Sulle bancarelle dei tanti mercatini domenicali della nostra Penisola, non mancano mai scatole e album ricolmi di santini: ricordi di cresime, battesimi, e - più spesso - di cari estinti di un tempo che fu.
A chi scrive, la scorsa domenica è capitato di imbattersi nel luttino dedicato alla memoria del caporale Giovanni Luigi Gatti di Novara. In suo omaggio, in questo breve post ricorderemo il fatto d'arme in cui trovò la morte, il 12 novembre del 1915.
Giovanni Luigi Gatti, qui in uniforme da fante dell'89° Reggimento della Brigata "Salerno". |
Non sappiamo nulla della giovinezza del fante Gatti, se non che venne alla luce il 9 aprile del 1889 nella città di Novara. Ci s'impone dunque un salto cronologico, sino al 1915. Dalla foto che i suoi cari scelsero per lui, scopriamo che dovette prestare servizio - immagineremo, al momento del suo richiamo alle armi - nell'89° Reggimento Fanteria della Brigata "Salerno", di stanza a Genova. Successivamente, sarebbe stato trasferito invece al 126° Reggimento della Brigata "Spezia". Questa era una brigata di Milizia Mobile costituita - mediante il richiamo di coscritti dal congedo - nel marzo dello stesso anno 1915.
Inquadrata nella Seconda Armata, la Brigata
“Spezia”, nel corso dell'estate, avrebbe partecipato alle sanguinose offensive dirette ad espugnare, in particolare, il
Monte Kuk ed il Monte Sabotino. Ritirata dalla linea, alla fine di settembre fu trasferita
nella zona di Prepotto (UD), attraversando il fiume Iudrio, per trascorrere il
turno di riposo.
Cartolina reggimentale del 126° Regg. Fant. Brigata "Spezia". |
Il 20 ottobre, iniziata
la Terza Battaglia dell’Isonzo, la “Spezia” ripassò lo Iudrio e si portò prima a
Zapotok, e poi tra i villaggi di Lig e Kambresco, ove il 23 fu raggiunta dai
nuovi complementi.
Gli ultimi giorni di ottobre
trascorsero così nella preparazione del nuovo attacco: esso era concepito con
l’obiettivo di oltrepassare l’Isonzo e creare una testa di ponte sulla sua
riva destra, in corrispondenza del villaggio di Plava[1]. Si
trattava, invero, di un piano già tentato il 15 giugno precedente, nel corso della Prima
Battaglia dell’Isonzo, con un attacco risoltosi però in una sanguinosa
sconfitta, con i nostri reparti costretti a ripiegare nuovamente sulla riva
sinistra del fiume.
Tra i fanti della Brigata "Spezia", vi era anche un giovane ufficiale livornese: il tenente Giosuè Borsi[2] - inquadrato nella 4^ Compagnia del 125° Reggimento - raffinato
intellettuale, scrittore e giornalista, nonché originale figura di dandy e volontario di guerra. Questa la
descrizione che lasciò di quei luoghi e di quei giorni:
“Finalmente ci siamo messi in marcia sotto la luna, abbiamo salito il monte, siamo discesi dall’altro versante e, giunti sulla riva dell’Isonzo, ci siamo disposti in linea. Fino all’alba ho lavorato coi miei soldati a scavare la nostra trincea, vi ho disposto tre delle mie squadre e ne ho condotto una quarta con me, in questa trincea coperta, lasciata dagli avamposti. Sotto questa trincea scorre l’Isonzo, che vediamo dalle feritoie in tutta la sua incantevole bellezza. A monte, sulla nostra sinistra, è il punto della riva dove sarà gettato il ponte per il nostro passaggio. A valle si trova la testa di ponte di Plava, con due reggimenti pronti a rincalzare la nostra avanzata.”[3]
All’alba di
lunedì 1° novembre, la brigata “Spezia”, insieme al resto della 3^ Divisione,
dopo un intenso tiro eseguito dalle nostre artiglierie, si lanciò dunque all’attacco
delle posizioni austriache dell’abitato di Globna (a nord del villaggio di
Plava), già conteso nella Prima Battaglia dell’Isonzo, in giugno, dagli stessi
reparti. Gli austriaci, però, si trovavano schierati su posizioni ottimamente
organizzate e ben protette dai reticolati. Dopo aver attraversato l’Isonzo su barche
e su alcune passerelle gettate nella notte, sotto il fuoco martellante della
fucileria nemica, gli Italiani raggiunsero la riva destra, e mossero all’assalto dei loro obiettivi. Tuttavia, a causa della violentissima reazione
nemica, l’azione, da parte del 126° regg. e del II battaglione del 125° non
portò a grandi risultati e dovette essere arrestata. Trovò invece una maggiore
fortuna l’attacco intrapreso dal I e III btg. del 125° che assaltarono di
sorpresa e conquistarono parte dell’abitato di Zagora – una frazione di Plava - e
l’antistante “trincerone della Casa
Isolata”, catturando oltre trecento prigionieri e molto materiale. Il valore e
il contegno dei fanti del 125° fu tale da far guadagnare la Medaglia di Bronzo al
Valor Militare alla bandiera del reggimento[4], con questa motivazione:
“Con salda disciplina ed impeto travolgente, conquistò alla baionetta il villaggio di Zagora, tenacemente difeso.”
La
brigata sopportò però delle gravi perdite, nell’ordine di 23 ufficiali e 480
uomini di truppa. Con questo attacco, gli Italiani riuscirono tuttavia ad attestarsi sulla
riva orientale dell’Isonzo, creando una piccola testa di ponte: il mantenimento
di essa si rivela però da subito difficilissimo, sia in termini di rifornimento,
che di protezione dal tiro delle artiglierie, delle mitragliatrici e dalle
continue puntate nemiche.[5]
Inoltre, un’ampia parte del paese
rimaneva ancora in mano austriaca. Si combatteva via per via, casa per casa: il paese, già ridotto a un cumulo di rovine,
diventò un cimitero a cielo aperto dato che la vicinanza delle rispettive linee
rendeva infatti impossibile anche il recupero dei cadaveri. Inoltre, le condizioni metereologiche, già
assai precarie, peggiorarono ulteriormente nei giorni seguenti.
Dopo oltre una settimana passata a riordinare le fila della brigata e
a tentare di consolidare le posizioni acquisite, sotto il tiro continuo delle
artiglierie nemiche e con numerosi tentativi di colpi di mano da parte
austriaca, i comandi italiani decisero di tentare un nuovo attacco per sbloccare la
situazione, tentando la conquista delle pendici meridionali del Monte Cucco e
della parte del paese ancora in mano avversaria.
Al mattino del 10 novembre, i fanti della “Spezia” scattarono verso i propri obiettivi: il combattimento, con alterne vicende, proseguì sino al giono 15. Tuttavia, gli Austro-Ungarici, ben arroccati nelle loro posizioni, respinsero tenacemente ogni attacco, ed i progressi per gli Italiani si rivelarono assai ridotti. Terminati i combattimenti, gli Italiani contarono 264 prigionieri catturati, ma, oltre a dover contare più di cinquecento feriti, lasciarono sul terreno sei ufficiali e un centinaio di militari di truppa. Tra gli ufficiali, cadde - il giorno 10 novembre - il già citato tenente Giosué Borsi. Il nostro Giovanni Gatti, invece, trovò la morte il giorno 12, "colpito alla fronte" mentre "arditamente avanzava con i suoi compagni d'arme", come recita il santino dal quale ha preso le mosse questa narrazione [6].
Al mattino del 10 novembre, i fanti della “Spezia” scattarono verso i propri obiettivi: il combattimento, con alterne vicende, proseguì sino al giono 15. Tuttavia, gli Austro-Ungarici, ben arroccati nelle loro posizioni, respinsero tenacemente ogni attacco, ed i progressi per gli Italiani si rivelarono assai ridotti. Terminati i combattimenti, gli Italiani contarono 264 prigionieri catturati, ma, oltre a dover contare più di cinquecento feriti, lasciarono sul terreno sei ufficiali e un centinaio di militari di truppa. Tra gli ufficiali, cadde - il giorno 10 novembre - il già citato tenente Giosué Borsi. Il nostro Giovanni Gatti, invece, trovò la morte il giorno 12, "colpito alla fronte" mentre "arditamente avanzava con i suoi compagni d'arme", come recita il santino dal quale ha preso le mosse questa narrazione [6].
Pochi giorni prima, il ten. Borsi aveva scritto alla madre:
“Qua, staccato dal mondo, sempre con l’immagine della morte imminente, ho sentito quanto sono forti i legami col mondo, quanto gli uomini abbiano bisogno d’amore reciproco, di fiducia, di disciplina, di concordia e d’unità, quanto siano necessarie e sacrosante cose la patria, il focolare, la famiglia, quanto sia colpevole chi le rinnega, le tradisce, le opprime. Amore e libertà per tutti, ecco l’ideale per cui è bello offrire la vita. Che Dio renda fecondo il nostro sacrificio, abbia pietà degli uomini, dimentichi e perdoni le loro offese, dia loro la pace, e allora, mamma, non saremo morti invano. Ancora un tenero bacio.”[7]
Dopo centodue anni da quel giorno di novembre, si può solo pensare alla sorte, agli
eventi che misero fianco a fianco uomini così diversi - come il tenente Borsi e il caporale Gatti -, così distanti nella
vita, e li unirono, per sempre nella morte e nel ricordo.
A cura di Niccolò F.
A cura di Niccolò F.
[1] Plava (Plave), è oggi uno dei 19 naselja (“insediamenti”) di cui è
formato il municipio sloveno di Canale d’Isonzo (Kanal ob Soci).
[2] Giosuè Borsi (Livorno,
1888-Zagora, 1915) è stato un giovane e raffinato intellettuale, scrittore,
poeta e giornalista, nonché originale figura di dandy. Volontario di guerra, cadrà anch’egli a Zagora il 10
novembre 1915.
[3] G. Borsi, “Testamento spirituale”.
[4] Boll.
Uff. 1917, disp. 1°, MBVM alla Bandiera del 125° Regg. Fant.
[5] P.
Pieri, G. Rochat, “Pietro Badoglio”,
pag.36 :“A Plava attacchi e contrattacchi
d’estrema violenza, senza interruzione, giorno e notte, e poi, dal 1° al 4
novembre, un vero inferno: due divisioni sono pestate da ogni parte
dall’artiglieria nemica e falciate dalle mitragliatrici!”.
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