regolamentata dall'Istruzione del 1903 (senza il kepì, abolito nel 1907), utilizzata - pur per i pochi usi consentiti - anche a guerra in corso.
[3] La precisa collocazione dell'Ospedaletto da Campo n. 07 si evince dall'estratto dell'atto di morte del s.ten. Fuoco, conservato presso l'archivio dello Stato Civile del Comune di Milano.
[4] Sovviene, tra le altre, la vicenda di Giovanni Battista Bianchi Probati da Moltrasio, fratello dell'Alfonso di cui abbiamo narrato le vicende in questo post: Il caimano del Lario: Alfonso Bianchi Probati, un "laghée" tra gli Arditi della Grande Guerra
[5] I genitori Enrico Fuoco (1851-1919) e Virginia Mejana (185.-1939) sono invece entrambi sepolti presso il Cimitero Monumentale di Milano. Le spoglie del s.ten. Fuoco potrebbero verosimilmente essere state traslate presso il Sacrario di Castel Dante, appena fuori Rovereto.

BIBLIOGRAFIA
- Lucio Ceva, Storia delle Forze Armate in Italia, Torino, 1999.
- Riassunti Storici dei Corpi e Comandi nella guerra 1915 - 1918 , Roma - Libreria dello Stato.