Nonostante il "centenario" sia ufficialmente terminato da alcune settimane, a noi poco importa: proseguiamo nel ricordare uomini e storie di quel delicato periodo della nostra storia. Oggi proponiamo ai nostri lettori un breve racconto che ci ha colpito, sia per il tono vivido e schietto, che per il "black humor" di cui è intriso.
È tratto da un numero degli Anni Sessanta della rivista periodica dell'Associazione tra i "Ragazzi del '99", dalla quale lo trascriviamo fedelmente (corsivi e grassetti nostri).
È tratto da un numero degli Anni Sessanta della rivista periodica dell'Associazione tra i "Ragazzi del '99", dalla quale lo trascriviamo fedelmente (corsivi e grassetti nostri).
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Una licenza andata in fumo
Testimonianza del caporale Gino Cutti, da Crema, fante del 268° Reggimento della Brigata "Caserta".
Tratto da Il Tascapane – periodico trimestrale dell'Associazione Nazionale "Ragazzi del '99", Anno III, Num. 3, pag. 17
Piave, Grave di Papadopoli, 15 giugno 1918
Quella notte mi trovavo sull'isola Caserta situata in mezzo al Piave alle Grave di Papadopoli; era chiamata "Caserta" perché veniva presidiata dal mio reggimento: 268° Regg. Fant. (Brigata Caserta). Il nostro compito era quello di sorvegliare le mosse del nemico e impedire alle pattuglie avversarie di attraversare il fiume. Tengo a precisare che le compagnie del mio reggimento erano formate da ragazzi del '99, quasi tutti veneti e appartenenti alle terre invase.
Piave, Grave di Papadopoli, 15 giugno 1918
Quella notte mi trovavo sull'isola Caserta situata in mezzo al Piave alle Grave di Papadopoli; era chiamata "Caserta" perché veniva presidiata dal mio reggimento: 268° Regg. Fant. (Brigata Caserta). Il nostro compito era quello di sorvegliare le mosse del nemico e impedire alle pattuglie avversarie di attraversare il fiume. Tengo a precisare che le compagnie del mio reggimento erano formate da ragazzi del '99, quasi tutti veneti e appartenenti alle terre invase.
Settore del fronte tenuto dalla 31^ Divisione (nella quale era inquadrata, in quel momento, la Brigata "Caserta") al 15 giugno 1918. |
Erano le 2,30 o 2,40 del 15 giugno del '18, quando la nostra artiglieria aprì il fuoco su tutta la linea del Piave, dopo di che arrivò l'ordine di lasciare il posto avanzato e di sistemarsi all'argine del Piave. A questo punto, come al solito, entrò in azione "radio fante" con la notizia che ci sarebbe stata una grande azione. E, anche questa volta, "radio fante" non sbagliò! Erano le tre quando l'artiglieria austriaca cominciò il bombardamento. E che bombardamento! Era un inferno! A peggiorare la situazione, poi sul fiume era caduta una nebbia così fitta che non si vedeva un accidente; poi per colmo di scarogna quei porci ci inviarono i gas lacrimogeni. Su le maschere! Gli occhi bruciavano e lacrimavano maledettamente, rendendo ancora più difficile la visuale sul fiume. Verso le quattro il bombardamento si spostò nelle retrovie. Erano tutti sul "chi va là", e si aspettava da un momento all'altro di vederci comparire quei brutti elmetti con le borchie.
Quasi repentinamente, a causa forse del vento, la nebbia che ci ostacolava la vista si diradò e si alzò, lasciandoci la terribile sorpresa di vedere tutte le Grave e linea del Piave gremite di cecchini armati sino ai denti [1], che avanzavano passando a guado o sulle passerelle da loro costruite, e a poca distanza dall'argine dove noi eravamo appostati. Allora incominciò il finimondo! Quanti colpi! Al povero '91 non si poteva neanche toccare la canna; pericolo di forte scottatura; era diventata color ciliegia.
Ma alle Grave non passarono e dovettero ritirarsi lasciando nel fiume una quantità enorme di materiale, di morti e di feriti. Passarono invece a circa un chilometro da noi, sulla destra verso Candelù dove la linea era tenuta da compagnie di reparti inglesi.
Causa questa infiltrazione e la prospettiva di venire accerchiati, ci dettero l'ordine di ripiegare e di sistemarci nel camminamento 12. Dopo questo fatto la nostra posizione non era fra le più comode perché si doveva tenere testa in due punti diversi e cioè di fronte e di fianco. Il nemico che aveva occupato la nostra trincea, dopo aver passato il fiume, era però rimasto tagliato fuori e impossibilitato a ricevere rifornimenti, perché la nostra artiglieria aveva bombardato e distrutto tutti i ponti e le passerelle che aveva fatto per guadare; ma resisteva con accanimento ai nostri attacchi ripetuti. E così passarono due giorni durante i quali vi fu un susseguirsi di attacchi e contrattacchi che si svolgevano anche all'arma bianca causando morti e feriti da ambo le parti.
Per rinforzare la nostra posizione e per potere snidare il nemico dalla trincea e dai camminamenti che ci avevano occupato, ci mandarono per nostra sventura una sezione lanciabombe (lancia Stoc) [2], comandata da un ufficiale di artiglieria con diversi soldati. E così cominciò la tragedia! Si misero a sparare quando un pezzo scoppiò, uccidendo due inservienti e un nostro compagno. Per colmo di sventura in quel frattempo il nemico ci attaccò con una sortita costringendoci a ripiegare di un centinaio di metri, lasciando sul terreno i morti e i due pezzi lanciabombe.
Visti inutili i tentativi di fare arrendere i nemici che si erano asserragliati nelle nostre posizioni e anche per non causare inutili perdite di uomini, essendo il terreno molto scoperto, si venne nella determinazione di farli arrendere per fame. Il povero ufficiale di artiglieria comandante la sezione lanciabombe, smaniava per venire in possesso delle sue armi e ci invitò a una sortita per recuperarle dicendoci: “Ragazzi, se mi recuperate le armi vi propongo per una licenza premio!”.
Quasi repentinamente, a causa forse del vento, la nebbia che ci ostacolava la vista si diradò e si alzò, lasciandoci la terribile sorpresa di vedere tutte le Grave e linea del Piave gremite di cecchini armati sino ai denti [1], che avanzavano passando a guado o sulle passerelle da loro costruite, e a poca distanza dall'argine dove noi eravamo appostati. Allora incominciò il finimondo! Quanti colpi! Al povero '91 non si poteva neanche toccare la canna; pericolo di forte scottatura; era diventata color ciliegia.
Settore delle Grave di Papadopoli. Evidenziata in giallo, la c.d. "Isola Caserta". |
Causa questa infiltrazione e la prospettiva di venire accerchiati, ci dettero l'ordine di ripiegare e di sistemarci nel camminamento 12. Dopo questo fatto la nostra posizione non era fra le più comode perché si doveva tenere testa in due punti diversi e cioè di fronte e di fianco. Il nemico che aveva occupato la nostra trincea, dopo aver passato il fiume, era però rimasto tagliato fuori e impossibilitato a ricevere rifornimenti, perché la nostra artiglieria aveva bombardato e distrutto tutti i ponti e le passerelle che aveva fatto per guadare; ma resisteva con accanimento ai nostri attacchi ripetuti. E così passarono due giorni durante i quali vi fu un susseguirsi di attacchi e contrattacchi che si svolgevano anche all'arma bianca causando morti e feriti da ambo le parti.
Per rinforzare la nostra posizione e per potere snidare il nemico dalla trincea e dai camminamenti che ci avevano occupato, ci mandarono per nostra sventura una sezione lanciabombe (lancia Stoc) [2], comandata da un ufficiale di artiglieria con diversi soldati. E così cominciò la tragedia! Si misero a sparare quando un pezzo scoppiò, uccidendo due inservienti e un nostro compagno. Per colmo di sventura in quel frattempo il nemico ci attaccò con una sortita costringendoci a ripiegare di un centinaio di metri, lasciando sul terreno i morti e i due pezzi lanciabombe.
Medaglia commemorativa per il Raduno dell'Associazione Nazionale "Ragazzi del '99" tenutosi in Milano nel giugno del 1969. |
Allora accettammo di tentare l’impresa in cinque. Siccome di giorno sarebbe stata un’impresa impossibile, si aspettò la sera e, a notte fonda, armati di una fifa tremenda e di due SIPE ciascuno, con la smania di andare in licenza, strisciando ventre a terra nel fango, si arrivò ai pezzi. Fu un lavoro tremendo, però riuscimmo a smontare un pezzo. Poi, chi il fusto, chi il tripiede, chi i proiettili, riuscimmo ad entrare al nostro posto senza perdite. Era tanta la contentezza per il recupero dell’arma e la smania di vendicare il dovuto ripiegamento! Il tenente con l’aiuto dei nostri compagni volle mettere subito in azione il pezzo e cominciò a sparare. Non rammento con precisione quanti colpi sparò, perché in quei momenti stavo tentando di levarmi daddosso il fango e tutta la porcheria che avevo accumulata nel viaggio. A farmi finire questo mio tentativo di toeletta fu uno scoppio tremendo, seguito da lamenti, e la visione atroce che mi si presentò appena alzai la testa dal mio buco rifugio. Il pezzo come l’altro era scoppiato, e uno scheggione di fusto aveva raggiunto il povero tenente aprendogli uno squarcio nel ventre, di dove si vedeva la fuoruscita degli intestini. E così dopo aver fatto portare alla medicazione due compagni feriti per lo scoppio, rimessomi dal solito momentaneo smarrimento, e mentre con una barella costruita con un telo tenda veniva portato via il povero ufficiale, mi sentii chiamare da un mio compagno che aveva partecipato al recupero dell’arma, e dire: “Caporae non te pare che la licenza la ze anda in fumo?”…
E sì, purtroppo era andata in fumo. Qualche ora dopo facemmo una sortita, decisi a vendicare il povero morto, ma appena fuori avemmo la sorpresa di vedere sventolare sulla trincea nemica lo strofinaccio bianco e così ritornammo dopo quattro giorni nelle nostre posizioni che avevamo dovuto abbandonare.
Angelo Gino Cutti
Caporale 268° Regg. Fanteria “Caserta”
NOTE: Angelo Gino Cutti, da Crema, dopo la guerra fece ritorno nella sua città, ove visse sino alla vecchiaia. Tra l'altro, dal 1971 al 1973, fu presidente del locale MotoClub.
[1] Qui il sostantivo "cecchino" è da intendersi non nel senso di "tiratore scelto", bensì quale termine generico per indicare i soldati austriaci (i.e., "soldato di Cecco Beppe").
[2] Si trattava di una Sezione di Lanciabombe da 76 mm "Stokes", di produzione inglese, fornito al Regio Esercito.
Angelo Gino Cutti
Caporale 268° Regg. Fanteria “Caserta”
NOTE: Angelo Gino Cutti, da Crema, dopo la guerra fece ritorno nella sua città, ove visse sino alla vecchiaia. Tra l'altro, dal 1971 al 1973, fu presidente del locale MotoClub.
[1] Qui il sostantivo "cecchino" è da intendersi non nel senso di "tiratore scelto", bensì quale termine generico per indicare i soldati austriaci (i.e., "soldato di Cecco Beppe").
[2] Si trattava di una Sezione di Lanciabombe da 76 mm "Stokes", di produzione inglese, fornito al Regio Esercito.