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mercoledì 10 marzo 2021

Una vita al servizio della Patria: storia del generale Enrico Secchi

Questo articolo rappresenta un perfetto esempio dell'interazione virtuosa che il web consente, nel campo delle ricerche storiche e genealogiche: dopo la pubblicazione del nostro articolo dedicato al colonnello Vero Wilmant , siamo infatti entrati in contatto con un suo pronipote che, con estrema cortesia e competenza, ci ha svelato, a poco a poco, la storia avventurosa della sua famiglia. Questo articolo, per la penna brillante di Enrico Secchi, è dunque dedicato alla vicenda umana del suo omonimo nonno, valoroso ufficiale del Regio Esercito, prima, e poi dei Reali Carabinieri. 
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Il generale Enrico Secchi (1887-1963).

Enrico Secchi nacque a Lodi il giorno 11 dicembre 1887. Il padre, Bassano, era un funzionario nell’Amministrazione Comunale di Lodi, che ancora molto giovane, s’innamorò di una giovane donna sempre di Lodi, che sposò nel 1884. La giovane sposa si chiamava Zaira Wilmant, anch’essa proveniente da famiglia agiata, proprietaria della locale Tipografia e Casa editrice Wilmant e figli, una delle più importanti della Lombardia, avendo fondato negli anni due testate giornalistiche e pubblicato importanti testi, come una delle prime versioni del romanzo che conosciamo come "I promessi sposi" di Manzoni. Dalla loro unione nacquero due figli maschi: il primogenito Francesco, che prese il nome del nonno paterno - il quale allevato dal padre nelle idee liberali partecipò pochi mesi dopo il suo matrimonio alle “cinque giornate” di Milano -, ed Enrico appunto, nome del nonno materno - anch’esso patriota e combattente nell’insurrezione di Milano contro le truppe del maresciallo Radetzky -. [Zaira Wilmant era sorella del colonnello Vero Wilmant, ndR].

Francesco - fratello maggiore di Enrico -, si laureò nel 1909 in Giurisprudenza presso l’Università di Genova. Nel 1910, appena venticinquenne, ottenne, a seguito di concorso, la nomina a Segretario Generale degli Istituti di Beneficenza del circondario di Lodi. Francesco fu chiamato alle armi nel 1916 e combatté nella prima guerra mondiale, raggiungendo il grado di Tenente di artiglieria di complemento. Durante la battaglia del Piave fu sottoposto con la sua batteria a ripetuti lanci, da parte degli austriaci, di gas asfissianti per ben tre giorni, e, malgrado le maschere antigas, allora ai primi esperimenti, ne rimase intossicato, fatto questo che ne minò lentamente il fisico. Pertanto, posto in congedo nel 1918, dopo la vittoriosa conclusione della guerra, la sua salute deperì sempre di più e nel 1923 morì di trombosi a soli 38 anni, lasciando la moglie e le due figlie ancora piccole.
Francesco Secchi, in uniforme da s.ten. d'artiglieria (archivio famiglia Secchi).

Il secondo figlio, Enrico, crebbe di alta statura (oltre m. 1,80), con occhi grigi e penetranti. Portato, come tutti nella sua famiglia, alla musica, era particolarmente appassionato di quella lirica, che coltivava e conosceva perfettamente; aveva inoltre ereditato una bellissima voce da baritono dallo zio materno Tieste Wilmant e, avendola coltivata, si dilettava a cantare specialmente romanze liriche.

Il 21 novembre 1906, Enrico, superati i difficili esami di ammissione entrò alla Scuola Militare di Modena (l’attuale Accademia Militare), iniziando così la carriera militare. Promosso Sottotenente nell’ottobre del 1908, frequentò la Scuola Centrale di Tiro di Parma (denominata successivamente Scuola di Applicazione, con sede sempre a Parma fino al termine della seconda Guerra Mondiale e, dopo il conflitto, a Torino); alla fine di tale corso, dopo aver prestato giuramento il 20 novembre 1908, venne destinato al 67° Reggimento Fanteria di Linea della Brigata “Palermo”, in guarnigione nella città di Como.
Il s.ten. Enrico Secchi con un gruppo di ufficiali del 67° fanteria nel 1910 (archivio famiglia Secchi).

Negli anni successivi, Enrico si dedicò all'ordinario svolgersi della vita reggimentale, tra esercitazioni, attività di Pubblica Sicurezza e interventi in caso di calamità naturali, ma nell'imminenza della guerra italo-turca il reggimento a cui apparteneva visse un periodo di particolare attività fino allo scoppio repentino del conflitto.
Il 17 giugno 1911 l'intero reggimento venne inviato in servizio di Pubblica Sicurezza a Milano in occasione dei disordini avvenuti per l'imminente guerra di Libia, rimanendovi fino al 5 luglio.
Sempre nel luglio 1911, mentre Enrico si trovava alle “manovre estive” in Albano Sant’Alessandro (Bergamo), dovette accorrere presso il capezzale del padre, colpito da un improvviso malore (“ictus cerebrale”), che spirò tra le sue braccia. Bassano aveva solo 51 anni.

Nell’ottobre 1911, scoppiò la guerra italo-turca per la conquista della Tripolitania e della Cirenaica (che sarebbero, poi, state unite sotto il nome di Libia) ed Enrico, mobilitato poco dopo, partì per il fronte con un contingente del 67° [probabilmente inquadrato nel 68° reggimento della medesima Brigata "Palermo", ndR]: imbarcandosi da Napoli il 25 settembre 1912, sbarcò a Bengasi il 28 settembre 1912. Dopo aver partecipato a diverse azioni belliche, contrasse una malattia di carattere intestinale, che si rivelò subito molto grave, ma che, però, in quei tempi non ancora avanzati della medicina, non venne diagnosticata con precisione; pertanto, dopo un breve periodo di degenza presso un ospedale da campo, imbarcato a Bengasi il 30 novembre 1912, venne rimpatriato a Palermo il 6 dicembre 1912 con la nave ospedale “Regina Margherita” e ricoverato all’Ospedale Militare di Palermo. Ma anche qui si brancolava nel buio ed Enrico, febbricitante, fu dichiarato in imminente pericolo di vita. Venne allora subito chiamata la madre Zaira, che si precipitò da Senna Lodigiana e che, ospitata nell’Ospedale stesso, si adoperò in tutti i modi per alleviare le sofferenze del figlio. Fortunatamente, proprio in quel periodo giunse all’Ospedale Militare un Ufficiale Medico, di cognome Ciulla, siciliano, che si dimostrò perfetto diagnostico, riuscendo a salvare da sicura morte Enrico mediante cure finalmente adeguate al particolare caso (Ileo-Tifo, anche detto tifo addominale), e portandolo a completa guarigione. La malattia era durata esattamente dal 18 ottobre 1912 al 15 gennaio 1913, seguita, poi, da un periodo di convalescenza di 90 giorni; in tutto, ben sei mesi. Finita la convalescenza, Enrico rientrò in servizio a Milano.

Nel 1914, vinse un concorso per l’Arma dei Carabinieri Reali, ove entrò con il grado di Tenente; fu destinato alla Tenenza di Asti alle dipendenze del Capitano Enrico Chiabrando, da lui sempre ricordato per la sua bontà e rettitudine.

Nel maggio del 1915, si fidanzò con una signorina del luogo, Francesca Moriondo, e il matrimonio, avendone avuto la necessaria autorizzazione dal Sovrano, fu celebrato il 16 agosto successivo, in quanto, essendo l’Italia entrata in guerra il precedente 24 maggio a fianco degli Alleati contro gli Imperi Austriaco e Tedesco, Enrico era già stato mobilitato; infatti, dopo pochi giorni, a settembre, fu inviato al fronte, esattamente a Santa Maria di Tolmino, al comando di un plotone distaccato del III Battaglione del Reggimento Carabinieri Reali. I plotoni venivano normalmente assegnati per servizi di Polizia Militare; i Carabinieri Reali, dunque, agivano non solo nelle retrovie, ma anche nelle posizioni di prima linea, ai posti di medicazione, agli sbocchi dei camminamenti, nei punti di passaggio obbligato, lungo le strade direttrici di marcia delle truppe operanti. Questi erano i loro compiti assegnati, oltre quelli di Arma combattente, di esecuzione di bandi per i militari e per le popolazioni civili, di recapito di ordini, di servizi di sicurezza in sosta e in marcia, di polizia giudiziaria per i reati militari e comuni, di vigilanza sanitaria, di assistenza ai feriti, di ordine interno dei centri abitati, di sicurezza delle comunicazioni, di prevenzione e repressione dello spionaggio. Successivamente, promosso Capitano il 14 giugno 1917 a novembre dello stesso anno Enrico venne assegnato alla sorveglianza del servizio di protezione e vigilanza delle ferrovie dipendenti dalla VII Armata.
Enrico Secchi in uniforme da capitano dei Carabinieri Reali (archivio famiglia Secchi).

Alla fine della Prima guerra mondiale, Enrico, ormai Capitano, si trovava a Como, quale Comandante della Compagnia esterna dei Carabinieri Reali di Via Dante. Quivi, nel 1921 nacque Bassano, suo secondogenito, mentre la sua primogenita, Domitilla, era nata durante la guerra nel 1916 ad Asti.

In questo periodo, molto turbolento del dopoguerra soprattutto per l’ordine pubblico – il c.d. biennio rosso -, ricevette il suo primo Encomio Solenne con la seguente motivazione: 
“In occasione di grave triplice omicidio a scopo di furto, che aveva profondamente commossa l’opinione pubblica e le cui indagini si presentavano di speciale difficoltà, impartiva al comandante di stazione interessata intelligenti istruzioni e direttive, che condussero all’arresto ed alla confessione del colpevole. Bregnano (Como) 16 marzo 1920 (2° Gruppo Legioni)”, cui si dovette aggiungere un secondo encomio solenne per lo stesso fatto dal Ministero dell’Interno.

Intanto, scioperi e manifestazioni si moltiplicavano sempre più in tutta Italia ed Enrico a Como si trovò costantemente in prima linea, al fine di arginare le violenze e i disordini. Il giorno 14 settembre 1920, accadde l’episodio più cruento; infatti, Enrico intervenne a Como insieme ai suoi Carabinieri coadiuvati da Agenti investigativi, Guardia di Finanza e Soldati per fermare un corteo vietato dalla Questura, intimando ai dimostranti tra piazza San Fedele e Via Indipendenza di disperdersi. Ne nacquero subito dei tafferugli e dalla folla partirono alcuni colpi di rivoltella e un proiettile sfiorò proprio Enrico. Gli agenti, pertanto, procedettero prontamente all’arresto dei due giovani che avevano sparato.
Dopo Como, Enrico prestò servizio nelle sedi di: Mondovì (C.te Distaccamento Scuola Allievi Carabinieri) e Bra (promosso Maggiore nell’agosto del 1924, comandò il Btg. Allievi CC) negli anni 1923 – 1925. 

Foto commemorativa degli ufficiali della Scuola Allievi CC.RR. in Bra (archivio famiglia Secchi).

Nel febbraio del 1926, fu trasferito a Girgenti (ora Agrigento), ove, quale Comandante della locale Divisione CC, fu impegnato nella lotta contro la “mafia”, condotta con successo, per volere del Governo, dal Prefetto Mori. Durante quest’ultimo periodo ricevette un terzo Encomio Solenne con la seguente motivazione: 
“Coordinò e diresse con abilità e sagacia non comuni le complesse e difficili indagini e le conseguente azione dei dipendenti che fruttarono la costituzione di 22 colpiti da mandato di cattura, restituendo la tranquillità alle popolazioni e la fiducia nell’imperio della legge. Bivona – Ribera. Burgio - S. Stefano Quisquina (Girgenti) Aprile Maggio 1926 (Boll. Ufficiale anno 1926 dispensa 6a)”.
Nel dicembre 1926, altro trasferimento a Lucca (sempre C.te Div. CC), dove fu promosso al grado di Tenente Colonnello. Successivamente, nel marzo del 1929, venne trasferito a Grosseto, sempre come Comandante di Divisione. Durante quest’ultimo servizio ricevette il quarto Encomio in occasione della visita ufficiale del Capo del Governo in Toscana e, in particolare, a Grosseto, con la seguente motivazione: 
“Predispose e diresse con non comune sagacia attività e zelo veramente commendevoli i complessi servizi affidati all’Arma in occasione di grandiosi cerimonie svoltesi durante visite ufficiali di S.E. il Capo del Governo. Grosseto 10 maggio 1930 (Ispettorato 3a zona)”.
Enrico Secchi in grande uniforme da ufficiale dei CC.RR. (archivio famiglia Secchi).

Enrico, continuò nella carriera, subendo altri trasferimenti: a Bologna (1930 – C.te Div. Int.); a L’Aquila (1932 – C.te Div.); a Bari (1934 – V. C.te e poi C.te Legione CC.RR.) e, infine, a Milano, ove fu promosso Colonnello (1935 – Incarichi Speciali per le Regioni Lombardia e Venezia Tridentina).

Nel 10 giugno 1940, l’Italia entrò nel conflitto mondiale scoppiato nel 1939 ed Enrico fu quasi subito mobilitato e assegnato a Trento, quale Comandante della Zona Militare del Trentino. Enrico, quindi, si dovette trasferire a Trento, mentre il figlio Bassano, ormai diciannovenne, decise di partire volontario per il fronte russo e, dopo avere concluso il corso come Allievo Ufficiale, nel marzo 1942, fu nominato sottotenente, venendo di lì a poco destinato in Russia. Tale scelta, nonostante la normale e iniziale riluttanza, venne dal padre Enrico successivamente appoggiata.
Enrico, nel 1943, continuava nel suo servizio a Trento, ma il suo animo era turbato poiché, durante la ritirata delle Truppe Italiane in Russia (dicembre 1942 – marzo 1943), più nessuna notizia gli era pervenuta dal figlio Bassano, facente parte dell’ARMIR (8a Armata Italiana in Russia), mentre notizie attinte da alcune fonti dello Stato Maggiore dell’Armata lo davano disperso con il suo reparto. Ma finalmente verso il mese di aprile venne a sapere che il figlio era fuori pericolo e nel mese di maggio poté riabbracciarlo al suo rientro in Patria.

Nel medesimo mese ebbe il suo quinto Encomio Solenne con la seguente motivazione 
“Per l’ottima preparazione professionale, attività ed interessamento dimostrati nel comando della Sottozona e in particolare della difesa antiparacadutista” (Capo di S.M. della difesa 29/05/1943)”
Ma intanto gli eventi politici e militari in Italia precipitavano: il 25 luglio, alla caduta del Fascismo, Divisioni tedesche attraversarono il confine e si schierarono nel Trentino e nell’Alto Adige e, l’8 settembre 1943, all’atto dell’armistizio dell’Italia con gli Alleati, attaccarono improvvisamente, nella notte, tutte le unità italiane nella zona, secondo un piano già predisposto da tempo, per cui la provincia di Trento, insieme a quella di Bolzano e di Belluno, entrava a far parte del Reich, dipendendo direttamente dal Führer.

Enrico fu subito arrestato dai Tedeschi, che devastarono gli uffici e la sede del suo Comando, e rinchiuso nel campo di aviazione di Gardolo (Trento). Tale luogo era stato scelto dai Tedeschi per concentrare i numerosi militari italiani fatti prigionieri, in quanto il sito, dotato di un vasto prato, circondato da una robusta rete metallica, e di capannoni spaziosi, era adatto all’uso di tenere reclusi i resti del Regio Esercito, in attesa di essere internati in Germania attraverso la linea ferroviaria del Brennero, ormai sotto il completo controllo della Wehrmacht.

Da tale improvvisato campo di concentramento, nel volgere di poche ore, Enrico, avendo, peraltro, mantenuto l’arma di ordinanza e padroneggiando la lingua tedesca, seppe evadere in maniera rocambolesca, grazie al suo sangue freddo e alla sua temerarietà. Successivamente, mercé l’aiuto di un fedele e coraggioso ufficiale della Milizia Ferroviaria (Capomanipolo Augusto Moggio di Lucca), già suo dipendente e in quel frangente fatto rimanere in servizio dai Tedeschi, poté prendere, in borghese, un treno e raggiungere, dopo un fortunoso e pericoloso viaggio, Tagliacozzo in provincia de l’Aquila, ove venne tenuto nascosto, con personale grande pericolo, da una famiglia amica, essendo il paese occupato da truppe tedesche ed Enrico ricercato dalla polizia germanica. In tale occasione, la Famiglia Pietropaolo fu di grande aiuto e mai nessuna indiscrezione trapelò da questa ristretta cerchia di amici. Nel giugno 1944, a Roma ritornò il Governo Italiano legittimo ed Enrico, pertanto, riassunse servizio nella stessa Roma, con il grado di Generale di Brigata presso il Comando Generale dei CC. RR. con incarichi speciali, fino al primo luglio 1945, quando veniva collocato in congedo.
Ancora Enrico Secchi in uniforme da generale (archivio famiglia Secchi).

Durante la sua carriera, oltre alle medaglie relative alle tre guerre a cui aveva partecipato, fu insignito della Croce al Merito di Guerra, della Croce di Cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro (onorificenza Sabauda molto rara e concessa solo per particolari meriti di servizio), della Commenda dell’Ordine della Corona d’Italia e del Cavalierato dell’Ordine della Stella Coloniale (per il servizio reso durante la Guerra Italo-turca), oltre alla Medaglia Mauriziana e a quella di Lungo Comando.
Medagliere del gen. Enrico Secchi (archivio famiglia Secchi).

Gli anni successivi trascorsero sereni e tranquilli tra Roma e Tagliacozzo. Ebbe la soddisfazione di vedere: il figlio Bassano, entrato in carriera militare e superate indenne le vicende belliche, indossare i gradi di Tenente Colonnello dell’Esercito, mentre la figlia Domitilla diventare funzionario di grado elevato nel Comune di Torino.
Corteo funebre del gen. Enrico Secchi a Tagliacozzo, 1963 (archivio famiglia Secchi).

Morì il 3 luglio 1963 colpito da infarto cardiaco, in Tagliacozzo, ove si era recato qualche giorno prima, per trascorrervi il periodo estivo. Al suo funerale parteciparono, oltre ai parenti più stretti, Autorità Militari e Civili e una grande folla; al suo Feretro furono resi gli onori militari, da parte di un reparto di Granatieri, dovuti al suo alto grado, al suo passato di combattente di tre guerre, alla sua immagine di vecchio Soldato. 
Aveva servito la Patria con onestà, coraggio e completa dedizione. Ora riposa nella quiete del Cimitero di Tagliacozzo nella sua ultima guardia.

Enrico Secchi

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Ringraziamo sentitamente l'avv. Enrico Secchi per lo scritto e per la disponibilità alla pubblicazione delle preziose fotografie tratte dall'archivio di famiglia.

venerdì 25 settembre 2020

Il colonnello Vero Wilmant, un bersagliere tra i fanti sulle Dolomiti

In uno dei nostri ultimi articoli, ci siamo sbizzarriti nel cercare di attribuire un bel berretto al colonnello che lo aveva indossato nel periodo della Prima guerra mondiale: nonostante gli sforzi profusi, l'identificazione, in quel caso, è stata solo parziale. I piccoli oggetti che presentiamo in questo breve articolo, invece, ci hanno reso assai facile il compito: il piccolo lotto è, infatti, nominativo. Vediamoli nel dettaglio, cercando di raccontare qualche cosa del loro antico proprietario: il colonnello Vero Wilmant.
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Gli oggetti che qui vi presentiamo sono un fregio e due medagliette reggimentali. Il fregio è - meglio - un trofeo da berretto per ufficiale di fanteria del modello introdotto nel 1895; è in filo metallico argentato, e cucito su panno turchino. Dunque, doveva guarnire un berretto del modello adottato nel 1891, e poi confermato nel 1903. Esattamente come quello di cui abbiamo trattato in questo nostro articolo: "Un berretto per un colonnello - Emilio Ravanelli".
Ancora, il fregio reca nel tondino la cifra "53", distintiva appunto del 53° reggimento fanteria della Brigata "Umbria", e presenta tracce evidenti, per quanto scarse, del panno rosso scuro (detto robbio ) del quale era sottopannato [1]. Ciò denota che il fregio doveva essere montato sul berretto di un ufficiale comandante il predetto 53° reggimento fanteria. Ma di quale, tra i tanti che il reggimento ebbe tra il 1861 e - sigh! - il 1993?
La risposta ci arriva dagli altri due oggetti che, per oltre un secolo, hanno fatto compagnia in qualche cassetto al fregio in questione: si tratta, come già detto, di due "baverini", ovvero un particolare tipo di medaglie reggimentali, in metallo - argento, in questo caso - e smalti policromi, molto in voga - in specie tra gli ufficiali - negli anni precedenti e in quelli a cavallo della Grande Guerra. Gli esemplari in questione provengono, nientemeno, dalla prestigiosa gioielleria Jacoangeli di Napoli, eccellenza dell'arte orafa partenopea, come rivelano i marchi al verso. Le due medagliette, curiosamente, sono identiche, ed entrambe riferite al 12° reggimento bersaglieri.


Al verso, come d'uso, recano inciso il nome del loro antico proprietario, al quale probabilmente dovevano essere stati donati (dai colleghi del reparto, ad esempio): il tenente colonnello cav. Vero Wilmant. Con una rapida ricerca, scopriamo che il Wilmant, promosso colonnello, fu comandante proprio del 53° reggimento fanteria della Brigata "Umbria": per meglio dire, fu il comandante che portò il reparto al battesimo del fuoco, guidandolo nei primi due intensi mesi della Grande guerra. Il cerchio si chiude, e l'attribuzione è univoca. Di seguito, dunque, cercheremo di raccontare qualcosa di questo ufficiale: ciò sarà possibile anche grazie alla cortese collaborazione dei discendenti del colonnello Wilmant, che ci hanno contattati dopo aver letto la prima versione del presente articolo.
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Vero Wilmant nacque a Lodi il 26 novembre del 1861. Il padre, Enrico Wilmant, era figlio di Claudio Wilmant, principale stampatore lodigiano della metà dell'Ottocento, poi titolare della fiorente Tipografia Wilmant & Figli. Provenienti da Milano, i Wilmant discendevano da una famiglia giunta dalla Francia nel Settecento. Enrico Wilmant, membro della Carboneria, si era dedicato attivamente al sostegno della causa risorgimentale, stampando clandestinamente opuscoli di propaganda patriottica e libri di Mazzini e partecipando anche alle Cinque Giornate di Milano nel 1848. Anticlericale, vedendo nel Papa Re un ostacolo all'Unità d'Italia, Enrico Wilmant impose ai numerosi figli nomi che non fossero di santi: tra i fratelli di Vero vi era, infatti, anche Tieste Wilmantil quale ebbe una fortunata carriera quale cantante lirico. Se ne ricorda, in particolare, l'interpretazione nel ruolo di Marcello nella prima dell'opera La bohème di Giacomo Puccini al teatro regio di Torino la sera del 1 febbraio 1896.

Cresciuto, dunque, in una famiglia agiata e di forte tradizione patriottica, il giovane Vero scelse di perseguire la carriera militare. 
Così, all'età di soli sedici anni, chiese ed ottenne - grazie alla dispensa reale - di essere ammesso alla Scuola militare di Modena, in anticipo rispetto all'età minima (allora fissata ai diciassette anni). Il 24 aprile 1881, ancora diciannovenne, fu nominato sottotenente nell'arma di fanteria. Fu, dunque, assegnato ai Bersaglieri, corpo al quale Wilmant avrebbe legato tutta la propria carriera militare.
Gli annuari del Regio esercito ci aiutano a tracciarne le vicende successive: promosso nel 1883 al grado di tenente,  nel 1889 prestava servizio presso il 9° reggimento Bersaglieri. Nel 1890 fu comandato, per un certo periodo, presso il Ministero della Guerra, a Roma. Nel 1898, frattanto promosso al grado di capitano, era in servizio presso il 6° reggimento Bersaglieri in Asti.
Nel 1903 fu anche nominato cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia.
Nel 1906, promosso al grado di maggiore, risulta in servizio presso l'8° reggimento Bersaglieri.
Con R.D. 31 agosto 1910, Vero Wilmant fu, dunque, promosso al grado di tenente colonnello. Nel 1913, l'annuario riferisce che il ten. col. Wilmant prestava servizio presso il 12° reggimento Bersaglieri, avente sede a Milano. Wilmant era l'unico tenente colonnello del reggimento, alle dipendenze del col. Giuseppe Maiorca [2].
A questo periodo trascorso a Milano, che durò sino a tutto il 1914, datano quindi le due medaglie reggimentali dalle quali prende le mosse questo articolo. Esse furono, molto probabilmente, un dono dei colleghi ufficiali del 12° Bersaglieri.

Il 1° febbraio del 1915, infine, Vero Wilmant fu promosso al grado di colonnello. Con tale promozione, gli fu dunque attribuito il comando di un reggimento: si trattava del 53° reggimento Fanteria della Brigata "Umbria". Il reggimento aveva sede a Vercelli e reclutava coscritti, tra gli altri, anche dal distretto militare di Lodi: Vero Wilmant si trovava, così, a comandare anche numerosi suoi concittadini. Assumendo il comando (e passando in fanteria), Wilmant si fece confezionare una nuova uniforme e, sul berretto, fece cucire il bel fregio che abbiamo presentato all'inizio dell'articolo. Wilmant, dopo quasi trentacinque anni di servizio nei Bersaglieri, si trovava infine a dover guidare un reparto di fanteria di linea.
Vero Wilmant in borghese, dopo il congedo
(per gentile concessione archivio famiglia Wilmant-Secchi).

Si era, in quelle settimane, al termine della fase preliminare con la quale il Regio esercito veniva posto sul piede di guerra (c.d. mobilitazione rossa), prodromica alla mobilitazione, la quale sarebbe iniziata il 1° marzo 1915. Il colonnello Wilmant, dunque, assumeva il comando del 53° fanteria in un momento assai delicato, e cruciale per il successivo impiego bellico del reparto. In effetti, l'azione di comando del Wilmant avrebbe segnato i primi tre mesi di campagna del reggimento: mesi che, proprio in ragione del settore in cui il reggimento fu destinato, si sarebbero rivelati particolarmente complicati.
La Brigata "Umbria" fu, infatti, immediatamente destinata al fronte dolomitico, inquadrata nella Quarta Armata. Già all'inizio delle ostilità, il 24 maggio 1915, i reparti della Brigata - alle dipendenze della 2^ Divisione - si trovavano sui passi cadorini di confini.
Ai primi di giugno, il 53° reggimento si portò su posizioni avanzate ad est di Cortina d’Ampezzo, ove ebbe il suo "battesimo del fuoco", mercé le cannonate del forte austriaco di Son Pauses. Traiamo il seguito della narrazione direttamente dal riassunto storico della Brigata "Umbria":
"[…] l'8 giugno, la 2a divisione muove all’investimento dello sbarramento di Son Pauses e il 53° fanteria concorre all’azione puntando da Val Grande contro la fronte Podestagno - S. Blasius; ma il fuoco dei trinceramenti nemici, robusti e in piena efficienza, ne arresta l’avanzata sulle posizioni del Lago Nero, dove il reggimento sosta e si rafforza.
Fino a luglio, quindi, si svolge una guerriglia di pattuglie e di ricognizioni, dirette specialmente alla Croda dell’Ancona, lungo la grande strada d’Alemagna, ed oltre il Lago Bianco, fra le quali una, con carattere più decisamente offensivo, alla Punta del Forame.
Il 28 luglio la brigata si trasferisce nel contiguo settore dell’Ansiei; il 53° occupa Forcella Bassa di Monte Piana ed il 54° una posizione avanzata in Val Popena. Tale dislocazione è presa in vista del compito affidato alla "Umbria" nelle imminenti operazioni offensive contro lo sbarramento di Landro, per le quali il 53° ha per obbiettivo la conquista di Monte Piana, mentre il 54° deve favorire il compito principale avanzando in Val Popena; le azioni cominciano il 3 agosto, ma non possono progredire con lo slancio e nella profondità desiderata perché le posizioni austriache, molto forti per natura, ben presidiate e organizzate, oppongono ostacoli insuperabili; la lotta si stabilizza assumendo talvolta anche carattere difensivo, soprattutto per i violenti ostinati contrattacchi avversari sul Monte Piana.
Però l’11 agosto va noverata come bella e gloriosa giornata per la "Umbria"; due compagnie del 54°, spintesi lungo il costone occidentale di Monte Piana, dopo aspra lotta, mettono piede in alcuni trinceramenti nemici, catturando una quarantina di prigionieri. Il valore delle posizioni conquistate è confermato dalla reazione del nemico, che nei giorni 12 e 13 tenta di ritoglierle, ma inutilmente, perché i suoi ripetuti attacchi s’infrangono contro la valorosa resistenza dei bravi fanti."[3]

Le vicende della metà di agosto, evidentemente, influirono in qualche modo sulla decisione dei comandi superiori di trasferire il colonnello Wilmant: egli fu, infatti, chiamato ad assumere il comando dell'8° reggimento Bersaglieri, operante sempre nel settore dolomitico. Il 53° rimase per circa un mese privo del titolare, sino alla nomina, il 5 settembre, del col. Alessandro Curti, il quale avrebbe retto il comando molto brevemente, fino al 20 ottobre.

Per Vero Wilmant, il trasferimento ai Bersaglieri (decorrente dal 25 agosto) dovette costituire un po' il coronamento della propria carriera: dopo una vita passata in caserma insieme ai "fanti piumati", si trovava infine a comandarne un reparto mobilitato, su un fronte assai delicato - anche se poco atto alle imprese bersaglieresche - quale quello delle Dolomiti.

Dal 20 agosto, l'8° Bersaglieri si trovava dislocato tra la Val Marzon (comando e V battaglione), Cima Tre Croci (XXXVIII Battaglione) e Pian di Cengia (XII Battaglione). Col 1° settembre, il reggimento passa alle dipendenze della 2^ Divisione, alternando proprie compagnie alla forcella Lavaredo e alla forcella Cengia. Di seguito, il colonnello Wilmant, quale comandante del reggimento, assunse il comando della difesa del sottosettore, alle dipendenze della Brigata "Marche" (55° e 56° regg. fant.). La situazione rimase alquanto statica sino al 31 ottobre, quando una cospicua colonna austro-ungarica attaccò di sorpresa e conquistò le posizioni del Sasso di Sesto. L'intervento dei rinforzi italiani riuscì, però, a scacciare il nemico dalle posizioni. Nuovi tentativi nemici furono bravamente rintuzzati dai bersaglieri nei giorni 2 e 28 novembre.
Dal 14 novembre, però, il colonnello Wilmant aveva lasciato il comando del reggimento: esso era stato assunto, dal giorno successivo, dal suo parigrado col. Augusto Rigault de la Longrais, che lo avrebbe mantenuto a lungo, sino al marzo del 1917. Difficile dire se alla base di tale decisione dei comandi superiori vi fossero solo considerazioni "pensionistiche" circa la personale posizione del Wilmant, o valutazioni sulla sua azione di comando. Va detto che la poca attività operativa del reggimento, nel corso del pur breve comando del Wilmant, farebbe forse propendere per la prima alternativa.

In ogni caso, sollevato dal comando, il col. Wilmant trascorse probabilmente i mesi successivi lontano dal fronte, o addetto ad attività sedentarie. Infine, con decreto luogotenenziale del 13 febbraio 1916, il colonnello Wilmant fu posto  a riposo per anzianità di servizio, a decorrere dal 1° marzo, e collocato nella riserva della Divisione militare di Milano (3^). All'età di cinquantacinque anni, così, lasciava il servizio attivo, nel bel mezzo della guerra, e alla vigilia dell'offensiva generale lanciata dagli Austro-Tedeschi nel settore degli Altipiani.

Il colonnello Vero Wilmant si sarebbe infine ritirato a Lodi, sua città natale, dove trascorse la sua vecchiaia. Ivi spirò, il 30 aprile 1935.

Al ricordo di questo vecchio bersagliere, protagonista - per un anno della sua vita - di un capitolo della storia nazionale, dedichiamo questo breve articolo.

Si ringraziano i discendenti di Enrico Wilmant per la cortese disponibilità nel fornirci notizie e immagini circa il colonnello Vero e la loro illustre famiglia.


A cura di Niccolò F.

NOTE

1. La sottopannatura del tondino è stata ripristinata dal sottoscritto.

2. Annuario militare del Regno d'Italia, anno 1913.

3. Riassunto storico della Brigata "Umbria", op. cit., anno 1915.

BIBLIOGRAFIA

- AA. VV., L'Esercito Italiano nella Grande Guerra (1915-1918), volumi vari, Roma, Libreria dello Stato.
- Annuario Militare del Regno d'Italia, varie annate.
- Riassunti storici dei Corpi e Comandi, Vari Volumi, Roma, Libreria dello Stato.